Nè con Stalin nè con Bertinotti ?

Ci sono diverse ragioni per insistere nel dibattito sulla storia dei comunisti.

Non tutte queste ragioni sono riconducibili alla necessaria risposta alla campagna anticomunista scatenata da Bertinotti. Anche se questo rimane l’aspetto prioritario.

Se si va ad analizzare il rapporto esistente tra coloro che si richiamano alla storia del movimento comunista e come è stato contrastato l’attacco bertinottiano, si dovrà constatare che ancora una volta ha prevalso una cultura basata sul solito concetto centrista, nè con Stalin nè con Bertinotti.

Questa cultura ha origini e radici che risalgono agli anni ’60 quando, dal dissolvimento del togliattismo, inteso come strategia ‘italiana’ dentro un quadro storico determinato dal movimento comunista internazionale e dall’URSS, è nata la ‘terza via’, quella che ha accreditato la favola del comunismo buono e democratico.

Questa favola, è bene dirlo, è servita solo a giustificare le tante svolte che infine sono confluite nei DS e non ha nessun fondamento scientifico nella storia del movimento comunista.

I comunisti ‘italiani’ sono sempre stati con l’URSS, con le democrazie popolari, con la rivoluzione cinese, con quella vietnamita, con la rivoluzione cubana, coi movimenti armati di liberazione nazionale. I comunisti ‘italiani’ sono stati tra i principali protagonisti della lotta partigiana in Europa. E i comunisti ‘italiani’ sono stati con l’URSS di Stalin, con la terza internazionale, con la dittatura del proletariato, con i cadetti dell’amata rossa che assaltavano i rivoltosi di Kronstadt.

E’ solo a partire dal XX congresso del PCUS, cioè da un avvenimento dichiaratamente controrivoluzionario, che nel movimento comunista si è lavorato, parallelamente all’imperialismo e alle borghesie di tutto il mondo, alla rimozione di questa storia definita un cumolo di errori e di orrori.

Naturalmente, ciascun protagonista di questa offensiva ha usato le sue armi.

L’imperialismo e le varie borghesie hanno demonizzato in toto il comunismo fino alla farsa berlusconiana del libro sui comunisti che sarebbero responsabili di almemo ottanta milioni di morti.

A sinistra, i vari revisionismi hanno usato una diversa tattica, scindendo il comunismo cattivo e dittatoriale da quello buono e democratico, usando per questo, distorcendolo, anche il pensiero di Marx e di Gramsci.

Recentemente, in un convegno su Marx organizzato a Napoli, la sofisticata platea di intellettuali ‘marxiani’, è insorta di fronte alle affermazioni del compagno Losurdo che ha illustrato i ‘comunismi’ di Marx, compreso quello del programma di Gotha sulla dittatura del proletariato, e il carattere epocale dei fatti relativi alla Cina paragonati, per importanza, alla scoperta dell’America. Come si vede i sottili palati ‘marxiani’ mal sopportavano il peso di un Marx non utopico, ma dittatoriale e un fattore così ‘spurio’ come la Cina.

Ritornando al discorso principale, il nostro non è solo un richiamo storico alla verità sui comunisti, cosa che peraltro è scientificamente necessaria. Il nostro è anche un richiamo alla valutazione degli avvenimenti, sia dal punto di vista dei risultati conseguiti che della adozione di un metodo dialettico-materialistico nell’analisi dei fatti.

I fautori della linea ‘nè con Stalin nè con Bertinotti’ vogliono analizzare la storia del movimento comunista e quella che viene chiamata transizione al socialismo cercando di utilizzare il bilancino del farmacista per misurare quanto socialismo c’è stato in URSS e paragonandolo al voltairiano ‘migliore dei mondi possibili’.

Questo metodo va completamente rovesciato perchè è antistorico e antidialettico e serve da rifugio per coloro che sono convinti che la rivoluzione è un pranzo di gala e che il socialismo si realizza per decreto.

Ogni passo verso la nuova società che nasce da un processo rivoluzionario si conquista con la lotta, sull’arena nazionale e su quella internazionale e quindi il socialismo sarà sempre ‘imperfetto’ finchè questa lotta avrà corso.

Per questo i fini palati ‘marxiani’ cancellano la storia dei comunisti dalla Nep in poi. Costoro in realtà non sono antistalinisti, sono molto peggio. Pretendono, senza aver acquisito un metodo storico-materialistico, di mettere le braghe al mondo, rovesciando quei presupposti che sono alla base del pensiero comunista.

Per questo riteniamo che per affrontare i problemi relativi alla storia del movimento comunista occorra soprattutto

- valutare gli effetti storici che questo movimento ha prodotto - e non considerandoli come i fattori positivi di una storia fallimentare, ma come elementi grandiosi e centrali di un processo di trasformazione epocale. E questo è anche un dato storico-scientifico inoppugnabile e non apologetico. Inoppugnabile, ovviamente, per coloro che vivono la propria dimensione politica come parte di una lotta per la trasformazione rivoluzionaria epocale.

- comprendere una cosa che i comunisti, da Marx in poi, hanno sempre sostenuto e cioè che la lotta per il cambiamento di un sistema sociale attraversa una intera epoca storica e che quindi la lotta tra capitalismo e socialismo non si può ridurre ad un modello statico da quantificare, appunto, col bilancino.

Possiamo benissimo lasciare questo lavoro ad analisti e accademici coi quali si può e si deve polemizzare perchè pretendono di dare lezioni di comunismo che potremmo definire ‘di cattedra’.

Se vogliamo parlare di trasformazione socialista non possiamo non partire dal fatto che essa avviene nel contesto di una crisi del sistema capitalistico dentro la quale si ridefiniscono gli equilibri sociali e i rapporti di forza.

Così è stato con la rivoluzione russa e con gli avvenimenti che l’hanno seguita. Per riprendere un discorso sul socialismo occorre quindi ripartire da come le trasformazioni sociali vanno maturando nella realtà. Solo in questo modo potremo ‘superare’ i limiti dell’esperienza rivoluzionaria passata.

Giudicare, al contrario, le esperienze rivoluzionarie passate per illudersi di poter cambiare il ‘socialismo’ imperfetto ci porta a quella posizione ‘occidentalista’ che si compendia nello slogan nè con Stalin nè con Bertinotti. Su questa differenza di metodo e di approccio storico bisogna stabilire la necessaria differenza tra il ‘comunismo di cattedra’ e la teoria rivoluzionaria dei comunisti.

Roberto Gabriele


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