Dalle lotte virtuali a quelle reali,
a proposito dello sciopero del 9 novembre

Il copione è stato rispettato alla lettera. Alla demagogica iniziativa del 20 ottobre, tesa a recuperare voti e credibilità al fronte della sinistra governista, si è contrapposta una diversa scadenza, il 9 novembre, che dovrebbe addirittura essere uno sciopero generale. L'iniziativa sembra coraggiosa e apparentemente chiarificatrice.

Coraggiosa perchè dentro la 'sinistra' si è scelto di non confondersi con i governisti e di scendere in piazza autonomamente e poi perchè non si tratta solo di fare una manifestazione, ma addirittura uno sciopero generale. A ben guardare, però, gli entusiasmi di quanti sono incazzati per come sono andate le cose dopo la sconfitta di Berlusconi non sono affatto motivati. Difatti, di fronte alla manifestazione del 20 ottobre anzichè inventarsi un improbabile sciopero generale bisognava dar vita a un'operazione politica di grande respiro per denunciare il ruolo della sinistra governista e il bilancio della sua presenza al governo, che è servita non solo a coprire le scellerate scelte di Prodi in politica interna e internazionale, ma anche a screditare l'intera sinistra di fronte a milioni di italiani che per partito preso non amano la destra. Come abbiamo più volte sostenuto, bisognava aprire la fase della liquidazione politica dei governisti di sinistra. Invece si è scelto come bersaglio Prodi e lo strumento dello sciopero, deviando dall'obiettivo vero che poteva essere perseguito, per esempio, con una contromanifestazione il 20 ottobre, non concorrenziale, ma di denuncia dei promotori di quella ufficiale.

Perchè non si è avuto il coraggio della contrapposizione politica, che sarebbe servita a dimostrare che le forze della sinistra che seguono una linea di classe e internazionalista sono una alternativa effettiva alla sinistra che si definisce 'radicale'? Perchè non si sceglie la politica come terreno di scontro e di confronto?

I motivi sono vari e proviamo a riassumerli.

In primo luogo, nelle circostanze in cui si impone una scelta veramente politica, il limite degli emuli del sessantottismo è che propongono i soliti riti che non individuano la dinamica effettiva dello scontro, ma ripiegano sul solito elenco della spesa. I manifesti di convocazione delle scadenze sono sempre pieni di "per" e "contro", in definitiva l'innocua lista della spesa.

Il limite è culturale e politico, ma non solo. Concorrono a determinare queste scelte sia l'opportunismo sia quello che si può definire il limite storico di una certa sinistra che si fa chiamare antagonista. L'opportunismo è determinato dalla egemonia di quelli che noi chiamiamo "i comunisti di mezzo", cioè quei leader e leaderini che stanno in mezzo al guado e attendono di lasciare, come è successo in questi decenni di pentimenti, la parte sbagliata della sponda. Per costoro le cosiddette "scadenze" sono sempre in ragione della sopravvivenza per collocazioni future. Viene la nausea a vedere come i gruppi e gruppetti egemoni nel 'movimento' decidono il 'che fare' senza strategia e senza un vero dibattito politico. E anche stavolta, per il 9 novembre, si è seguita la stessa strada. Anzi, stavolta con più eccitazione, perchè la posta in gioco è nientemeno la costituzione di una nuova entità politica che prefigura la nascita di una nuova 'Democrazia Proletaria' a egemonia trotskoide. Il pensiero corre ai voti che si possono raccogliere per ricominciare il circuito virtuoso della presenza nelle istituzioni.

A questo si aggiunga l'assenza di una qualsiasi ipotesi di crescita strategica, che invece è posta dalle cose. Beppe Grillo docet. Vengono al pettine i soliti limiti di una sinistra antagonista che non è mai uscita dal livello della 'contestazione' e che non produce progettualità collegata allo sviluppo della situazione oggettiva. Per questo la definiscono, giustamente, 'contestazione'.

Quanto poi al momento di 'lotta' che certe scadenze rappresenterebbero e che fa dire a un compagno come Roberto Massari 'se c'è lotta c'è dovere di partecipazione', si può rispondere tranquillamente: ma di che lotta stiamo parlando? Qual'è la natura di queste lotte, se non la loro virtualità  e la partecipazione a scadenze una tantum per 'combattere' l'avversario? Dove stanno i risultati e lo spessore di queste lotte? Il riformismo è diventato sangue e carne di comportamenti anche di coloro che dichiarano di combatterlo.

Erregi

24 settembre 2007


 
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