Rivoluzionari e riformisti di fronte alla storia

di Domenico Losurdo

Credo che sia stato già sottolineato il fatto che noi veniamo da una grave sconfitta e che naturalmente questa sconfitta si fa ancora sentire e noi ci interroghiamo su come uscirne. Talvolta, anche in questa sede, si è fatto uso di questa coppia concettuale: da una parte la sinistra rivoluzionaria, dall’altra parte la sinistra riformista; da una parte coloro che sposano fin in fondo il rigore rivoluzionario, dall’altra coloro che si attardano nella palude del tatticismo.

Dinanzi a questa analisi a me verrebbe da rispondere con un sospiro: se fosse vero sarebbe molto bello. Se fosse vero, basterebbe un supplemento di energia rivoluzionaria e di rigore morale per cercare di uscire dalle difficoltà in cui ci troviamo. Ma in realtà le cose stanno in modo radicalmente diverso.

Prendiamo proprio spunto da quella tragedia che giustamente è stata considerata una cartina di tornasole: quello che si è verificato in Jugoslavia. Io credo che l’atteggiamento di Rifondazione Comunista debba essere giudicato con molta severità, perchè nella migliore delle ipotesi ha assunto un atteggiamento terzaforzista e a dimostrazione di questo, basta vedere che cosa è successo dopo la guerra: una volta che la guerra è continuata con un colpo di stato, come giustamente è stato detto, ecco che questo colpo di stato viene salutato positivamente da "Liberazione", per non parlare del "Manifesto". Dunque dobbiamo dire che qui è stata la sinistra riformista a subire questo slittamento così vergognoso? Non dobbiamo dimenticare purtroppo che a scatenare la campagna contro Milosevic si è impegnata ancora di più un’organizzazione come Socialismo Rivoluzionario. Naturalmente potremmo dire Socialismo Rivoluzionario è un’organizzazione trotskista e quindi i conti tornerebbero: come al solito riformisti e trotsksti uniti in una lotta infame. I conti tornerebbero se non fosse per un particolare che forse tutti conosciamo ma che di rado facciamo intervenire nell’analisi e cioè che una componente dell’UCK pretendeva di essere erede di Enver Hoxha, pretendeva e pretende di essere marxista-leninista, pretendeva di richiamarsi a un dirigente che era alla testa della lotta contro il revisionismo e contro il trotskismo. Vedete dunque che da questo punto di vista la contrapposizione sinistra riformista-sinistra rivoluzionaria non ci porta tanto lontano; tutti i discorsi per cui si tratterebbe di combattere contro il tatticismo con un’iniezione di rigore rivoluzionario (ci sono i compagni che si presentano come infermieri proprio per fare questa iniezione) non ci portano lontano. Non ci portano lontano perchè, è chiaro, agli eredi di Enver Hoxha che lottano con l’UCK, certamente non si può rimproverare il tatticismo, avendo combattuto con le armi in mano. Certamente però gli si può rimproverare di essere stati oggettivamente alla coda degli imperialisti. Non c’è dubbio, e non è certo su questo che dobbiamo sfondare porte già spalancate. Ma quale conclusione ne dobbiamo trarre?

Analisi concreta della situazione concreta

Ne dobbiamo trarre la conclusione che in primo luogo si tratta di fare un’analisi concreta della situazione concreta, si tratta di tener presente certamente l’indicazione di Lenin, che sottolineava l’enorme importanza della questione nazionale, ancora oggi, soltanto che dobbiamo tener conto di come è cambiata la situazione, anche per quanto riguarda la questione nazionale. Per tutto un periodo storico è stato il movimento rivoluzionario e comunista che ha saputo agitare la bandiera della questione nazionale per mettere in difficoltà l’imperialismo. Oggi, non lo dobbiamo dimenticare, è di fatto l’imperialismo che, agitando strumentalmente la bandiera della questione nazionale, cerca di distruggere quello che resta del socialismo e ogni stato che in qualche modo costituisce un ostacolo alla marcia dell’imperialismo. Vale per la Jugoslavia, che già è stata smembrata e che si continua a voler smembrare; vale per esempio per l’Iraq, non c’è dubbio; vale per un paese del quale qui si è parlato forse troppo poco, cioè per la Repubblkica Popolare Cinese, perchè non c’è dubbio che oggi l’imperialismo aspira a smembrare la Repubblica Popolare Cinese. In un opuscolo che ho pubblicato ho citato autorevoli giornali borghesi che parlano esplicitamente di dividere la Cina in sette o otto stati.

