Perchè Marat-Sade

L’intervista rilasciata dall’architetto Massimiliano Fuksas a Liberazione del 16 gennaio sull’opera teatrale di Peter Weiss, Marat-Sade, ha rievocato un’esperienza a cui egli ha partecipato nel ’68 in un gruppo che nel movimento portava lo stesso nome. A chi ha letto il testo dell’opera o assistito alla sua rappresentazione, che ha avuto anche una versione cinematografica, non sfuggiranno alcuni nessi con le condizioni attuali del dibattito a sinistra. Allora si trattava, dopo la grande avanzata del movimento studentesco, di fare i conti con leaders che, improvvisatisi capi di una rivoluzione improbabile, riempivano le cronache del dibattito teorico-politico mutuato dai Bignami di un marxismo approssimativo. E’ noto come la vicenda si è conclusa. La sfilza di pentimenti più o meno espliciti, da Sofri a Liguori a Brandirali, per citarne solo alcuni, è lì a testimoniare il valore delle discussioni e dei progetti ‘rivoluzionari’. E’ all’interno di questa situazione, difatti, piena di ambiguità e retorica politico-ideologica, che prese vita il gruppo romano del Marat-Sade a cui il sottoscritto ha partecipato assieme a Massimiliano Fuksas.

Perchè vale ricordare questa esperienza? A mio parere, in una situazione drammatica come l’attuale, mentre l’imperialismo e la destra italiana mostrano una aggressività senza pari, coloro che si arrogano il diritto di rappresentarci nel centro sinistra e dintorni ci stanno esponendo a pericoli molto grossi. Allora c’è bisogno che la realtà, come nell’opera di Peter Weiss, si riappropri della scena, travolga gli attori e riaffermi la concretezza politica dello scontro.

In realtà, in questi ultimi anni, un tentativo in questo senso c’è stato, dall’art.18, al movimento contro la guerra, alla contestazione dei neocentristi dell’Ulivo. Ma i cattivi maestri ci hanno portato di nuovo in un vicolo cieco con la regia del Bertinotti-pensiero. Ancora una volta non è della parodia dello scontro, quella incarnata da un pacifismo subalterno alle strategie parlamentari, da un rivendicazionismo che non graffia, dalla logica dei disobbedienti che fa sempre più rima con penitenti, che abbiamo bisogno, ma di idee chiare e di atti che siano all’altezza della sfida. Non è facile, ma bisogna provarci. A partire dal sostegno all’Iraq e alla magnifica lotta che il suo popolo sta conducendo contro gli occupanti. Questo in parallelo con la ‘dichiarazione’ di guerra contro gli Stati Uniti che facemmo, come gruppo Marat Sade, come ben ricorda Fuksas, sulla scalinata della Facoltà di lettere dopo l’invasione della Cambogia, leggendo il testo di Mao-tse-tung, Popoli di tutto il mondo unitevi contro l’imperialismo americano!

R. G.


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