di Raniero la Valle, da «Liberazione» del 4 aprile 2001
Se l'arresto di Milosevic fosse un affare interno della Repubblica Jugoslava, non ci sarebbe niente da eccepire. Nessuno ha mai pensato che nel conflitto jugoslavo, dove tutti hanno compiuto crimini, dai capi delle fazioni armate ai negoziatori di Rambouillet, il presidente jugoslavo fosse l'unico immune da colpe. L'obbligatorietà dell'azione penale e l'indipendenza della magistratura dal potere politico, che rivendichiamo quando è sotto attacco in Italia, devono valere per tutti, anche nei Balcani.
Ma l'arresto di Milosevic è intervenuto per una volontà esterna, e come un'azione sostitutiva, escogitata dal nuovo potere di Belgrado, invece della consegna di Milosevic al tribunale dell'Aja, che sarebbe stata patita come un'umiliazione della sovranità jugoslava. In questi termini, questa giustizia è una vergogna. Lo è in quanto esercitata su impulso del Tribunale dell'Aja, che dovendo giudicare i crimini commessi nei conflitti jugoslavi, non ha giudicato la distruzione del diritto compiuta dalla Nato, che ha violato tutte le norme del diritto internazionale e del diritto umanitario di guerra, perfino ammazzando i giornalisti, bombardando la sede della Televisione jugoslava. Il Tribunale dell'Aja ha aperto e subito chiuso l'inchiesta sulla Nato, non trovando nulla riguardo a cui procedere. Dunque è la giustizia dei vincitori.
Ma prima ancora che dalla responsabile della Procura internazionale dell'Aja, l'arresto è stato reclamato dall'America di Bush, e con un ultimatum che scadeva il 31 marzo, giorno in cui è stato eseguito, in cambio di una elargizione di 50 milioni di dollari, pari a 100 miliardi di lire. Cento miliardi sono una cifra irrisoria, pari alla somma che, secondo la prima delle notizie che ha voluto pubblicare L'Unità tornando in edicola, viene spesa da Berlusconi per la sua campagna elettorale per acquistare il potere in Italia. Cento miliardi per comprarsi la Jugoslavia e per venderla, è una cifra irrisoria; al cambio sono meno di 30 danari.
Ma non è una taglia su un colpevole. E' una vendetta, per l'unico vero delitto che l'America non può perdonare, che è il delitto di aver resistito all'America, e che Milosevic non ha compiuto da solo. Si può dire che anche noi, che ci siamo opposti alla guerra, ne siamo stati complici. Un delitto che fin troppo a lungo non è stato perdonato al Vietnam, che non è stato perdonato in Salvador a mons. Romero e a quanti si sono opposti al regime voluto dagli Stati Uniti, che non è stato perdonato a Saddam Hussein e all'intero popolo iracheno, che continua a pagarne il prezzo in una guerra che per i vincitori non è mai finita, e in uno strangolamento che ammazza i bambini e si perpetua da una generazione all'altra di iracheni, anche nati dopo i fatti imputati come reato. Dunque si tratta di una giustizia tribale, che pretende la vendetta del sangue senza discernimento dei colpevoli e senza distinzione tra i padri ed i figli.
Quando dopo una lunga storia di diritti negati e di popoli calpestati la comunità internazionale ha riconosciuto e affermato i diritti umani, quando col patto di Roma si è tentato di istituire un Tribunale penale internazionale permanente che gli Stati Uniti si rifiutano di accettare e impediscono che nasca perché non vogliono sottoporsi ad alcuna giurisdizione, rivendicando l'impunità dei loro poteri imperiali, si pensava a una ben diversa istituzione e sovranità del diritto, si sperava in una ben diversa giustizia, si intendeva un'oggettività e un'imparzialità dei giudizi, senza vendette, senza imputati precostituiti e senza sentenze manipolate dal potere. Nulla di tutto ciò si riscontra nel modo in cui Milosevic, come si dice, viene ora "assicurato" alla giustizia, grazie a un salario di cento miliardi e con il mondo intorno a fare il tifo come in uno stadio. E' una brutta pagina per la civiltà del diritto, è un'ulteriore umiliazione per l'Europa.