Parliamo della Cina

Parliamo della Cina. Qualche tempo fa proprio la stampa americana ha riportato un articolo dell’ex primo ministro australiano, Fraser si chiama, il quale ha dichiarato che gli Stati Uniti hanno deciso ormai di costruire lo scudo spaziale perchè partono dal presupposto che prima o dopo una guerra contro la Cina è inevitabile. E naturalmente lo scudo spaziale servirebbe agli Stati Uniti per ristabilire il monopolio dell’arma nucleare. Ma non è soltanto a questo livello che viene condotta la lotta: qualche tempo fa un politologo abbastanza illustre, almeno in Italia, Luttwak, ha detto che gli Stati Uniti proprio approfittando del fatto che la Cina, almeno fino a questo momento, non fa parte dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio, sono in grado di bloccare in qualsiasi momento le esportazioni che dalla Cina vanno verso il resto del mondo e soprattutto negli Stati Uniti. Questa è la nostra arma nucleare sul piano commerciale, ha detto Luttwak, un'arma che noi teniamo puntata contro la Repubblica Popolare Cinese. Certo con gioia, evidentemente.

Di fronte a questa situazione noi vediamo, è chiaro, che c’è una grande iniziativa in Cina per sviluppare la produzione, per cercare di conseguire un’indipendenza anche sul piano tecnologico, per sviluppare e di nuovo accelerare le forze produttive. Ma non è soltanto la Rina Gagliardi che ha scritto a questo proposito su "Liberazione" che c’è "l’ossessione della crescita quantitativa". Questa scemenza della Rina Gagliardi è condivisa anche da molte forze che si dichiarano componenti della sinistra rivoluzionaria. Perchè parlo di sciocchezza? Parlo di sciocchezza per una ragione molto semplice: credo che a noi tutti sia caro un grande rivoluzionario come Mao Tse Tung. Ma se noi andiamo a leggere Mao Tse Tung, il Mao che per esempio parla della lotta delle zone rosse accerchiate da Chang Kai Shek o che parla di Yenan in lotta contro l’imperialismo giapponese, ebbene troviamo che uno dei temi centrali del grande Mao rivoluzionario è la lotta per sviluppare la produzione, per impedire che queste zone rosse o che Yenan venissero soffocate da Chang Kai Shek o dall’imperialismo giapponese. E oggi a cosa assistiamo? Assistiamo, in condizioni naturalmente molto diverse, alla continuazione di questa lotta. Noi vediamo che di fatto la Cina è accerchiata. L’imperialismo cerca di accerchiarla e naturalmente da parte della Cina si cerca per un verso di rompere l’accerchiamento e per un altro verso appunto di sviluppare la produzione, di sviluppare le forze produttive come già Mao sollecitava per quanto riguarda le zone rosse. Ma ecco che una certa sinistra, che sia riformista o che sia cosiddetta rivoluzionaria, si entusiasma magari leggendo questi testi o questi discorsi di Mao Tse Tung, ma dinanzi a quello che avviene oggi parla come la Gagliardi, pensa che sia soltanto qualcosa di economicista.

Il primitivismo di certa sinistra

Qui si rivela in modo evidente il primitivismo di questa sinistra. C’è una sinistra che è capace di entusiasmarsi soltanto quando questa lotta viene condotta in condizioni primitive, e quando invece questa lotta viene condotta ad un livello più alto da parte di un partito che è diventato stato, che ha conquistato il potere e naturalmente utilizza tutto il potere anche per conseguire questo obiettivo, ecco che questa lotta viene considerata qualcosa di irrimediabilmente prosaico. Non è soltanto Pietro Ingrao che adesso ha abbandonato la politica per darsi alla poesia. Temo che questo atteggiamento di Pietro Ingrao abbia fatto scuola, sia pure naturalmente in forma meno rozza di quella di Pietro Ingrao, anche in certi settori della sinistra, compresi i settori della sinistra che si dichiarano rivoluzionari.

Io credo che noi dobbiamo partire dal presupposto che quella che oggi si svolge attorno alla Cina è il punto più alto della lotta di classe a livello internazionale. Naturalmente, è chiaro, questa lotta di classe a livello internazionale si svolge in condizioni diverse, che dobbiamo studiare. Faccio soltanto una parentesi: siccome si parla continuamente di totale integrazione ormai della Cina nel capitalismo e nell’ideologia borghese, io sono reduce da un convengo, che si è svolto una decina di giorni fa a Pechino, il cui tema era Marx nel XXI secolo. Ci si interroga sulle stesse cose su cui oggi ci stiamo interrogando in questa sede.

