Perchè ho aderito all'iniziativa

di Domenico Losurdo

Intervento pronunciato alla manifestazione del 13 dicembre a Roma

Non ho preso a cuor leggero la decisione di aderire a questa iniziativa, da più parti bollata quale espressione di cieco e indiscriminato antiamericanismo. Senonchè, nei giorni scorsi, in occasione del’arrivo a Londra del presidente degli Stati Uniti, mi è caèpitato di leggere una letera aperta scritta dal commediografo inglese Harold Pinter: "Caro Presidente Bush, sono sicuro che avrà una piccola pausa per il tè col suo socio nei crimini di guerra Tony Blair. Vi prego di innaffiare il vostro sandwich al cetriolo con un bicchiere di sangue" (riportato da Thomas L. Friedman in "International Herald Tribune" del 21 novembre). E’ vero, è la presa di posizione di un uomo di teatro. E allora diamo la parola ad un politico, Ken Livingstone, sindaco di Londra. Questi, sempre a proposito di Bush, ha dichiarato: E’ la più grande minaccia per la vita sul nostro pianeta" (in "Die Zeit" del 20 novembre, p.2). Bene, sono qui, perchè ritengo che senza lottare contro tale minaccia il richiamo ai valori della democrazia, della pace, dell’antifascismo è semplicemente una frase vuota. Ma non rischiamo tutti noi di portare acqua al mulino del terrorismo? Nel rispondere a questa accusa, piuttosto che a Marxe a Lenin, voglio richiamarmi a un autore di oltte quattro secoli fa. Sì, alla fine del Cinquecento, mentre era già scatenata la furia genocida che annientava gli indios in nome dell’espansione della civiltà e della lotta contro l’antropofagia, Michel de Montaigne scriveva un saggio Sui cannibali, in cui richiamava l’attenzione sul fatto che il peggior cannibalismo era quello di cui davano prova i conquistadores occidentali, i sedicenti civilizzatori.

E’ una lezione che deve essere tenuta presente da chiunque oggi voglia fare un discorso serio sul terrorismo. Stando alle cifre riportate dalla stampa americana, nel corso dell’ultima guerra sono morti almeno 11 mila irakeni (Nicholas D. Kristof in "International Herald Tribune" del 20 novembre), in larghissima parte civili. E questo massacro si è abbattuto su un popolo, per più di un decennio rinchiuso in quella sorta di versione postmoderna del campo di concentramento che è l’embargo. Ora, dopo l’ultima guerra, all’embargo fa seguito un campo di concentramento più tradizionale, col filo spinato che rinserra interi villaggi e intere città e coi rastrellamenti casa per casa che seminano il terrore anche durante la notte. Come riconosce la stessa stampa statunitense, le truppe di occupazione vogliono far pagare "ai comuni irakeni il costo della noncooperazione" (Dexter Filkins in "international Herald Tribune" dell’8 dicembre). Dovrebbe allora essere chiaro a tutti dov’è il terrorismo.

Purtroppo, assieme alla coscienza critica l’ideologia dominante tende a cancellare anche la memoria storica. Se per terrorismo si intende lo scatenamento della violenza contro la popolazione civile in vista del conseguimento di determinati obiettivi politici e militari, bisogna allora dire che i due più grandi singoli atti terroristici della storia sono stati i bombardamenti nucleari di Hiroshima e Nagasaki, l’annientamento nucleare della popolazione civile di queste due città. E’ da aggiungere un particolare ulteriormente raccapricciante: autorevoli storici statunitensi fanno notare che l’annientamento della popolazione civile delle due città, più che il Giappone ormai vicino alla capitolazione, aveva di mira l’Unione Sovietica, cui veniva lanciato un pesante avvertimento. Dunque, siamo in presenza di due atti di terrorismo su larghissima scala e per di più trasversale: si massacrano centinaia di migliaia di civili inermi del vecchio nemico per terrorizzare il nuovo nemico! Ora proprio il paese che è responsabile di ciò e che su questa vicenda rifiuta qualsiasi riflessione autocritica, proprio gli Stati Uniti pretendono di decidere in modo sovrano e inappellabile chi è terrorista e chi no.

Si potrebbe obiettare, a proposito di Hiroshima e Nagasaki, che si tratta di un orrore che appartiene al passato e che non ha più un significato politico attuale. Ma le cose non stanno così. Con la dottrina della guerra preventiva, gli Stati Uniti si riservano il diritto di colpire col loro mostruoso potenziale militare ogni paese ribelle; essi non esitano neppure ad agitare la minaccia del primo colpo nucleare. Il terrorimo ha ormai assunto dimensioni planetarie. E’ la cancellazione di ogni traccia di democrazia nei rapporti internazionali, è la negazione totale della "libertà dalla paura" che pure, a suo tempo, Franklin Delano Roosevelt aveva proclamato come una delle libertà fondamentali.

Appare allora fuorviante la tesi di coloro che dichiarano di voler lottare su due fronti, contro guerra preventiva da un lato e terrorismo dall’altro. Non solo tale tesi rischia di mettere sullo stesso piano inaccettabile violenza indiscriminata contro la popolazione civile e resistenza armata all’aggressore e all’occupante, del tutto legittima dal punto di vista del diritto internazionale e della stessa Carta dell’ONU. No, c’è qualcosa di peggio. Nel caso dell’Irak è chiaramente coniugata al passato la condanna della guerra preventiva: questa è già avvenuta e si è trasformata in occupazione militare; la condanna del "terrorismo" è invece coniugata al presente, bollando coloro che oggi sono costretti a lottare contro l’occupazione militare. E’ un atteggiamento che sfocia in ultima analisi nel riconoscimento del fatto compiuto. E’ inoltre da tener presente che la resistenza in corso contro l’aggressore e l’occupante sta ostacolando seriamente i piani statunitensi per nuove guerre contro la Siria, l’Iran, ecc.: condannare come "terroristica" la resistenza irakena in quanto tale significa ridare slancio a questi piani bellici. D’altro canto, proprio in nome della lotta contro il "terrorismo", l’amministrazione Bush ha cominciato a stringere il capio intorno al collo del popolo siriano. Infine, la tesi che chiama a lottare su due fronti sembra suggerire che agli Stati Uniti si può addebitare solo la guerra, mentre di atti di terrorimo si macchierebbero solo i nemici di Washington. E invece, come abbiamo visto, i responsabili della guerra sono anche i primi e principali responsabili di un terrorismo che oggi colpisce direttamente il popolo irakeno, ma già prende la mira contro altri popoli e i paesi di tutto il mondo.

D’altro canto, sappiamo con Marx che non è libero un popolo che ne opprime un altro. E se negli Stati Uniti ha prodotto l’orrore di Guantanamo e la rinascita del maccartismo, anche in Italia la politica di guerra comincia a provocare guasti profondi, come dimostra il clima di intimidazione che si è creato intorno all’odierna iniziativa. Siamo qui anche per ribadire che non intendiamo lasciarci intimidire. Per quanto mi riguarda, come a questa iniziativa, con lo stesso spirito unitario intendo dare il mio appoggio alle altre che già si preannunicano. La resistenza del popolo irakeno e il rifiuto dela politica di guerra e di terrore degli Stati Uniti sono un’unica grande causa, che non deve essere turbata da settarismi e provincialismi di alcun genere. Che questo nostro incontro possa costituire un primo importante contributo allo sviluppo di un grande movimento antimperialista e antifascista, per la pace e per la democrazia.

Domenico Losurdo

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