La nuova guerra imperialista

Aginform, settembre 2001

Mentre gran parte del mondo è occupata a condannare il terrorismo ci si pone una domanda preliminare: chi sono gli autori degli attacchi aerei su New York e sul Pentagono? La risposta non è affatto scontata. Considerando gli obiettivi definiti da Bush dopo gli attentati e il clima che si è creato con il crollo delle torri, non è peregrina l’ipotesi che si sia trattato di un autoattentato. Per quanto possa essere difficile per molti credere a questa ipotesi, non dimentichiamo che cosa è successo con l’assassinio di Kennedy, coll’incidente del Tonchino, colle stragi in Italia, con tutti quegli episodi che hanno accompagnato la politica degli USA in questi decenni.

Le ragioni per ricorrere ad un autoattentato c’erano tutte: le difficoltà di Israele e la crisi in Medio Oriente, la crisi economica americana, la crisi di credibilità del G8, il ritiro dalla conferenza di Durban. Non è quindi escluso che il connubio USA-Israele abbia prodotto una miscela esplosiva al punto di rilanciare sull’onda dell’emotività prodotta dalle migliaia di vittime, un progetto imperialista di più vasta portata dopo quello delle guerre umanitarie. Si è passati cioè alla guerra totale e prolungata. Diciamo che questa è l’ipotesi più probabile e anche la più drammatica. Consigliamo i compagni e le compagne di leggere attentamente le cronache sulle indagini per individuare le mistificazioni e falsificazioni e quindi ricavarne utili elementi interpretativi.

Saranno invece i fatti a dimostrare, questa è la seconda ipotesi, se a realizzare gli attentati suicidi siano stati settori islamici non manovrati ed espressione solo ed esclusivamente di organizzazioni considerate integraliste.

Motivi per una azione dura contro la politica americana ce ne sono a iosa: dall’Iraq, alla Palestina, alla Jugoslavia, alla generalizzazione ormai dell’intervento armato americano e NATO nel mondo; quindi non si può escludere che gli attentati suicidi siano una risposta ad alto livello che proviene da ambienti che subiscono pesantemente l’iniziativa imperialista.

Che queste situazioni producano azioni armate sempre più forti di tipo terroristico è una scelta di fase inevitabile. In Palestina gli attentati sono una risposta militare commisurata ai rapporti di forza sul terreno, dal momento che non è possibile gestire una guerra convenzionale data la superiorità militare di Israele. Considerare azioni terroristiche quelle di Hamas è quindi assolutamente improprio. D’altronde, a chi ha poca memoria, ricordiamo la battaglia di Algeri che molti hanno conosciuto attraverso il film di Pontecorvo, e che nessuno si è sognato di definire un’apologia del terrorismo.

Gli attentati suicidi in America hanno la stessa valenza? In questo caso dobbiamo distinguere. Se chi li ha realizzati aveva in mente di dimostrare che il governo globale degli USA non è invulnerabile ha saputo colpire con efficacia. Se questo gesto è l’inizio di una fase puramente terroristica, quindi perdente sul piano politico e militare, saranno gli Stati Uniti a recuperare terreno.

Lo scontro che si profila comunque non è limitato alla caccia ai terroristi. Bush ha proclamato la guerra di lunga durata e gli europei hanno invocato l’art. 5 del trattato NATO per dire che anch’essi sono in guerra perchè vige il principo che l’aggressione si intende a tutta l’alleanza atlantica. USA e NATO hanno colto l’occasione per superare il livello specifico delle guerre locali, quelle definite umanitarie, per proiettarsi senza vincoli nella guerra totale e permanente.

La domanda è: contro chi è questa guerra? Contro Bin Laden? E’ semplicemente ridicolo pensare questo. La guerra globale sarà diretta contro tutti gli ostacoli, grossi e piccoli, che impediscono agli USA di imporre i propri interessi imperialistici: popoli, paesi, intere aree geografiche saranno coinvolte nello scontro fino a lambire i grossi poli mondiali, la Cina, la Russia, l’India. Il Medio Oriente sarà messo a ferro e a fuoco per controllare il petrolio e difendere i macellai israeliani. La Colombia, il Nepal, tutto ciò che si muove nel mondo è oggetto della guerra globale.

Siamo dunque entrati in una nuova fase. In appena dieci anni si è consumata l’ipotesi che lo sviluppo del capitalismo potesse essere di lungo periodo. Le contraddizioni incalzano e c’è bisogno di ricorrere alla guerra.

Mao sosteneva che quando il disordine è grande sotto il cielo, la situazione è eccellente, ma da quale punto di vista? Non certamente rispetto ai lutti, alle sofferenze, alle distruzioni che l’intera umanità dovrà pagare a causa della politica americana e dei governi europei. Contemporaneamente però le scelte americane provocheranno un’ondata di reazioni che non consentirà la vittoria dell’imperialismo, di questo dobbiamo essere certi. Per questo il terrorismo in quanto pura espressione dello scontro non è la strada da praticare. Per reagire alla guerra occorre impostare un’azione di respiro strategico che colleghi le varie spinte antimperialistiche e renda forte la resistenza alla guerra e all’aggressione imperialista. Quindi?

La risposta non può essere univoca, nel senso che dipende dalle situazioni. Nella periferia dell’impero dove si esercita in modo brutale il dominio imperialista occorrerà ricorrere alle guerre popolari e dimostrare, come avviene in Palestina, in Colombia, in Nepal, ecc. che è possibile resistere e vincere. In Italia e negli altri paesi occidentali, tra cui gli USA, occorre da una parte svolgere un grosso ruolo di chiarificazione impedendo il compattamento di massa attorno ai governi imperialisti e dall’altra far capire che il terrorismo è la diretta conseguenza della politica degli americani e della NATO e che l’unico obiettivo che abbiamo è quello di impedire la guerra e combattere i governi che la scatenano.

Il compito pratico che abbiamo di fronte, dunque, come comunisti e come antimperialisti è quello di farci carico di questi obiettivi e saper creare attorno ad essi il massimo di unità e di capacità di lotta.

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