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Russia - 18 settembre 2004

Reazioni e commenti in Russia dopo la tragedia di Beslan

di Mauro Gemma

Come hanno reagito gli opinionisti russi di fronte agli sviluppi della tragica vicenda del massacro di Beslan?

Quello che balza immediatamente agli occhi è la singolare sintonia, che sembra indicare una comune regia, con cui si sono mossi gli organi di stampa più direttamente legati ai grandi oligarchi, oggi in rotta di collisione con l’amministrazione presidenziale, a cui si sono associati alcuni ambienti “radicali” (tale viene considerato il giornale “Novaja Gazeta”, in realtà finanziato anch’esso dai magnati e in cui  scrivono alcuni dei principali responsabili della catastrofe della Russia, ruderi dell’era di Eltsin, di cui hanno esaltato il massacro del Parlamento avvenuto nel 1993 (1)) e una parte della “sinistra estrema”.

Costoro non hanno esitato a riprendere l’intero armamentario propagandistico in merito alle questioni della politica russa in uso in Occidente, il quale sembra proporsi come obiettivo prioritario quello di mettere in difficoltà l’attuale presidente Vladimir Putin, oggi impegnato, con una determinazione che non può non essergli riconosciuta, a districarsi tra gli ostacoli e le contraddizioni che incontra il suo tentativo di affermare, dopo i disastri provocati dal decennio eltsiniano seguito alla vittoria controrivoluzionaria del 1991 e che hanno largamente influenzato anche un lungo periodo dei suoi mandati, un ruolo di primo piano della Russia e la ricostruzione di quelle fondamentali basi economiche e politiche necessarie al suo risanamento.

Tra le priorità c’è sicuramente la salvaguardia dell’unità e della coesione del grande stato eurasiatico, la cui disgregazione e destabilizzazione rappresenta fin dai primi anni ’90 dello scorso secolo, senza ombra di dubbio, uno dei principali obiettivi strategici dei concorrenti imperialisti della grande potenza nucleare, i quali sono saldamente installati ai suoi confini e dispongono di un micidiale meccanismo di alleanze politico-militari forse già in questo momento in grado di intervenire in qualsiasi situazione di crisi che si manifesti ai margini e all’interno stesso della Federazione Russa.

Ecco allora che non stupisce il fatto che, immediatamente dopo la presa degli ostaggi da parte del manipolo di terroristi ceceni, siano apparsi in molti “media” (ricordiamo, che in misura  ragguardevole sono tuttora controllati dai grandi gruppi oligarchici nazionali colpiti dalle ultime iniziative di Putin e dai “network” delle comunicazioni internazionali), pur nel contesto di una scontata esecrazione della tragedia avvenuta nell’Ossezia settentrionale, una serie di significativi “distinguo” rispetto al giudizio da dare in merito al comportamento tenuto dalle strutture federali. Tali esternazioni sembravano proporsi lo scopo di attribuire le principali responsabilità della tragedia alle caratteristiche “tecniche” della reazione russa all’attacco terroristico e ad un’attitudine “cinica” dello stesso Vladimir Putin, che non avrebbe tenuto nella giusta considerazione gli aspetti umanitari della vicenda.

Sono state prevalentemente queste interpretazioni di alcuni tra i principali organi “liberal” russi, ispirati dai loro finanziatori, ad offrire il pretesto per le “richieste di chiarimento” partite da governi dell’Occidente ed esponenti dell’establishment americano ed europeo (a cui si sono immediatamente associati, con trasporto e senza fermarsi a riflettere un attimo, settori significativi della cosiddetta “sinistra antagonista” che sembrano aver abbracciato la causa di un movimento separatista caucasico che, a nostro avviso, ha storicamente meno ragioni di quelle che potrebbe addurre un eventuale “movimento per l’indipendenza della nazione indiana” nel West nordamericano o un movimento irredentista del Sud-Tirolo incorporato nello stato italiano solo 86 anni fa! (2) ), tese con ogni evidenza a mettere in imbarazzo nei confronti dell’opinione pubblica russa e internazionale e, in qualche modo, a “ricattare” un Vladimir Putin alle prese con uno dei più difficili momenti della propria carriera politica e ancora troppo condizionato dallo scenario “geopolitico” emerso dalla disgregazione dell’URSS, dalle pressioni che le potenze imperialiste e i grandi gruppi economici internazionali sono in grado di esercitare su una Russia indebolita e costretta ad un ruolo “di più basso profilo” nel contesto planetario e dalle stridenti contraddizioni che caratterizzano l’apparato statale e lo schieramento politico-sociale che lo hanno sostenuto fino ad oggi.

