Contributo al dibattito aperto da Aginform
a cura del Circolo Culturale Proletario Di Genova

Il dopo elezioni

L'era Berlusconi che ci siamo lasciati alle spalle si è contraddistinta per una maniera di fare politica in cui l'ignoranza, la piaggeria e la volgarità sono stati inculcati profondamente nel tessuto sociale del paese, grazie al sapiente e scientifico uso dei mass-media e ciò è ampiamente testimoniato dalla lunga sequela di voti che è riuscito comunque a captare il raggruppamento politico del Cavaliere nell'ultima tornata elettorale. Dall'altra parte della barricata vi è l'antagonista politico di Berlusconi, Romano Prodi. Prodi non è in realtà una vera alternativa politico-ideologica a Berlusconi, ma rappresenta la ripresa del potere in Italia da parte di un ceto politico borghese, di ispirazione cattolica e liberal-democratica, la cui base ideologica ha il sostegno di quella stessa classe borghese imperialista italiana che non disdegna neppure di sostenere Berlusconi, ma che ha puntato maggiormente su Prodi nelle ultime elezioni, perché con la sua politica moderata e improntata sulla razionalità delle scelte e sulla mediazione sociale è in grado di garantire i disegni di dominio della classe borghese nazionale egemone, senza estremizzare ed esasperare il conflitto sociale interno, assicurando quella pace sociale di cui tanto avrebbe bisogno la classe imprenditoriale italiana, per poter continuare a godere di alti profitti, come in questi ultimi due o tre anni e evitare lunghi e logoranti conflitti interni, che potrebbero compromettere il raggiungimento di alti profitti, come è stato fatto sino ad oggi, e far sì che non riemergano istanze marxiste nel movimento operaio (come è successo in modo dirompente a Melfi), dato che l'attuale borghesia italiana al potere teme fortemente la ripresa delle lotte operaie e del mondo del lavoro scatenate dalla politica avventuristica di Berlusconi. Soprattutto la borghesia teme che si possa aprire una stagione di lotte e che possano riprendere quota le istanze marxiste tra le classi subalterne. Di ciò si è resoconto in primo luogo la Chiesa cattolica che, pur mantenendo un basso profilo in campagna elettorale, non ha nascosto le sue simpatie per Prodi e l' intenzione di compattare il vecchio centro cattolico democristiano, in cui il papato ha una sorta di sigillo sulle scelte di politica etica e sociale, allo stesso modo di quello che sta avvenendo in molte società islamiche orientali. Ciò spiega il sostegno a Prodi di gran parte delle gerarchie cattoliche, nonostante che, nella complessa e variegata compagine dell'Unione, vi fossero presenti anime anti-clericali come i radicali e personaggi come Vladimir Luxuria, che fanno costantemente pressione sul governo, affinché lo stato italiano riconosca modi di vita di genere diversi dai modelli unici riconosciuti, favoriti e imposti dalla Chiesa Cattolica. Ma, nonostante ciò, la Chiesa Cattolica ha sostenuto L'Unione, perché è ben consapevole della estrema marginalità e minoritarietà di queste istanze dentro all'Unione e il fatto stesso che siano state messe in un angolo già in fase programmatica, malgrado le viscerali controffensive del centro destra che rincorre il voto omofobo e dell'integralismo cattolico, dimostra lo scarso peso di radicali e rifondisti all'interno dell'Unione, checché ne dicano Berlusconi e Bertinotti, seppure da punti di vista diversi, dato che nell'Unione, sin dall'inizio, sembra abbiano il sopravvento istanze confindustriali e il tipico moderatismo conservatore della vecchia DC. Ciò è confermato anche dall'esitazione con cui la compagine governativa dell'Unione sta decidendo il ritiro delle truppe dall'Iraq e la maniera con cui pretende continuare l'avventura imperialista in Afghanistan. Tutto ciò dimostra la mancanza di volontà della borghesia italiana di sganciarsi dall'alleanza con