L'imperialismo senza veli del nuovo ordine mondiale

Il dominio planetario della potenza imperialista USA e dei suoi alleati in Europa, Asia, Medio Oriente era emerso chiaramente già alla fine degli anni '80 e si era espresso col più inequivoco (e barbaro) dei linguaggi nella Guerra del Golfo di Bush, vero annuncio del "Nuovo Ordine Internazionale".

E tuttavia, se guardiamo al decennio trascorso e alla situazione attuale, si capisce bene che quello non era che un ancor timido inizio. Basta vedere come nel Medio Oriente e nei Balcani le potenze imperialiste intervengano ormai con continuità, senza ritegno e senza nemmeno avere la preoccupazione di munirsi dell'esile foglia di fico di una "copertura" ONU. Il livello della barbarie è segnato nel modo più esplicito dall'affamamento ormai decennale del popolo iraqeno, ma anche dal cinismo e dall'arroganza con cui viene condotta la disintegrazione della Jugoslavia e promossa l'occupazione militare dell'area balcanica (con esplicito significato di banco di prova di ulteriori future occupazioni nella direzione Caucaso-Asia Centrale).

Alla luce degli avvenimenti in corso, non ci sembra esagerato dire che siamo in uno dei momenti più bui del secolo morente, che ne ha avuti tanti (e pensiamo al 1914 e al 1941). Umanamente e politicamente, il senso di frustrazione e di impotenza, se non di disperazione, ci sembra comprensibile e giustificato, tanto più che il dispiegarsi dei progetti imperialisti va di pari passo - almeno da noi - con la neutralizzazione preventiva di ogni opposizione di massa alla guerra, se non proprio con la costruzione del consenso attivo. E non è solo una questione di manipolazione (peraltro sistematica e massiccia) dell'informazione e dei media. Nè solo una questione di "tradimento" di tanti partiti e movimenti e dei loro dirigenti (ci dicono che l'attuale segretario generale della NATO, Solana, nel 1985 facesse campagna con Pasti e Accame contro l'ingresso della Spagna nella NATO). Al fondo dei tradimenti e delle imbecillità (quante se ne sono sentite sull'ONU governo mondiale, sui diritti dell'uomo, sulle popolazioni da proteggere, sul Kosovo, ecc.) c'è il dato reale della polarizzazione della ricchezza e del potere a livello mondiale, che fa apparire "naturale" il potere del gruppo di paesi grottescamente denominato "comunità internazionale" e favorisce il senso dell'appartenenza ai paesi "civili" e "che contano" anche in vasti strati sociali subalterni nei paesi dominanti.

Mentre dunque gli imperialisti ormai gettano la maschera, la loro marcia può sembrare inarrestabile e l'opposizione può sembrare limitata a testimonianza a futura memoria o a gesto disperato.

La forza dei comunisti però è sempre stata - e soprattuttto nei momenti più bui - quella di comprendere a fondo il senso generale degli avvenimenti e il movimento della società. E' questa capacità, che dobbiamo coltivare e affinare, che consente di superare lo sconforto e vedere con chiarezza i punti deboli del nemico anche quando esso sembra onnipotente.

A 10 anni dal crollo dell'URSS e dei paesi socialisti europei si può ormai tentare un primo bilancio della fase di incontrastato dominio del capitalismo e delle potenze imperialiste iniziata nell'89.

In questo bilancio, l'accresciuta arroganza militare e la preparazione ormai esplicita di guerre su assai più vasta scala, va di pari passo con l'incapacità manifesta di esercitare un'egemonia capace di stabilizzare nel medio-lungo periodo la situazione di vantaggio senza precedenti di cui le principali potenze imperialiste si sono trovate a godere negli anni '90.