I “distinguo” si sono poi trasformati in un attacco pesantissimo quando, ad esempio nel caso del commento apparso nel sito internet “Gazeta.ru”, anch’esso notoriamente finanziato dagli oligarchi, si invocava la necessità di convocare un tavolo di trattative con i mandanti del massacro, mettendo così in atto la linea tracciata dal principale ispiratore della politica americana verso la Russia, l’autorevole consigliere di vari presidenti USA Zbignew Brzezinski e dagli esponenti “neoconservatori” che hanno dato vita, insieme agli uomini di Maskhadov e Zakaev, a un “Comitato Americano per la Pace in Cecenia” (a cui sicuramente fa riferimento quella campagna dei radicali italiani a sostegno della “resistenza cecena”, che oggi potrebbe trovare inaspettate sponde anche in una “sinistra antagonista” pronta ad “abboccare all’amo”, come già avvenne nel caso della Jugoslavia), che si propone di fare pressione sulla Russia perché negozi il definitivo sganciamento della Cecenia dal corpo dello stato federale russo, preparando così le condizioni per la rivendicazione di nuove “indipendenze”.

Tutto ciò sta ad indicare con chiarezza la straordinaria sintonia esistente tra gli sviluppi della situazione cecena e le mosse politiche delle cordate dei magnati e dei loro protettori occidentali, i cui interessi oggi vengono messi ancora più in discussione dalla prepotente riaffermazione della necessità di forme efficaci di controllo statale sulle risorse strategiche del paese. Nell’articolo di “Gazeta.ru” dal titolo “Una politica esplosiva”, il suo autore afferma in modo esplicito che “il detonatore principale  dei terroristi è rappresentato da Putin e dalla sua crudele politica” e  si fa portavoce delle “elites estromesse dal potere”, affermando che esse intendono rientrare in gioco anche  esternando la loro disponibilità ad  intavolare un dialogo con i terroristi a tutto campo e “non solo sulle questioni che fanno comodo a Putin” (3).

Un altro coro di violente critiche all’operato del presidente è venuto poi da alcuni settori dell’estrema sinistra, con l’attribuzione all’attuale amministrazione di presunte caratteristiche “zariste”, proponendo in alcuni casi la discutibile tesi dell’esistenza di un aggressivo “imperialismo russo”, a cui si opporrebbe la “resistenza cecena”, e sottovalutando, o addirittura rimuovendo del tutto, il ruolo che l’imperialismo e i suoi alleati nella regione stanno svolgendo, con frenetico attivismo (4).

Una sottovalutazione del contesto internazionale, in cui si è consumata la tragedia di Beslan, a onor del vero e a dispetto delle valutazioni che questo partito aveva esplicitato almeno fino a non molto tempo fa, caratterizza oggi, a nostro parere, anche le posizioni del “Partito Comunista della Federazione Russa” (o almeno quella metà circa del gruppo dirigente del PCFR che non ha seguito la scissione dello scorso luglio che ha dato vita in questi giorni al “Partito Comunista Russo del Futuro”), il quale, nella sua ormai radicata e per certi aspetti pregiudiziale opposizione a quello che definisce il “regime di Putin”, sembra dimenticare che il Presidente russo, nella sua strenua difesa del carattere unitario della Federazione, non è poi così distante dalle tesi che, a più riprese, i comunisti hanno espresso in merito alle implicazioni geostrategiche della “questione cecena” e che sono apparse in documenti ufficiali e negli interventi dello stesso Ghennadij Zjuganov (5).

Della  vera natura dell’attacco propagandistico dei “media” dimostra invece di avere piena consapevolezza l’intellettuale marxista Dmitrij Jakushev che, nel sito di “Levaja Rossija” (Russia di sinistra), di cui è redattore, ha pubblicato un tagliente articolo (6), in risposta ai critici di Putin di ogni colore.