l'imperialismo statunitense, incapace di poter fare a meno delle briciole che gli USA gli concedono partecipando come galoppini alle imprese imperialistiche USA in Oriente. La linea politica che contraddistingue Prodi è impregnata di un forte moderatismo, pur restando fedele al dettato costituzionale, con una maggiore attenzione alle tematiche sociali e alle poliedriche problematiche della complessa società italiana. Prodi vorrà senz'altro dimostrare alla borghesia imprenditoriale italiana di essere più in gamba di Berlusconi nel risolvere i conflitti sociali scatenati dalla politica avventuristica e di rapina inaugurata dal governo Berlusconi, dialogando con i maggiori sindacati e riprendendo quella politica sindacale concertativi che si è rivelata, alla lunga, deleteria per le masse lavoratrici italiane e assai proficua per i principali gruppi capitalistici operanti in Italia. Prodi, quindi, in sostanza, rappresenta la via più soft al neoliberismo selvaggio del III millennio, impregnato di retorica democratica, che sfrutta a proprio vantaggio l'alleanza con il sindacalismo concertativo (CGIL-CISL-UIL, in primis) e assicura il totale controllo e quindi la quasi totale passività del mondo del lavoro nei confronti delle scelte filo imprenditoriali del governo dell'Unione e assicura una minore conflittualità sociale nel paese. Prodi ha dalla sua il pregio, da non sottovalutare, di vantare un entourage non fascista e non estremamente anticostituzionalista come quello che circondava lo staff di Berlusconi. Ma, nonostante ciò, Prodi resta pur sempre dentro il solco del capitalismo rampante italiano che emerse dalle politiche craxiane dagli anni '80 in poi. La riluttanza dell'amministrazione USA a riconoscere, da subito, il governo Prodi non deve lasciarci ingannare sulla reale portata del governo dell'Unione. Tale riluttanza USA è da leggersi piuttosto come una incapacità immediata del governo Bush di capire ciò che realmente è avvenuto negli ultimi anni in Italia e all'interno della classe borghese dominante italiana, dimostrando ancora una volta, come in altre occasioni ha dimostrato, la totale arretratezza di analisi politica del gruppo imperialistico guerrafondaio dominante degli USA, arricchitosi tramite il commercio di armi, petrolio e droghe, che lo fanno come il principale nemico della pace e della convivenza civile nel mondo. L'attuale ceto dominante negli USA è in realtà un ristretto gruppo accecato dal dominio planetario, privo di una pur minima apertura mentale e impregnato da un profondo disprezzo di classe verso tutto ciò che è diverso o ostile al proprio dominio globale. Le titubanze di Bush nel riconoscere da subito la vittoria di Prodi non sono sorte dalle denunce di frodi fatte dal principio dal suo servo Berlusconi, al quale ha dimostrato più volte di non tenere in minima considerazione, ma sorgono dal fatto che tra i gruppi politici che aderiscono al programma di governo dell'Unione vi sono due formazioni politiche che si richiamano all'ideologia comunista (PdCI e PRC), e Bush e soci dimostrano tutta la loro limitatezza politica nel credere che questi due marginali gruppi siano realmente comunisti e rivela altresì il grande terrore che ha l'imperialismo USA nei confronti di tutto ciò che anche lontanamente assomigli o si richiami al comunismo. Questa fobia anticomunista del ceto politico dominante degli USA è una malattia che si è diffusa in tutto il nostro pianeta in un periodo come quello attuale in cui i paesi socialisti sono rari e il pericolo sovietico è totalmente passato. Tutto ciò dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto ancora sia considerata pericolosa e temuta l'ideologia comunista per le classi borghesi imperialiste di tutto il mondo e dà il senso del valore antagonista attivo che ha questa ideologia ancor oggi per il riscatto delle masse subalterne, in tutto il pianeta.