Vediamo i fatti:

  1. La restaurazione capitalista nell'URSS ha avuto la caratteristica di distruzione su larga scala di capacità e forze produttive, di rapina, di deposito del bottino all'estero, come se fosse stata il risultato di un'invasione straniera del tipo di quella nazista. Il risultato è una tragedia immane per la grande maggioranza della popolazione, ma anche una miscela esplosiva per l'ordine capitalista internazionale (e infatti l'ampliamento della NATO e i preparativi di guerra su ampia scala hanno per obiettivo dichiarato l'uso della forza per impedire ogni "ritorno indietro" in Russia e nell'Europa orientale).


  2. Sul piano economico e sociale in tutto il mondo (anche se con caratteristiche meno violente nei paesi del centro imperialista) il segno impresso dall'accresciuto potere del capitale è un segno negativo: aumento generalizzato e quasi ovunque catastrofico della povertà, crescita esplosiva dei problemi sociali, incapacità di indicare una qualsiasi prospettiva di ragionevole progresso e sviluppo.

    A questo proposito il fatto sicuramente più significativo è la crisi asiatica: gli unici paesi del cosiddetto "terzo mondo" che avessero conosciuto negli ultimi 20-30 anni un effettivo sviluppo economico (additati per questo ad esempio dagli apologeti del capitalismo) sono precipitati nel giro di pochi mesi in una crisi catastrofica, che si è abbattuta sui lavoratori e sulle loro famiglie, anche qui, con gli stessi effetti di una guerra (5 milioni di licenziati nella Corea del Sud, reddito nazionale medio diminuito del 75%, da 1.200 a 300 dollari per abitante in Indonesia, ecc.). L'effetto immediato della crisi, insieme alla sofferenza delle masse, è, anche grazie ai meccanismi del FMI, quello di accrescere il potere del grande capitale internazionale, ma è un potere che si esercita in condizioni che diventano sempre più critiche.


  3. La prospettiva di recessione generalizzata è ormai all'ordine del giorno. Dietro l'aspetto finanziario delle crisi che hanno sconvolto tutto il mondo, risparmiando per ora solo le cittadelle imperialiste, c'è l'eccesso di capacità produttive, quell' "epidemia sociale che in ogni altra epoca sarebbe apparsa un controsenso: l'epidemia della sovrapproduzione" (Marx-Engels, Manifesto del Partito Comunista). Già l'epidemia ha colpito il Giappone e non si vede proprio come potrebbe risparmiare gli Stati Uniti e l'Europa occidentale. L'ondata di maxifusioni in atto già da alcuni anni e la concentrazione enorme raggiunta dal capitale nelle multinazionali è un fattore di accelerazione e non di contrasto di questa prospettiva ormai imminente.


  4. Anche sul piano degli scontri politico-militari caratteristici di questo decennio, i limiti dell'egemonia esercitata dall'imperialismo sono ben evidenti: paesi come Cuba, la Corea del nord, la Libia, l'Iraq, pur essendo oggetto di attacchi diretti o di manovre destabilizzanti più o meno brutali sono riusciti a mantenere la loro indipendenza.


  5. La Cina, con la sua indipendenza politica e militare, rappresenta sempre più chiaramente un limite serio al dominio unipolare degli Stati Uniti e dei loro alleati ed è esplicitamente percepita e additata come tale.

Basta elencare, in modo necessariamente sommario, questi fatti per vedere che nel dominio imperialista, ancora incontrastato, si incominciano a formare, a soli dieci anni dal crollo dell'URSS, le prime significative crepe e contraddizioni e che queste sono destinate ad allargarsi in varie direzioni, sia per l'emergere di grandi movimenti di massa antimperialisti, sia per l'acuirsi - nella crisi - dei contrasti tra i diversi centri imperialisti. Quelli che oggi appaiono ancora come malumori all'interno di un condominio, sono destinati a diventare conflitti aperti e a sfociare sul piano politico-militare producendo modificazioni importanti nei livelli di coscienza e nelle possibilità di contrapporsi all'imperialismo. I preparativi di guerra che oggi vanno avanti incontrastati e inducono al più nero pessimismo sono anche la spia di una situazione di estrema instabilità dell'imperialismo e in prospettiva della sua vulnerabilità.

Ritorna alla prima pagina