IRAQ LIBERO

COMITATI PER LA RESISTENZA DEL POPOLO IRACHENO

Bollettino del 12 novembre 2005

http://www.iraqiresistance.info

Questo bollettino contiene:


EUROPA VERGOGNA!

Anche l’Austria nega il visto ad Haj Ali

Comunicato stampa dei Comitati IRAQ LIBERO

Senza pudore.
Anche l’Austria, dopo l’Italia, ha rifiutato il visto ad Haj Ali, il simbolo dei torturati di Abu Graib.
Un’Europa senza principi, senza dignità, subalterna agli Usa arriva ad imbavagliare un torturato.
L’ordine è partito direttamente da Washington: le vittime dell’occupazione americana dell’Iraq non devono avere alcun diritto di parola. E i governi europei si sono adeguati. Non solo dunque il governo Berlusconi, ma anche un paese come l’Austria, che non fa parte della Nato e non ha soldati in Iraq, ha detto signorsì.
Ce n’è abbastanza per gettare uno sguardo su questa Europa, che mentre a parole continua a presentarsi come la culla dei diritti umani, nei fatti li nega nel modo più clamoroso.

Non ci arrenderemo.
Quanto accaduto è uno scandalo.
Da tre mesi ci battiamo per il visto ad Haj Ali, oltre che per il diritto degli esponenti dell’opposizione irachena a venire ed a parlare in Italia ed in Europa. Ora lo scandalo è europeo, visto che, da quanto ci è dato capire, tutta l’Europa si è piegata ai voleri di Washington.
E’ dunque il momento di denunciare questo scandalo, di affrontare la questione dell’attacco ai diritti democratici, di sviluppare una mobilitazione in tutti i paesi del continente.

Noi faremo la nostra parte.
Ma chiediamo che anche altri facciano la loro, a partire dal movimento contro la guerra. Protestando e mobilitandosi in ogni forma possibile, cominciando dai presidi già previsti all’ambasciata americana di Roma lunedì 14, ed al consolato di Milano martedì 15. La strage di Falluja e le torture sui carcerati sono i simboli di un’occupazione criminale ed atroce che deve finire al più presto.

Comitati IRAQ LIBERO

12 novembre 2005



LETTERA DI HAJ ALI

ai popoli dell’Italia e dell’Austria

Ai popoli dell'Italia e dell'Austria
Dalle ferite della terra tra i due fiumi,
la nazione che chiama a lottare per la dignità e la libertà
delle vittime irachene - donne, bambini, anziani e giovani

Avrei voluto ricevere un visto per entrare in Italia e in Austria, ma non me lo hanno concesso. Mi fa male, e si aggiunge al doloro psicologico e fisico che ho sofferto ad Abu Ghraib. A quanto pare, negare la parola a chi difende la propria dignità, la propria casa e il proprio onore fa parte della democrazia che ci vogliono portare.

Il mio cuore è pieno di pace e di amore, anche se mi hanno rifiutato l'opportunità di venire nei vostri paesi, dove avrei potuto esprimere quello che pensavo mentre venivo reso invalido sotto le torture delle forze occupanti americane.

Decine di migliaia di vittime delle prigioni americane parlano alla vostra coscienza. Tutti voi sapete quello che è successo in queste carceri, come in quelle gestite dalle milizie di alcuni dei partiti attualmente al potere. Ma questa è solo una piccola parte degli orrori commessi nel nome dell'umanità e della religione.

Per chi si trova in carcere a dover affrontare diversi tipi di tortura, umiliazione e offesa, essere detenuti si trasforma in una scuola di resistenza, come reazione alla sofferenza.

Nell'occasione della visita del presidente iracheno ai vostri paesi, ci vorremmo rivolgere ai vostri popoli, parlamenti, governi, organizzazioni, partiti e movimenti politici nel nome delle vittime irachene. Talabani dovrebbe immediatamente rilasciare tutti gli arrestati e i detenuti nelle carceri dell'occupazione statunitense e anche nelle carceri di alcune delle milizie che lavorano con il governo. Vi chiediamo di ricordargli la solidarietà che i popoli del mondo hanno offerto al popolo curdo.

La prova che ho perdonato il rifiuto del visto sta nel fatto che io chiedo ai vostri popoli di agire per fermare la tortura e l'occupazione.

Lo spirito della rivoluzione è come un seme che cresce nel cuore e nella mente dell'essere umano, come ci ricorda il grande rivoluzionario Ernesto Che Guevara.

Potete avere tutto l'amore, il rispetto e ancora il rispetto.
Nel nome della libertà e della pace per tutti i popoli del mondo.

Haj Ali, fondatore e coordinatore
Associazione delle vittime delle carceri dell'occupazione americana
registrata come ngo



FALLUJA: IL VIDEO DELLA STRAGE

Che la presa americana di Falluja, nel novembre 2004, fosse stata un’autentica carneficina lo abbiamo sempre saputo. Già un anno fa dedicammo a questa città martire una quindicina di iniziative pubbliche, in altrettante città italiane, con la presenza di un rappresentante della Resistenza irachena.