Per i lavoratori e i ceti subalterni della società italiana non c'è da aspettarsi molto da questa neoeletta scompaginata compagine governativa. L'unica consolazione da questo cambiamento di governo è, se non altro, che non vedremo più certi personaggi fascisti occupare il televisore quotidianamente e che una certa cultura neorevisionista col corollario della ripresa di certi teoremi di marca nazi-fascista non dovrebbero più essere trasmessi in televisione e sui principali media del paese. Ci auguriamo che il popolo italiano possa avere modo di disintossicarsi da 5 anni di martellante campagna culturale impregnata di anticomunismo e di totale denigrazione della Resistenza e della Lotta Partigiana, che è stata criminalizzata dai portavoce del governo Berlusconi, con l'obiettivo non nascosto di demolire il dettato costituzionale che di quella gloriosa e sanguinosa lotta ne è il risultato più evidente e più alto raggiunto a livello politico nel nostro paese negli ultimi 60 anni.

I comunisti in Italia oggi

Purtroppo per contrapporsi all'egemonia culturale del revisionismo storico, che non è portato avanti solo da uomini dell'apparato del centro-destra, ma vede il concorso di molti intellettuali collocabili nell'area del centro-sinistra e ha avuto il beneplacito dell'intellighenzia dei DS, con la loro collaborazione politico ideologica con le frange meno estreme del centro-destra, in nome di una sorta di buonismo e di superamento degli steccati per avvicinare le parti sane del paese, per lavorare insieme per il bene della patria comune (sic!), occorrerebbe un forte movimento comunista e principalmente un non minoritario vero partito comunista, che sapesse contrapporsi validamente a queste campagne ideologiche e sapesse, a livello di massa contrastare tutte le bugie storiche sparse contro la Resistenza e sapesse creare un clima culturale di massa diverso da quello attuale. Ma sappiamo benissimo che ciò è impossibile soggettivamente, perché manca un partito di questo tipo nel nostro paese (come è per esempio il partito comunista greco in Grecia), ma manca anche oggettivamente una parte anche minoritaria di lavoratori o di cittadini che abbia la consapevolezza storica di aderire a questo progetto. La mancanza di un vero partito comunista organizzato in Italia è soprattutto colpa dell'estremo frazionismo presente a tutti i livelli delle grandi e piccole strutture che si richiamano o nominalmente o ideologicamente al comunismo e quindi è essenzialmente una colpa soggettiva, che investe tutti noi comunisti in prima persona. La mancanza di una coscienza di massa è la dimostrazione che decenni di revisionismo hanno avuto buon gioco sulle masse antagoniste e hanno deviato, se non addirittura fatto fare salti ideologici imprevedibili, a molti soggetti che dovrebbero essere i principali attori di questo struttura comunista organizzata. Occorre rilevare la totale assenza di un partito comunista organizzato, ispirato al marxismo-leninismo, che sappia far tesoro delle variegate lotte popolari e di classe, che costantemente emergono nel paese, per dare legittimità a queste lotte e inserirle in una strategia di ampio respiro, per aprire una vera speranza di cambiamento nel nostro paese. Dobbiamo ricordare che le difficoltà della nascita di un vero partito comunista nel nostro paese non sono solo imputabili, come ho appena detto, al clima pseudo-culturale xenofobo, razzista, fascistoide, creato ad arte da una miriade di mass-media dominati dalla destra e dal centro-destra, favoriti dal passato governo Berlusconi, oltre che da tutta una serie di interventi ideologico-culturali della Chiesa Cattolica, che in Italia, più che in altri paesi europei, ha una forte e radicata capacità di penetrazione ideologica nelle masse. Il clima ideologico attuale è dovuto dalla propaganda revisionista della maggioranza del centro-sinistra. Occorre rendersi conto che da oltre vent'anni l'egemonia politico-culturale dei variegati riformismi socialdemocratici presenti nel nostro paese, oltre all'emergere generalizzato dell'opportunismo politico in molte fasce della sinistra di ogni genere, ha svilito e emarginato il pensiero rivoluzionario della lotta di classe, relegandolo alle fasce marginali e poco evidenti di