Le ragioni della disfatta

Quindi noi, è chiaro, dobbiamo combattere il primitivismo che è anche, non lo dobbiamo dimenticare, il risultato della disfatta che abbiamo subita. E dobbiamo interrogarci sulle ragioni di questa disfatta, su quando è iniziata questa disfatta. Io credo che il compagno Bernardini abbia pienamente ragione quando mette l’accento sul 1956. Chi prende sul serio oggi il rapporto Krusciov che ha scatenato la campagna contro Stalin non è soltanto che sia lontano dalle posizioni dei comunisti; io credo che abbia perso totalmente il senso della storia. Però, se è ridicolo, sembra la caricatura di se stessi, il titolo del supplemento di Liberazione "Chi ha ucciso la rivoluzione?" e la risposta è "Stalin", io credo che la risposta non sarebbe più persuasiva se al posto di Stalin mettessimo Krusciov. Io credo che sarebbe una risposta ugualmente idealistica anche se naturalmente meno rozza e meno idiota di quella appunto data da Liberazione.

Cerco di fare un bilancio larghissimo: quando muore Stalin, nel 1953, dopo trent’anni che ha gestito il potere, pressapoco, non c’è dubbio che la rivoluzione ha fatto un enorme passo avanti. Come si fa a negarlo? Nel momento in cui assume il potere sembrava che stesse crollando il socialismo anche nell’Unione Sovietica. Quando muore, il socialismo e il movimento rivoluzionario hanno assunto un’estensione senza precedenti. Però non dobbiamo dimenticare quale era la situazione nel 1953. C’era già stata la rottura con la Jugoslavia. Naturalmente noi potremmo dire che Tito era revisionista, che Tito era una catastrofe (lo dice anche Kostunica che Tito era una catastrofe). Non mi convince questa risposta. Non mi convince questa risposta anche per un’altra ragione, perchè oggi basta leggere Mao per vedere che con Mao era iniziato un conflitto con l’Unione Sovietica già in quella data. D’altro canto anche a prescindere dal conflitto che già stava iniziando in quella data, tutti sappiamo che nel 1968 Unione Sovietica e Cina sono state sull’orlo della guerra. Chi era il revisionista, Mao? Breznev? Poi la Cina ha fatto la guerra col Vietnam. Chi era il revisionista, i dirigenti cinesi o i dirigenti vietnamiti? I dirigenti vietnamiti o i dirigenti cambogiani? Io credo che sia sbagliata in questo caso questa categoria. Credo che sia molto più semplice e molto più laico prendere atto di questo fatto: in nessun testo nè di Lenin nè tanto meno di Marx si può leggere qualcosa su come devono essere i rapporti tra paesi socialisti. Era un problema nuovo, di cui nessuno aveva esperienza, e questo problema nuovo è stato trattato in modo sbagliato. Devo aggiungere: è stato tratttato in modo sbagliato da tutti, da tutti (naturalmente alcuni l’hanno trattato in modo più gravemente errato, altri in modo meno gravemente errato). Ma io credo che il nostro punto di vista, se vogliamo appropriarci idealmente di tutta la storia non è di dire revisionista è Stalin o revisionista è Tito. Secondo me si tratta di grandi rivoluzionari, Stalin, Mao e i dirigenti vietnamiti, ecc., che si sono trovati dinanzi a una situazione nuova che non hanno saputo padroneggiare, in un certo senso sono stati protagonisti e vittime di una grande tragedia storica universale.

La categoria dell'apprendimento

Da questo cosa emerge? Emerge che secondo me noi dobbiamo in realtà puntare soprattutto su una categoria che è la categoria dell’apprendimento. E’ una categoria che Mao ha saputo far valere soprattutto nel saggio, credo del 1935, sulla pratica. Mao insiste che come la lotta di classe si sviluppa attraverso contraddizioni, così anche il processo di conoscenza per comprendere la lotta di classe si sviluppa attraverso contraddizioni. E io credo che questo tema della necessità dell’apprendimento sia stato sviluppato soprattutto da due grandi autori, uno è Mao Tse Tung, un’altro autore, vittima anche lui di una costante rimozione, si chiama, lo voglio dire, Deng Xiao Ping. Deng Xiao Ping ha scritto pagine memorabili su questo tema. Lo devo dire. Quando ho incominciato, da poco tempo, a leggere Deng Xiao Ping, ho di nuovo ritrovato un’emozione intellettuale che non trovavo da molto tempo, cioè da quando leggevo Lenin polemizzare contro la frase vuota che non significava assolutamente nulla. Non si tratta adesso naturalmente di innalzare sugli altari Deng Xiao Ping, ma consentitemi di parlarne.