Jakushev, che non da oggi lamenta l’assenza in Russia di una forza autenticamente “antimperialista” capace di condizionare pesantemente “da sinistra” Putin (che pur sempre rimane il rappresentante della “borghesia nazionale”, di cui incarna le aspirazioni e i limiti), entra in durissima polemica con le tesi dei “radicali” e dei “sinistri” sostenitori della “resistenza cecena” (indicando esplicitamente Politkovskaja e Kagarlitskij), mettendo direttamente in relazione la campagna scatenatasi in Russia e in Occidente con le dinamiche (7) dell’attacco terroristico, che su tale campagna evidentemente intendeva fare affidamento.

Scrive Jakushev: “Si può affermare che il piano dell’attacco terroristico di Beslan era il seguente: sequestrare una grande quantità di bambini, allo scopo di rendere impossibile un assalto, e allo stesso tempo ottenere la pressione dell’ “opinione pubblica democratica mondiale” per costringere le autorità russe a sedersi al tavolo delle trattative con i leader dei banditi, che nelle persone di Zakaev e Maskhadov avevano già cercato di presentarsi come garanti degli ostaggi. Naturalmente le trattative sarebbero potute cominciare solo con la mediazione delle istituzioni dell’imperialismo. Tutto ciò non rappresenta che il logico proseguimento della politica condotta dall’imperialismo nella regione e in rapporto alla Russia”. Ma gli avvenimenti non si sono svolti secondo le intenzioni dei mandanti dell’attacco per ragioni puramente dovute al caso, quando l’esplosione accidentale di un ordigno nella palestra della scuola di Beslan, ha fatto precipitare la situazione, determinando le condizioni del sanguinoso epilogo della tragedia, che certamente ha messo in rilievo anche lo stato comatoso in cui versano le strutture della sicurezza russa devastate dalle “riforme” postsovietiche.

A Jakushev non sfugge l’elemento di novità rappresentato dalla reazione di Putin in questa occasione, rispetto alle precedenti, quando nelle dichiarazioni degli “ambienti ufficiali” russi ci si è sempre attenuti esclusivamente al tradizionale “cliché” del “terrorismo internazionale” e del richiamo alla sola matrice di “Al Qaeda”. Questa volta, afferma ancora Jakushev, “si è manifestato un evento straordinario e completamente nuovo…Mai in precedenza Putin aveva indicato così chiaramente  i veri ispiratori del terrorismo”. Nel suo messaggio alla nazione – fa osservare Jakushev – il presidente afferma, con toni autocritici, che “bisogna riconoscere che non abbiamo mostrato comprensione della complessità e della pericolosità dei processi che avevano luogo nel nostro proprio paese e nel mondo intero. Quantomeno non abbiamo saputo reagire adeguatamente. Abbiamo mostrato debolezza. E ai deboli gliele suonano. Alcuni vogliono strapparci un pezzo più grasso, altri li aiutano. Li aiutano pensando che la Russia, una delle più grandi potenze nucleari, continui a rappresentare per loro una minaccia. Dunque, la minaccia va eliminata. Il terrorismo, indubbiamente, è solo uno strumento per raggiungere questi scopi” (8).

Ora – è la conclusione di Jakushev -, “non si possono più nutrire dubbi sul fatto che dietro ai banditi, che terrorizzano la popolazione della Russia, ci siano i servizi speciali dell’imperialismo” e che “il vero obiettivo di coloro che oggi sconvolgono il Caucaso settentrionale non sia la libertà della Cecenia, ma l’attuale potere russo e la stessa Russia”.