variegati e ostili tra loro gruppuscoli dell'estrema sinistra, dominata dai parolai e dagli avventuristi, spesso preda di infiltrazioni poliziesche, quando non affiliazioni stesse dei servizi segreti, da essere manovrati, col loro assodato avventurismo, in maniera funzionale alla strategia degli opposti estremismi, tanto cara alla vecchia DC, e non disdegnata neppure dall'attuale compagine dell'Unione. La frantumazione politica e ideologica che vive oggi la diaspora comunista di ispirazione marxista-leninista non produce nessun effetto, se non quello di logorare le varie forze e tenerle in un limbo di costante isolamento, improduttivo ai fini della costruzione di una organizzazione nazionale incisiva. La divisione e il frazionismo che emergono preponderatamente sin dentro i partiti istituzionali che hanno la pretesa di richiamarsi al comunismo, come il PdCI e PRC, accompagnano, in modi e maniere diverse, il già minoritario mondo dei marxisti-leninisti. Se nel PdCI la frattura generatasi tra Cossutta e i suoi delfini, Rizzo e Diliberto, a loro volta divisi in due rispettivi gruppi, è un frazionismo di natura personalistica, nel PRC i livelli ideologici sono attivi nel dividere coloro che si richiamano ad una pratica essenzialmente trozkysta, da una sorta di movimentismo esasperato che nasce dall'aver legittimato l'analisi acomunista di Toni Negri, da una frazione leninista più attenta all'internazionalismo proletario. Dalle lotte interne del PRC è nato recentemente il PCL di Ferrando, che appare più un aborto di partito comunista che un vero e proprio gruppuscolo organizzato trozkysta. Nell'area m-l più propriamente detta assistiamo ad una dispersione di forze, ad una frantumazione che appare deleteria per la costruzione positiva di un partito comunista. In quest'area vi sono i compagni del Comitato Marxista-Leninista d'Italia, che pubblicano la rivista La via del comunismo, il cui gruppo dirigente è ciò che resta del vecchio, glorioso e rissoso PCd'I (m-l). Vi sono i CARC di Giuseppe Mai, che in questi ultimi 10 anni le hanno tentate tutte per cercare di unificare sotto la loro organizzazione le varie realtà m-l, senza ottenere alcun passo avanti. Lo sviluppo dei CARC è stato bloccato dalla loro ostinata idea dei due ambiti paralleli, uno legale e uno clandestino, che progettato dall'alto, come una scatola preconfezionata, senza alcun reale dibattito esterno, ha fatto storcere il naso ai più e non è riuscito a convincere le altre formazioni politiche. Un altro gruppo è quello che fa riferimento alla rivista Rivoluzione di Padova, che sorto da una scissione con i CARC, è un prodotto della politica dei CARC stessi e sono la dimostrazione vivente del fallimento dei CARC. Oltre a questi gruppi esiste il consistente gruppo di Proletari Comunisti, emanazione del gruppo di Rossoperaio, che ha saputo mantenere contatti con realtà maoiste esterne, ma ugualmente non sa mantenere gli stressi rapporti con le altre realtà maoiste interne. Gli fanno da contro altare, usando le stesse tematiche e gli stessi argomenti, ostili come il gruppo precedente ai CARC, il Collettivo Comunista Gramsci di Trento, che negli ultimi anni si sono contraddistinti per il loro attivismo, specie in appoggio alla rivoluzione nepalese, ma che, come tutti i gruppi m-l sin qui citati, non sono stati capaci di oltrepassare i limiti del piccolo gruppo. Oltre a questi vi è l'attivo gruppo di Linearossa della Versilia, che ha un ottimo approccio nel sostenere le lotte sindacali e popolari locali, ma che non riesce a varcare l'area geografica di appartenenza. Oltre a questi esistono altri gruppi, più o meno organizzati, come Laboratorio Politico di Massa, oppure il gruppo che fa riferimento alla rivista Nuova Unità, sempre molto piacevole da leggere per le interessanti e poco note notizie che pubblica, o il gruppo politico che fa riferimento alla vivace personalità di Domenico Savio ad Ischia, che ha saputo raccogliere migliaia di voti con un simbolo m-l, a dimostrazione di quanto spazio elettorale potrebbe avere un partito m-l. Oltre a questi gruppi esistono poi altre realtà, come i settari compagni che si raccolgono attorno alla rivista Il Bolscevico, o coloro che si raccolgono attorno al programma politico della