Ancora una volta la
miglior difesa è l'attacco

Considerazioni per la riunione di Roma del 4 maggio

La sconfitta di Rutelli, seppure porta anche il segno di una  avversione al campione di tutti i trasformismi, conclude un ciclo che già da tempo era stato individuato, in particolare nelle precedenti elezioni che avevano messo in evidenza che Prodi non aveva sfondato.

Che la destra che fa capo a Berlusconi non è una tigre di carta  lo avevamo detto a suo tempo. Essa ha ora consolidato la presa sulla società italiana sommando tre referenti con base di massa, il filofascismo rigenerato di Fini, il razzismo nordico di Bossi e la criminalità politica di Forza Italia come strutture di potere diffuso.

A questo fronte, che ha dimostrato una sostanziale solidità, si è contrapposto un progetto debole basato sul buonismo moderato del Partito Democratico che, ereditando l'esperienza Prodi, non è riuscito ad essere che un'operazione politicista. Il crollo della Sinistra Arcobaleno ha fatto il resto, dimostrando che il giudizio che avevamo espresso in questi anni su di essa ha fatto breccia e ha portato alla disfatta.

Ora si ripropone il solito interrogativo, che fare? Certamente la soddisfazione per la sconfitta di Bertinotti e soci ci sembra una buona cosa, ma rimane il problema di come procedere dopo la giusta indicazione dell'astensionismo. Politicamente non possiamo esimerci dal dare una risposta  sulle prospettive, come d'altronde ci è stato richiesto da più parti. Ebbene, nell'incontro del 4 maggio a Roma cercheremo di sciogliere i nodi con una discussione collettiva. Qui abbozzo alcune considerazioni per la discussione,

1) E' ormai evidente che la vittoria della destra cambia i connotati alla situazione italiana. Il tipo di politica che si prospetta è di scontro, senza mediazioni, con tutte le esigenze sociali, politiche e culturali che hanno cercato di contrastare il liberismo sfrenato di questi decenni e ci sono le premesse esplicite che il blocco degli interessi padronali e delle strutture di potere si saldi con il fronte della destra. Si ripete in qualche modo quella che è stata l'esperienza mussoliniana di aggregazione, dopo lo sfondamento dello squadrismo, con tutti i poteri forti.

Siamo al fascismo? Certamente no, ma ci sono tutte le premesse per un prossimo fascismo in relazione agli esiti della crisi economica e dei conflitti scatenati dall'imperialismo occidentale.

Questo va tenuto bene in considerazione sui compiti futuri che ci attendono.

2) Possiamo sicuramente affermare che la crisi è aggravata dalla debolezza delle forze politiche che stanno fuori del blocco berlusconiano. Il neopartito democratico non è solo uscito sconfitto elettoralmente, ma ha soprattutto dimostrato di non avere un progetto di alternativa che faccia presa sulla società. Per questo è costretto ad inseguire la destra e ad accettare un ruolo subalterno sulle scelte di fondo. La destra per ora accetta il dialogo per rafforzare la sua egemonia.

3) la disfatta della sinistra 'radicale' apre una nuova fase di lavoro. Questa fase si può sintetizzare in un concetto essenziale: la lotta per l'egemonia. Fino al 14 aprile le forze governiste e istituzionali hanno gestito questa egemonia relegando al margine i settori più avanzati e mediando col movimentismo per assorbirne le spinte. Ora si riapre il discorso sull'egemonia perché la disfatta dell'Arcobaleno lo rende oggettivo. Sicuramente però la partita non ha esiti automatici. Le varie versioni della sinistra radicale, quella arcobaleno, quella identitaria del PRC e quella dei nostalgici della falce e martello, tentano di risalire la china, ma il loro futuro non è dei migliori. Non si sono solo persi milioni di voti, ma il referente politico-sociale è entrato in crisi.

4) In questo contesto noi dobbiamo rifiutare il discorso del meno peggio, cioè di sostegno ad una ipotetica rigenerazione delle forze della sinistra radicale. Esse non solo esprimono, e in forma ridotta, tutte le ambiguità che le hanno portate alla disfatta, ma sono solo un tentativo di recupero parassitario di voti per ricrearsi spazi nel sistema politico senza incidenza sulle questioni reali.

5) E' possibile uscire da questa condizione con un ipotesi forte e credibile? Questo è l'interrogativo a cui dobbiamo rispondere, non in maniera ideologica o velleitaria, ma politica.

Ebbene,a mio parere è proprio l'indicazione astensionista a suggerirci una possibile soluzione. L'astensionismo pone le condizioni per una critica radicale al sistema che ci consente non solo di non ricadere nelle trappole istituzionali-governiste, ma anche di affrontare lo scontro con la destra a livello di massa, scoprendo il gioco delle promesse demagogiche. Il voto a destra ha anche componenti popolari che vanno incanalate su un terreno di opposizione antisistema prima che il suo controllo si consolidi.

La prospettiva di un movimento astensionista con  un programma sociale può essere la risposta al 'che fare?'

Intendo sottolineare con i due concetti che da una parte con l'astensionismo bisogna operare un distacco di massa dalle manipolazioni del sistema e dei consensi e l'unico modo è quello di impedire il ritorno al voto fondando un movimento astensionista che in questa crisi metta in evidenza la vera natura dei poteri che si scontrano. Dall'altra, partendo dai dati sociali della crisi bisogna sfidare la destra sui programmi, cioè bisogna difendersi attaccando.

Quando dico questo non penso né al ritorno ai riti e miti di una sinistra esangue né a forme di avanguardismo. Penso a punti solidi di resistenza popolare che, mi sembra, vengono indicati da più parti come la forma di espressione di fase.

Il lavoro da fare è difficile, ma non vedo alternative a questa scelta. Ad una condizione però, che si esca dal teatrino dei gruppi e si pensi ad un vero progetto politico .

Erregi

1 maggio 2008


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