La sinistra e la guerra

Se qualcuno non lo avesse capito ancora, l'imperialismo oltre alle bombe usa, come all'epoca di Goebbels, la propaganda per incitare alla guerra. Ieri era la lotta al comunismo e alle potenze demoplutogiudaiche, oggi è lo spauracchio del terrorismo. In pochi sono rimasti a credere ai filmini di Bin Laden e alle armi di sterminio di massa possedute dall'impero del male. In molti, a sinistra, ancora esitano però a combattere queste menzogne e le montature sul terrorismo casareccio annunciato. Sempre se vogliamo rimanere in tema di nazisti, dobbiamo riconoscere che le 'democrazie' occidentali hanno imparato da essi il principio che la menzogna lascia sempre degli effetti. Impariamo dunque a conoscere gli imperialisti e a combatterli adeguatamente. Come all'epoca dell'incendio del Reichstag e del processo Dimitrov.

Affermare che la sinistra italiana, dai Ds a Rifondazione ai movimenti, sottovaluta i pericoli di ritorsione militare che può subire il nostro paese a causa delle guerre terroristiche scatenate dall’imperialismo americano sarebbe solo una mezza verità. I Ds, allorquando divennero una forza di governo furono, per la prima volta nella loro storia (e a coronamento di una tragica parabola politica), non solo complici, ma direttamente implicati nell’aggressione alla Jugoslavia. Durante l’attacco all’Afghanistan non erano al governo, ma pure trovarono il modo bipartisan di accodarsi all’impresa criminale. Per cui oggi, se questi ex comunisti, macchiatisi anch’essi del sangue di quei popoli aggrediti, volessero rinsavire e lanciare un allarme sui reali pericoli che incombono sull’Italia troverebbero enormi difficoltà a farlo, perché ciò richiamerebbe l’attenzione sul loro stesso operato, sulla loro acquiescenza ai terroristi della Casa Bianca. Quindi l’ipotesi più probabile è che ad essi non resterà che bere il calice fino alla feccia, proseguire il loro percorso di solidarietà con le imprese di guerra del Pentagono. Difficilmente potrebbero avere altra scelta.

Un allarme, invece, lo ha lanciato Magri: "Cosa può avvenire, ad esempio, nell’eventualità, non improbabile, di nuovi atti clamorosi di terrorismo e di un intervento armato in Iraq? " (Manifesto rivista n. 30, pag.6). Cosa potrà mai avvenire? Magri non ce lo dice, si tiene prudentemente alla larga, lancia un sasso e nasconde la mano. Di sicuro andrebbero in fumo - in un drammatico clima di guerra - tutte le ricette riformiste che egli consiglia ai suoi amici ulivisti del tipo: 1. aprire spazi reali (?) a una politica monetaria anticiclica; 2. ristabilire qualche (!) forma di controllo sulla mobilità dei mercati finanziari; 3. definire obiettivi e strumenti unitari di una politica economica comune per lo sviluppo e l’occupazione; 4. stabilire confini invalicabili (?) oltre i quali la privatizzazione è socialmente dannosa; 5. imporre una redistribuzione del reddito più equa (??) e capace di sostenere la domanda interna (ibid. pag. 5). Ecco la ‘concretezza’ a-ideologica di un comunista pragmatico. E chi mai dovrebbe realizzare queste meravigliose e ‘razionali’ misure: i D’Alema e i Rutelli, che non sono stati neanche capaci di fare (cosa che era davvero concretamente possibile quando stavano al governo) una legge sul conflitto di interessi tale da spezzare almeno qualche dente allo squalo di Arcore? Questa stessa gente (e i loro omologhi europei) dovrebbero ora essere in grado di mettere le cose a posto nel mondo putrefatto dei mestatori della finanza imperialista internazionale (e scusate se usiamo una terminologia troppo ‘ideologica’), per porre un freno alla speculazione ed imporre una redistribuzione del reddito più equa? Magri queste cose le scrive perché si è dato, da decenni, il costume di essere a-ideologico, quindi sceglie sempre di parlare di cose ‘concrete’, ma siccome è anche una persona intelligente è probabile che non creda più, neanche lui stesso, in queste ricette.

