Bertinotti a Livorno
L'eredità del PCI

Anche Bertinotti non si è sottratto al rituale di Livorno e il 21 gennaio ha rievocato l’evento rivendicando una continuità tra il PCI e il PRC. Si tratta di una appropriazione indebita? A discolpa di Bertinotti dobbiamo dire che le apparenze danno ragione alla sua presunzione di essere l’erede di Gramsci e di Togliatti in quanto il PRC è collocato elettoralmente all’opposizione e oscilla, in quanto partito 'di lotta e di governo’ dentro l’alveo storico in cui il partito comunista si è collocato nel dopoguerra. Ma, come direbbe Antonio Di Pietro, che cosa ‘ci azzecca’ il PRC col PCI? Possiamo dire poco o nulla e per molte e valide ragioni.

In primo luogo perchè il suo gruppo dirigente non è stato protagonista di una battaglia contro la liquidazione del PCI prima del suo scioglimento. Se si fa eccezione dei famosi emendamenti cossuttiani, e che cosa intendesse Cossutta per comunisti lo si è visto durante la guerra contro la Jugoslavia, il PCI ha navigato fino in fondo la sua deriva capitolarda senza che per tempo e in maniera chiara si determinasse, al suo interno, un'opposizione non solo ai progetti occhettiani della Bolognina, ma anche e sopratutto al PCI che si faceva Stato e diventava negli anni '70 un puntello determinante del sistema capitalistico e mafioso italiano.

Perciò, dire oggi che si ereditano le migliori tradizioni del PCI senza essere stati protagonisti di una vera battaglia contro la sua integrazione nel sistema di governo e di sottogoverno è una cosa poco convincente e sa molto di manovra elettoralistica. Nell’immaginario bertinottiano definirsi eredi del PCI significa credere o illudersi di credere di poter rinnovare i fasti del periodo in cui si lanciava lo slogan: 'non c’è vittoria e non c’è conquista senza il grande partito comunista’. Ma questo slogan era stato coniato quando il PCI aveva il 30% dei voti e la destra non aveva il peso che sta avendo ora. E, soprattutto, quando il radicamento sociale e la forza organizzativa di questo partito davano credibilità ad una prospettiva vera di cambiamento. Il PRC non può illudersi di rivestire questo ruolo. La rappresentanza sociale di questo partito ha caratteristiche molto diverse. La sua base e la sua articolazione sociale sono prevalentemente fondate su un soggetto politico di sinistra che ama definirsi antagonista e che con la storia dei comunisti ha ben poco a che fare. Possiamo ben dire che Rifondazione è un misto di berlinguerismo e di nuova sinistra, cioè di quel prodotto politico degli anni '70\'80 che non ha vissuto e gestito nè i grandi scontri sociali nè le vicende storiche di un PCI legato alla terza internazionale.

Certamente ci sono frange del partito, e tra queste possiamo annoverare i simpatizzanti della rivista l’Ernesto, che tendono a dare una continuità politica e storica tra PCI e PCR, ma esse non sono la caratteristica essenziale del partito di Bertinotti.

Non è un caso che dentro Rifondazione Comunista i trotskysti, questi quattro gatti che dentro la sinistra non hanno mai contato nulla, si sono facilmente impadroniti di posti chiave sia nella maggioranza che nella mozione di minoranza, cioè hanno dato una fisionomia e una cultura a un partito che se avesse potuto rivendicare la continuità storica della parte migliore del PCI non avrebbe permesso che ciò accadesse. Come anche, se fosse esistita una continuità tra PCI di Gramsci e di Togliatti e PRC, non si sarebbero permesse quelle ignobili campagne condotte su Liberazione contro Milosevic o la Cina.

Nè si sarebbe arrivati, dopo tanti discorsi sulla Rifondazione, alla esaltazione del libro di Marco Revelli, peraltro eletto nelle liste PRC a Torino, dove comunismo e nazismo si accomunano in una identica condanna e si esalta il lavoro ‘indipendente’ attribuendo alla classe operaia e ai suoi partiti la responsabilità di aver riprodotto l’inferno capitalista.

Come giustamente ha detto il compagno Losurdo in un articolo pubblicato su questo foglio, il PRC non sarà mai un partito comunista. Semmai sta alla responsabilità dei comunisti che militano in Rifondazione di evidenziare la loro identità e di imprimere un diverso indirizzo agli eventi, abbandonando l’illusione che si possa convivere pacificamente con i trotskysti e gli anticomunisti alla Revelli.

Aldilà comunque delle questioni legate all’indirizzo politico del PRC, i comunisti, in Italia, hanno bisogno di fare i conti col PCI e la sua storia e non in termini di appropriazione, ma di analisi e di valorizzazione della sua tradizione di classe e rivoluzionaria, sapendo distinguere le cose positive dalla degenerazione. Una cosa è certa, senza fare i conti con queste cose non è possibile ricreare un partito comunista in Italia. Per ricrearlo intanto dobbiamo mettere in evidenza la portata storica della sua esperienza non solo nazionale, ma anche internazionale, e rivendicarla fino in fondo. Il PCI della clandestinità, della lotta armata antifascista, della fondazione della Repubblica, della Costituzione è il nostro partito, come la rivoluzione d’ottobre, la creazione dell’URSS e la terza internazionale sono la nostra storia. E’ a partire da questa storia che dobbiamo fare i conti con la degenerazione opportunistica del PCI e dei suoi epigoni, con la strumentalizzazione che essi hanno fatto, e questo va detto senza apologia alcuna, di Gramsci e di Togliatti.

Molti compagni che si richiamano al marxismo leninismo in modo affrettato e con la saccenza dovuta al pressapochismo hanno liquidato la storia del PCI bollandola di revisionismo. In realtà la trasformazione del PCI è interna ai problemi del movimento comunista internazionale dopo la seconda guerra mondiale e senza fare i conti con le questioni oggettive di definizione teorica e di bilancio storico di queste vicende non si può riprendere con successo un percorso di ricostruzione. Il PCR strumentalizza la storia del PCI e poi si esprime tramite coloro che condannano Arafat perchè fucila gli agenti palestinesi al servizio dei massacratori israeliani, oppure si sofferma sull’eccidio dei fascisti a Schio del 1945 oppure per bocca del trotskysta Maitan rievoca le vicende di Tresso a uso e consumo della propaganda anticomunista. Il PCI dei comunisti non è questa cosa. Sta ai comunisti dentro e fuori Rifondazione dimostrare qual’è il modo giusto di rifarsi ad una grande tradizione. Finora ci siamo mossi poco e male in questa direzione, presi come siamo a sfornare partitini comunisti formato francobollo o a trastullarci in esperienze tattiche o movimentiste mentre gli anticomunisti si appropriano di Livorno.

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