E, proprio perché il silenzio su Falluja continuava, nel marzo scorso abbiamo promosso una manifestazione a Sant’Anna di Stazzema, dove abbiamo commemorato congiuntamente, con un gemellaggio simbolico con la città di Falluja, le vittime del nazismo, del fascismo e dell’imperialismo americano. Sapevamo che a Falluja gli americani avevano usato armi chimiche, che la città era stata rasa al suolo, che il numero delle vittime era spaventoso. Era chiaro, a chiunque lo volesse vedere, che la strage di Falluja, aveva la stessa portata di altri criminali bombardamenti a stelle strisce come quelli che hanno scritto nella storia i nomi di Hiroshima e Dresda.

Nel maggio scorso, un ampio e documentato reportage appariva sul settimanale “Diario”, che titolava in copertina “Apocalypse Falluja – Inchiesta sulla battaglia che ha aperto il secolo”. Dalle quindici pagine di quel reportage la verità emergeva appieno e le denunce di parte irachena risultavano tutte confermate.

Ma nella società dell’immagine mancava la “prova televisiva”. Questa è arrivata grazie alla trasmissione di Rai news24 andata in onda nei giorni scorsi. Ora nessuno, almeno per un pò, potrà più negare l’evidenza: che l’occupazione dell’Iraq è criminale oltre che oppressiva ed illegittima, che il vero terrorismo che insanguina il mondo è quello dell’imperialismo statunitense, che gli strateghi di Washington sono disposti a qualsiasi efferatezza pur di dominare il mondo, che la Resistenza irachena è non soltanto legittima ma anche necessaria per fermare l’ingranaggio di guerra su cui si fonda questo dominio.

Tra tutte queste affermazioni, quest’ultima è la più difficile da far comprendere in una società dominata dal “politicamente corretto” anche in larghi strati di chi pure si è opposto guerra. Ma è anche la più importante.
Viva la Resistenza irachena!


I PRESIDI DI LUNEDI’ E MARTEDI’

Perché ci saremo

Per protestare contro l’uso del fosforo bianco e per chiedere il ritiro delle truppe di occupazione si terranno, lunedì 14 a Roma e martedì 15 a Milano, due presidi rispettivamente all’ambasciata ed al consolato degli Stati Uniti.

I Comitati Iraq Libero saranno presenti a queste manifestazioni, ma il profilo di questi presidi non ci convince affatto.

Non ci convince perché:

1. Chiedere il ritiro immediato delle truppe è sacrosanto ma non è sufficiente. Come già avvenuto altre volte il testo di convocazione non cita neppure la legittima Resistenza del popolo iracheno. Questa omissione è tanto più grave perché Falluja non è stat rasa al suolo per caso, am proprio in quanto cuore e simbolo della resistenza popolare. Si denunciano così giustamente gli orrori degli occupanti (peraltro da sempre conosciuti e fino a ieri largamente dimenticati), ma si continua ipocritamente a non schierarsi. Anche con questo colpevole neutralismo si può cancellare un popolo. Non lo abbiamo mai accettato, non lo accetteremo di certo oggi.

2. Nel testo non troviamo neppure un riferimento al recente allineamento dei vertici dell’Unione alle posizioni di Berlusconi. “Il ritiro deve essere graduale” e soprattutto “concordato con gli alleati” hanno detto con piccole sfumature Prodi, Fassino, Rutelli ed Amato. Questa posizione non dista neppure un millimetro da quella espressa dal governo. Siamo ormai vicini alla cogestione bipartisan dell’impresa irachena, come evocato dal ministro della difesa Martino. Che alcune forze tacciano su questo non ci stupisce, ma si tratta di un’altra omissione inaccettabile.

3. Manifestare all’ambasciata ed al consolato va bene, ma perché farlo in giornate e con orari praticamente impossibili? Si vuole il successo, oppure no, di queste mobilitazioni? Non è difficile immaginare che qualcuno (il Prc per esempio) voglia sì smarcarsi dalle ultime posizioni dell’Unione, ma deve e vuole farlo nella maniera più innocua in modo da non disturbare il manovratore.

Ci saremo nonostante tutto ciò, perché la causa della lotta di liberazione del popolo iracheno è più grande di queste nostrane miserie, perché quel che è successo a Falluja ci parla nella maniera più chiara della realtà della guerra infinita, perché una risposta immediata va comunque data. Ci saremo per questi motivi, ma anche nella consapevolezza che occorre ben altro.


IO SONO STATO A FALLUJA

intervista a Javier Couso

Javier Couso, fratello di José, il cameraman di Tele5 assassinato a Baghdad dagli statunitensi, ha visitato Falluja. Ha raccolto eccezionali testimonianze sull'uso di armi chimiche e sulla sistematica violazione dei diritti umani nella città martire dove 50.000 civili avrebbero trovato la morte sotto le bombe e i rastrellamenti statunitensi


Intervista di Gennaro Carotenuto

Javier è nato a El Ferrol, in Galizia, la brutta città portuale dove è nato Francisco Franco, da una famiglia di tradizioni militari. È una frequentazione che lo aiuta nella straordinaria precisione con la quale descrive armamenti e fatti bellici. E la guerra, quella d'Iraq, ha cambiato la vita di Javier stroncando quella di suo fratello José, assassinato deliberatamente il giorno prima della presa di Baghdad mentre lavorava all'interno dell'Hotel Palestina. Sui fatti del Palestina dove trovarono la morte José Couso e Taras Protsyuk, Javier è in grado di esibire documentazioni inoppugnabili che testimoniano come un plotone dell'esercito statunitense quella mattina ebbe l'ordine "di andare a giornalisti", colpendo prima Al Jazeera, quindi Al Arabija e quindi l'Hotel Palestina.