Certamente noi abbiamo ragione a dire a Rifondazione Comunista che è uno scandalo che non si sia mai impegnata in una discussione teorica sulla storia del socialismo e del movimento rivoluzionario. Ma non è uno scandalo che noi non ci siamo mai impegnati nell’analizzare criticamente quello che è avvenuto in Cina, cosa ha significato Deng Xiao Ping, quali proposte teoriche ha presentato? In realtà il più delle volte si è trattato di una condanna ignorando perfino i testi. E’ anche per questo che nell’ambito di questa collana che mi onoro di dirigere abbiamo pubblicato la relazione del compagno Jiang Zemin al XV Congresso del Partito Comunista Cinese, che io credo possa essere l’occasione per sviluppare un dibattito, un dibattito naturalmente del tutto aperto.

Difendere il marxismo leninismo senza saperlo rinnovare?

Ancora due osservazioni. Io credo che noi abbiamo subito una grave sconfitta strategica (naturalmente solo gli imbecilli parlano del crollo del socialismo come di una vittoria della libertà) ma non è la prima sconfitta che ha subito il movimento operaio. Devo ricordare che subito dopo il 1848, con quel grande testo che è il Manifesto del Partito Comunista, in Francia c’è stato il colpo di stato di Luigi Bonaparte con l’avvento della dittatura bonapartista. Ed è stata una grande sconfitta anche per Marx. Marx interviene su questa sconfitta e dice che il democratico piccolo borghese esce dalle più vergognose disfatte sentendosi senza macchia. Matura la convinzione, questo democratico piccolo borghese, non che lui e il suo partito debbano abbandonare il vecchio punto di vista, ma che al contrario le condizioni devono maturare venendogli incontro. Questo punto di vista secondo Marx è una sciocchezza. Non ha senso attardarsi a voler difendere il marxismo-leninismo senza saperlo rinnovare. Qualche compagno l’ha detto. Dobbbiamo saperlo rinnovare. Dobbiamo saper ridiscutere tutto. Questo è l’unico modo di essere fedeli. Questo brano di Marx che ho appena citato, viene citato in occasione di un’altra grande disfatta del movimento comunista nel corso dell’orribile prima guerra mondiale da parte di Rosa Luxemburg, che nota il fatto che il più grande partito socialista, allora quello tedesco, aveva aderito alla guerra. Rosa Luxemburg parla di sciagura per l’umanità, ma, aggiunge, il socialismo sarebbe perduto solo se il proletariato internazionale non volesse prendere atto della profondità della sua caduta e se da essa non volesse imparare nulla. Insisto sulla categoria dell’imparare, sulla categoria dell’apprendimento.

Dò un giudizio positivo di questa riunione. Dò un giudizio positivo, però è una riunione che si tiene ancora sulle generali e io credo che noi dobbiamo saper fare delle riunioni di studio per analizzare concretamente l’imperialismo, qual’è il ruolo dell’Europa, che significa oggi socialismo, come possiamo ripensare il socialismo dopo la catastrofe che si è verificata. E questo ci aiuterà ad andare avanti verso la costruzione del partito comunista, perchè io, militante di Rifondazione che faccio riferimento alla corrente dell’Ernesto nell’ambito di Rifondazione, su questo non ho alcun dubbio: se anche in Rifondazione forse c’è ancora il grosso dei militanti comunisti e comunque c’è una parte consistente di militanti comunisti, non ho alcun dubbio sul fatto che Rifondazione non è un partito comunista e che non potrà mai diventarlo. Ma chi credesse che a sinistra di Rifondazione ci sia già l’elaborazione teorica e i presupposti di un’elaborazione teroica direbbe una sciocchezza colossale. Secondo me invece si tratta per l’appunto di procedere ad una ricognizione dei problemi, cercare di costituire un programma, un progetto comunista partendo dal presupposto che nell’ambito di questo processo di costruzione del progetto comunista noi dobbiamo saper analizzare criticamente ogni aspetto della teoria di Marx, di Engels, di Lenin, e certamente anche di Stalin, di Mao, Di Deng Xiao Ping e di tutti gli altri.

Domenico Losurdo

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