rivista Teoria & Prassi, anche se questi ultimi disdegnano il maoismo e sembrano essere rimasti fermi nel tempo, senza gli apporti evolutivi del marxismo degli ultimi 40 anni. Naturalmente abbiamo citato i gruppi a noi più noti e senz'altro ce ne sarà sfuggito qualcuno, meno noto o poco incisivo, come il gruppo per la Ricostruzione del Partito Comunista m-l di Oleggio (No), che ha però solo una marginale valenza locale. Di fronte a questo frazionismo esasperato, che è testimone di un fermento e di una attenzione maggiore, soprattutto di molti giovani, certamente superiore a quello che esisteva negli anni '80 e '90, dobbiamo renderci conto di quanto infantile e ideologicamente degenerativo esso sia, in quanto colpisce tutto il mondo m-l italiano e lo rende, nonostante il suo discreto potenziale umano, sterile e impotente nell'incidere e essere realmente partecipe nelle lotte che avvengono nel paese. Noi pensiamo che di fronte all'emergere di un vasto e variegato movimento no-global occorra che tutte le forze m-l si organizzino in un unico partito comunista, che sappia far prevalere l'azione concreta comunista sulle divisioni frazionistiche, che spesso nascondono opzioni personalistiche molto forti, ma nocive. Se vogliamo dare vita a ciò dobbiamo gettare la maschera dell'ipocrisia pseudorivoluzionaria, ma stare con i piedi per terra e dare vita ad un soggetto politico comunista, m-l, di classe, radicato nel movimento dei lavoratori, specie se giovani e precari, e collegato costantemente con le decine di lotte locali per miglioramenti di vita sui posti di lavoro e contro l'inquinamento, impostando l'agire politico ideologicamente e creando, nel confronto con i compagni e con le masse, una linea politica di massa da seguire. Il nuovo organismo, oltre a fare controinformazione, dovrà dare impulso alle lotte popolari e antimperialiste, facendo della solidarietà di classe agli immigrati e dell'internazionalismo proletario le basi principali dell'azione politica. Altro compito importante dei comunisti oggi, in Italia, è riprendere un discorso politico e culturale lasciato in sospeso alla fine degli anni '80, con la caduta ingloriosa della prima repubblica sommersa dalla sua corruzione. Non sarà certo una cosa facile, perché sulla opinione pubblica italiana pesano 15/20 anni di martellante campagna ideologica neorevisionista tesa a delegittimare e depoliticizzare l'impegno sociale, specie quello delle giovani generazioni, a cui è insegnato costantemente, a scuola e nei media, la criminalizzazione del comunismo in tutte le sue forme. La criminalizzazione del comunismo, dell'impegno sociale e civile fa parte di un disegno politico egemonico della destra e del centro-sinistra, in cui si tende a fare tabula rasa di decenni di lotte di classe e di massa, spesso guidate dai comunisti, che avevano saputo creare un clima di riforme sociali (sanità e scuola), civili (divorzio e aborto) e sindacali (statuto dei lavoratori) che hanno segnato positivamente la vita di milioni di lavoratori italiani. In tal modo, altro importante compito dei comunisti è quello di preparare i lavoratori e le classi subalterne a far avanzare le lotte, per incalzare il futuro governo Prodi nelle irrisolte questioni sociali, politiche e del mondo del lavoro, come la abolizione della inumana e iniqua legge 30 (Biagi) o la spinosa questione della TAV, affinché non ci si illuda che con la debole fuoriuscita di Berlusconi le questioni si risolvano automaticamente. Forse ci siamo lasciati alle spalle il neofascismo vestito da televenditore, ma occorre avere ben presente che la borghesia imperialista è ancora ben salda al potere e questo presuppone che occorrerà riprendere con non minor vigore le lotte contro un potere politico borghese che, in nome di una presunta crisi economica e di un falso progresso, non mancherà di riproporre una politica di sacrifici e di tagli, che colpirà ancora le masse lavoratrici. Pensiamo che occorra prepararci e darci gli strumenti adeguati (fondare il nuovo partito comunista) per affrontare adeguatamente il prossimo autunno di lotta.

Genova, 23 Giugno 2006

Circolo Culturale Proletario di Genova

Via C.Cabella 6° canc.-16122 Genova


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