Il documentario di RaiNews24 conferma visivamente quello che Javier racconta da mesi a chi lo vuole ascoltare. È tra i pochissimi occidentali ad avere visitato la Guernica irachena e considera pienamente credibile il numero di 50.000 civili morti in una città che prima della guerra contava 350.000 abitanti.

"Non è stato facile entrare - la sua visita risale allo scorso aprile - ma eravamo talmente determinati che ci siamo riusciti. Portavamo materiale sanitario. Ancora oggi si combatte in città e anche in nostra presenza cadde un marine. Tutte le case, tutte le moschee sono distrutte", racconta. Durante tutte le guerre il rispetto dei luoghi di culto è stato garantito ed ogni volta che è stato violato, la violazione è stata considerata un sintomo di barbarie. _"In Iraq invece fin dall'inizio le moschee sono state considerate bersagli legittimi e secondo me è stata una scelta precisa, un modo deliberato di provocare la guerra civile nel paese".

È difficile pensare ad un gruppo di sette spagnoli attraversare l'Iraq. "Ma gli iracheni, nonostante tutto sanno distinguere tra gli occidentali. Il nostro gruppo è stato accolto con baci ed abbracci e ringraziandoci per il ritiro delle truppe spagnole". Nel quartiere di Adamiha di Baghdad, considerato "100% resistente", "in un primo momento ci furono gesti minacciosi, ma sapevano perfettamente chi era mio fratello e quindi anche lì siamo stati accolti bene". Non è l'esperienza di altri occidentali, incluso sequestrati come Giuliana Sgrena del Manifesto: "e chi lo sa chi ha sequestrato Giuliana e a quali interessi rispondevano?" risponde Javier.

"Abbiamo prove di famiglie intere assassinate, che le donne sono state tutte stuprate in maniera sistematica dalle truppe statunitensi, di bambini crivellati di colpi nelle loro culle, di persone assassinate mentre esibivano stracci bianchi in segno di resa, di cani che hanno mangiato i cadaveri che gli invasori per giorni e giorni hanno impedito di seppellire". I fatti narrati dalla testimonianza diretta di Javier sono comparabili ai racconti sull'occupazione nazista in Europa Orientale.

Dappertutto Javier Couso ha raccolto testimonianze sull'evidenza dell'uso di armi chimiche, napalm, fosforo e sulle strane malattie che stanno dilagando nella città: "Il quartiere di Jolan è distrutto al 95%. Ma non è distrutto in maniera normale. La pietra si è sbriciolata, trasformandosi non in macerie ma in sabbia. Non so che tipo di esplosivo di enorme potenza possa essere stato usato. Tutti parlano di armi chimiche, di persone praticamente consumate e soprattutto delle malattie che colpiscono i sopravvissuti".

Il supplizio per Javier non è finito, le umiliazioni dei sopravvissuti sono costanti: "Una scuola elementare è rimasta intatta e quindi occupata. Ho visto i bambini fare lezione proprio di fronte, sotto un telo di plastica e bruciati dal sole". Tutti i servizi sanitari sono stati colpiti e oggi sono di fatto inesistenti: "L'esperienza più terribile che ho vissuto direttamente è stata vedere morire davanti ai miei occhi un ragazzo di 22 anni per una crisi respiratoria leggera. Abbiamo condiviso la disperazione dei medici. Se solo avessero avuto un po' di ossigeno si sarebbe salvato".

L'invasione, secondo Couso è cominciata proprio dall'ospedale: "I racconti dicono che sono entrati picchiando e rubando sistematicamente, i gringos hanno rubato tutto quello che hanno potuto. Hanno riunito medici e infermieri, li hanno ammanettati e lasciati inginocchiati con la testa per terra tutta la notte". Qui la testimonianza di Javier Couso si fa se possibile più cruda: "Per almeno otto giorni, mentre la città veniva coventrizzata, in nessun ospedale, in nessun ambulatorio, in nessun centro medico è stato permesso che affluisse un solo ferito. Questo testimonia che tutti i feriti hanno ricevuto il colpo di grazia o sono stati lasciati morire dissanguati". Le immagini che hanno fatto il giro del mondo e che sono state rapidamente silenziate, confermano la testimonianza di Couso. "È che loro - gli statunitensi - non lo negano. Semplicemente rivendicano di avere fatto un uso adeguato della forza, secondo le loro regole di combattimento. Suppongo che siano le stesse regole di combattimento dei nazisti".

12 novembre 2005


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