Note

(1) Incredibile appare l’esaltazione che il giornale “Liberazione” (“Anna Politkovskaya, la giornalista che fa paura al Cremlino, 9 settembre 2004) fadel ruolo dei personaggi che gravitano attorno ai vari comitati e fondazioni “per i diritti umani” (che, oltre alla causa dei ceceni, stanno seguendo con trepidazione la “persecuzione” del magnate truffatore ed evasore Khodorkovskij), dirette emanazioni delle lobby statunitensi che intendono spartirsi la Russia. Tali organismi, di cui sono noti i legami con gli attivisti radicali italiani  filo-NATO, che da tempo conducono un’isterica campagna antirussa nel nostro paese, hanno il compito, esattamente come è avvenuto nella ex Jugoslavia, di preparare le condizioni per ogni genere di interferenza occidentale negli affari interni della Russia, proponendo uno scenario da “emergenza umanitaria”, ingigantendo i numeri delle vittime e delle distruzioni  che sarebbero provocate dalla presenza militare russa, giustificando di fatto la bestiale ondata terroristica (questa si ad aver provocato ormai migliaia e migliaia di vittime in diverse località della Russia, in particolare tra gli appartenenti ad etnie caucasiche, musulmani e cristiani ortodossi), dimenticando che molti osservatori internazionali sono pronti a riconoscere che le consultazioni condotte dall’amministrazione russa circa la proposta di autonomia alla Cecenia in ambito federale non possono essere considerate una farsa.

Non è privo di significato, poi, che gli stessi personaggi (a cominciare dalla Politkovskaya), così ostinatamente schierati a fianco del micronazionalismo dei banditi ceceni (solo perché così piace ai loro amici americani), non esitino a scagliarsi contro le autonomie presenti all’interno della confinante Georgia ( occorrerebbe ricordare che in Abkhazia - dove Sabina Morandi, senza preoccuparsi della coerenza delle proprie affermazioni, non ha alcuna esitazione ad accreditare la tesi di Politkovskaya e soci su presunte  “pulizie etniche” da parte dei russi - l’80% della popolazione ha tuttora il passaporto della Federazione Russa!), in predicato di entrare nella NATO, frequentata dalle truppe americane e retroterra del terrorismo ceceno, avamposto dell’accerchiamento in atto della Federazione Russa.   

A proposito dell’attività delle organizzazioni “informali”  sembrano appropriate le riflessioni che lo stesso presidente russo Vladimir Putin ha fatto il 26 maggio scorso, in occasione del suo messaggio all’Assemblea Federale: “Certo non tutti nel mondo hanno intenzione di confrontarsi con una Russia indipendente, forte e fiduciosa in sé stessa. Oggi nella concorrenziale lotta globale vengono attivamente utilizzati strumenti di pressione politica, economica e informativa. Il rafforzamento del nostro senso dello stato a volte viene spacciato per autoritarismo... Alcune parole sulle organizzazioni sociali non politiche. Nel nostro paese esistono e lavorano costruttivamente migliaia di istituzioni e unioni civili. Ma non tutte sembrano orientate alla difesa dei reali interessi delle persone. Per una parte di queste organizzazioni il compito prioritario è diventato la riscossione di finanziamenti da parte di influenti fondazioni straniere. Per altre il mettersi al servizio di gruppi discutibili e di interessi commerciali. Perciò i problemi più acuti del paese e dei suoi cittadini non vengono presi in considerazione. Si deve dire che, quando il discorso verte sulle violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo, della limitazione degli interessi reali delle persone, a volte la voce di simili organizzazioni neppure si leva. E ciò non stupisce: semplicemente non possono “mordere la mano” da cui ricevono il cibo(...). Sul messaggio di Putin all’Assemblea Federale è disponibile una rassegna stampa nel n. 81 di  “Nuove Resistenti”, http://www.resistenze.org.

Per capire la complessa rete che sta dietro alla campagna internazionale di discredito del presidente russo, torna utile leggere l’articolo apparso nelle pagine dell’autorevole giornale britannico “The Guardian” (8 settembre 2004), firmato da John Laughland, fiduciario del “British Helsinki Human Rights Group”:

“... Le cosiddette “crescenti critiche” sono di fatto dirette da uno specifico gruppo dello spettro politico russo e dei suoi sostenitori americani. Gli esponenti che dirigono le critiche russe al modo come Putin ha gestito la crisi di Beslan sono i politici filo-USA Boris Nemtsov e Vladimir Rizhkov – uomini associati alle riforme del mercato neo-liberale più spinto che hanno avuto effetti tanto devastanti sotto Boris Eltsin così amato dall’Occidente – e il Carnegie Endowment’s Moscow Centre. Fondato dal quartier generale di Washington, questa influente fondazione – che opera in coppia con la militare-politica Rand Corporation, allo scopo di produrre documenti sul ruolo della Russia nel sostegno agli USA a ristrutturare il “Più grande Medio Oriente” – ha ripetutamente biasimato Putin per le atrocità in Cecenia... Costoro tengono essenzialmente la stessa linea che è stata espressa dai leader ceceni, come Ahmed Zakaev, in esilio a Londra...