Ritornando ai rischi di ritorsioni militari che corre il nostro paese, c’è da dire che con l’attuale governo questi pericoli aumentano. Un basilare principio marxista ci obbliga a tener conto delle contraddizioni in campo avversario, a tenere cioè ben distinti gli schieramenti di centro-destra e di centro-sinistra, nonostante le catastrofiche defaillances diessine - in materia di guerra - di cui si è detto. Luigi Pintor, in un editoriale del 17 luglio accusa giustamente la sinistra, tutta la sinistra, compresa Rifondazione che egli non nomina, di sottovalutare i pericoli di fascismo di cui questo governo è portatore. Ma è proprio la stessa rivista teorica del Manifesto (n. 30) ad offrire un campionario delle sottovalutazioni di questo pericolo, usando un linguaggio diametralmente opposto a quello di Pintor: "Non ha molto senso - dice Dal Lago - pensare di cavarsela dando del fascista a Berlusconi. Certo, tutta la televisione è inguardabile…Certo, la magistratura è sotto attacco, il sindacato diviso" (pag.30). Per Dal Lago tutte queste cose sono delle inezie, anzi, addirittura "la sinistra moderata italiana è la versione un po’ ‘buonista’ di una destra globalizzata" e se il centro-sinistra "tornerà a vincere la cosa sarà del tutto indifferente" (ibid.). Pensate che gran favore Dal Lago sta facendo a questo governo di affaristi, fascisti e razzisti!

Ma la cosa più grave, che sarebbe assolutamente miope se non delittuoso ignorare, risiede nel fatto che questo governo è divenuto l’avamposto dell’imperialismo americano in Europa. Non è un caso che Altan, che deve avere una sensibilità antifascista superiore a quella di certi professori di sinistra, rappresenti Berlusconi nelle vesti del capo di una repubblica delle banane. Solo dei professori universitari di sinistra riescono a non fremere di sdegno di fronte al servilismo del mezzo uomo di Arcore che striscia ai piedi del suo padrone d’oltre oceano. Non ha molto senso, dicono questi professori di sinistra, chiamarlo fascista. Niente li scuote, questi professori, neanche quei tre milioni di lavoratori confluiti a Roma da tutta Italia, i quali, essendo notoriamente delle persone semplici, riservano il loro odio e il loro disprezzo per Berlusconi. Il petroliere texano che siede alla Casa Bianca, incarnazione del marciume della borghesia imperialistica morente, nel suo pazzesco sogno di dominio planetario non si fermerà di fronte a nessun crimine. Egli tiene il mondo con il fiato sospeso per le sue continue minacce dell’uso di armi nucleari. Ritenendo se stesso invulnerabile perché protetto da due oceani e da uno scudo spaziale antimissile, l’imperialismo americano si appresta ora a completare la militarizzazione dello spazio immettendovi missili a testata nucleare pronti ad essere impiegati - come ci informa il compagno Dinucci sul Manifesto del 19 giugno - simultaneamente su alcuni stati ‘canaglia’.

Invano ci attenderemmo dalla borghesia monopolistica europea, annichilita dalla incolmabile superiorità militare Usa, un grido d’allarme sui rischi che attanagliano l’Europa. Ma un concreto, autentico, efficace grido d’allarme antimperialista non è, finora, in grado di lanciarlo neanche la sinistra cosiddetta antagonistica. Bertinotti è incrollabilmente fermo su una parola d’ordine errata (no alla guerra, no al terrorismo) che certamente non dispiacerebbe all’imperialismo americano se i suoi esponenti avessero l’arguzia di apprezzarla e non fossero invece quei bisonti che sono, impegnati a tramare colpi di stato fascisti in tutto il mondo e a tentare di assassinare leaders politici invisi. Noi non vogliamo la guerra, per carità! - dice la macchina propagandistica Usa - la facciamo solo perché costretti dal Male che aleggia sul mondo, cioè il Terrorismo. E noi, minchionescamente abbocchiamo. Ma se oggi nel movimento antiglobalizzazione prevale ancora un organico sistema ideologico fondato sul pacifismo, sul ghandismo, sull’idea della Guerra come categoria metafisica e non storica, sull’irrisione dell’ "ora X" (tutto ciò è stato ribadito in un recente editoriale del segretario di Rifondazione), ciò non è dovuto alle straordinarie capacità di persuasione di Bertinotti (che saranno pure notevoli). Le radici di questo neorevisionismo, in quanto fenomeno sociale diffuso, affondano in oltre cinquant’anni di sviluppo pacifico e di ‘regole del gioco’ che hanno nel parlamentarismo il loro centro di gravità. Cinquant’anni di sviluppo pacifico nel ‘civile’ Occidente, che si permette il lusso della democrazia politica (mentre il resto del mondo muore di fame), hanno corrotto, infiacchito, depotenziato il pensiero rivoluzionario. I principi marxisti-leninisti non sono versetti coranici da tenere a mente, ma la quintessenza dell’esperienza storica che il proletariato ha accumulato lungo il percorso rivoluzionario fino alla conquista del potere . Non vi è dubbio che i venti di guerra che soffiano minacciosi ormai anche sull’Europa apriranno la strada ad una forte ripresa, ad una riscoperta del valore grandioso di quei principi, ed allora il movimento antimperialista diverrà incomparabilmente più forte.

Amedeo Curatoli

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