La durezza nei confronti di Putin si spiega forse con il fatto che, negli USA, il gruppo che  si impegna per la causa cecena è rappresentato dal “comitato Americano per la Pace in Cecenia” (ACPC). La lista degli “americani in vista” che sono suoi membri è una rassegna dei più rappresentativi neoconservatori sostenitori entusiasti della “guerra al terrore”. Essa include Richard Perle, noto consigliere del Pentagono; Elliot Abrams con la fama di Iran-Contra; Kenneth Adelman, ex ambasciatore USA all’ONU che aveva incitato all’invasione dell’Iraq, pronosticando che sarebbe stata “una passeggiata”; Midge Decter, biografo di Donald Rumsfeld e direttore della Heritage Foundation di destra; Frank Gaffney del militarista Centre for Security Police; Bruce Jackson, ex ufficiale dell’intelligence militare USA e una volta vice-presidente della Loockeed Martin, ora presidente del Comitato USA sulla NATO; Michael Ledeen dell’American Enterprise Institute, ammiratore del fascismo italiano e ora fautore di un cambiamento di regime in Iran; e R. James Woolsey, ex direttore CIA, che è uno dei principali sostenitori dei piani di George Bush di rimodellare il mondo musulmano in base alle direttive USA.

L’ACPC diffonde energicamente l’idea che la ribellione cecena mette in evidenza la natura non democratica della Russia di Putin, e ricerca sostegni per la causa cecena, enfatizzando la serietà delle violazioni dei diritti umani nella minuscola repubblica caucasica. Il comitato paragona la crisi cecena alle altre cause “musulmane” alla moda, Bosnia e Kosovo, giungendo alla conclusione che  solo un intervento internazionale nel Caucaso è in grado di stabilizzare la situazione... Provenendo da entrambi i partiti politici, i membri dell’ACPC rappresentano la spina dorsale della politica estera dell’establishment USA, e le loro opinioni sono di fatto quelle dell’amministrazione USA”

John Laughland, “The Cechens’ American friends”, The Guardian, September 8 2004 http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,1299318,00.html

(2) Non ritorniamo sulle caratteristiche della “questione caucasica”, che sono state da noi esaminate in precedenti lavori pubblicati, a più riprese, da L’ERNESTO.

(3) “Una politica esplosiva” http://www.gazeta.ru/comments/2004/09/02_a_162210.shtml  

(4) Esemplare è il lungo commento che il gruppo trotskista russo “Resistenza socialista” dedica agli avvenimenti di Beslan, in cui, invece di interrogarsi sul fatto che, nella situazione attuale di grande debolezza dell’insieme delle forze comuniste e di tutto il movimento di classe del paese, l’unica realistica alternativa a Putin e al suo blocco sociale diretto dalla “borghesia nazionale” potrebbe essere rappresentata dalla rivincita della “borghesia compradora” e dal definitivo assoggettamento della Russia alle logiche dell’imperialismo, si ipotizzano fantapolitici sbocchi rivoluzionari, e si discetta in modo delirante addirittura sulla possibilità di sottrarre l’egemonia sulla “resistenza cecena” alle mafie locali. “Beslan. L’inizio della fine di Putin”. http://www.socialism.ru/analyses/russia/2004/beslan.html

(5) Interventi di Zjuganov e di altri esponenti comunisti russi sulla questione cecena e, più in generale, su quella “delle nazionalità”, sono apparsi in L’ERNESTO e in http://www.resistenze.org

(6) Dmitrij Jakushev, “Chi dà ordini al terrore?”

(7) Sulla “regia occulta” del massacro di Beslan rimandiamo anche alla lucida analisi di Manlio Dinucci apparsa con il titolo “Il grande gioco dietro la strage” in “Il Manifesto”, 10 settembre 2004. [vedi piu' sotto]

(8) La traduzione, a cura di Mark Bernardini, del “Messaggio alla Nazione” di Vladimir Putin è reperibile nel n. 87 della rassegna “Nuove Resistenti”.

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