Il marxismo dopo e non malgrado la Rivoluzione d'Ottobre


I comunisti non sono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai.
I comunisti non hanno interessi distinti dagli interessi di tutto il proletariato.
I comunisti non pongono princìpi speciali sui quali vogliano modellare il movimento proletario.
I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solo per il fatto che da una parte essi mettono in rilievo e fanno valere gli interessi comuni, indipendenti dalla nazionalità, dell’intero proletariato, nelle varie lotte nazionali dei proletari; e dall’altra per il fatto che sostengono costantemente l’interesse del movimento complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo percorsi dalla lotta fra proletariato e borghesia.
Quindi in pratica i comunisti sono la parte progressiva più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, e quanto alla teoria essi hanno il vantaggio sulla restante massa del proletariato, di comprendere le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento proletario.
Lo scopo immediato dei comunisti è lo stesso di tutti gli altri proletari: formazione del proletariato in classe, abbattimento del dominio della borghesia, conquista del potere politico da parte del proletariato.
Le proposizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto su idee, su princìpi inventati o scoperti da questo o quel riformatore del mondo.
Esse sono semplicemente espressioni generali di rapporti di fatto di una esistente lotta di classi, cioè di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi.
           (K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito comunista)


Il marxismo non è ristretto in quanto incapace di interpretare la realtà contemportanea, ma in quanto i limiti della situazione determinata in cui per centocinquanta anni si è sviluppata la sua teoria sono stati ampiamenti superati dall’esperienza presente.

Il categoriale, l’impianto concettuale, aveva "dedotto" dialetticamente fenomeni che non erano visibili politicamente agli occhi dei contemporanei e che dispiegano soltanto oggi il loro potenziale innovativo.

Non si tratta, per noi, di porre Marx a distanza ovvero di indebolire l’assunto di partenza della sua costruzione teoretica. Si tratta, al contrario, di rafforzarla, dilatandone i termini di applicazione e facendola reagire alle dimensioni del moderno.

Anzichè il classico movimento del "ritorno al principio" proposto dai puristi e dagli "ortodossi" di tutte le scuole pensiamo sia necessario decentrarsi quanto più è possibile da quel principio per raggiungere il punto di interruzione di una tradizione teorica, il punto di massimo decentramento rispetto alle idee di partenza, che coincide con la perdita di contatto con l’evento che segna la nascita del movimento comunista: la Rivoluzione d’Ottobre.

Il marxismo dopo la Rivoluzione d’ottobre e non malgrado la rivoluzione d’Ottobre, questo è il problema.

Il marxismo senza operazioni selettive e amputazioni storiche o ideologiche, nella sua integralità, questo il compito. L’integralità non è la completezza testuale o la conformità alla lettera e allo spirito della dottrina. L’ integralità è la continuità dell’oggettivazione del marxismo in una dinamica storica di "abolizione dello stato di cose presente", cioè nell’azione del proletariato nella situazione storica mondiale.

Un marxismo integrale è un marxismo che non si confina in un paniere di certezze e di tradizioni interpretative, perché noi crediamo che il marxismo sia, nella storia della filosofia, un esempio unico di come si possa cambiare l’ordine concettuale di un paradigma, senza liquidare l’impianto che identifica il paradigma. Nel passaggio dal modello puro di capitalismo della libera concorrenza all’imperialismo ciò è già avvenuto. Ma un nuovo ordine concettuale del paradigma marxista s’impone per riattivarne la portata rivoluzionaria e l’impatto di azione politica.

Quando diciamo "cambiare l’ordine concettuale" non pensiamo ad un sommario di argomenti, ma alla capacità di interpretare e conferire significato nuovo agli eventi contemporanei.

Il marxismo dovrà liquidare alcune abitudini teoriche dei marxisti e dei custodi di ortodossie per non essere liquidato o restare lettera morta nelle accademie.

Il marxismo dovrà riprendere contatto con le forze vive del movimento mondiale, non sovrapporsi alle dinamiche storiche ma costituirne la logica immanente e la guida per l’azione, perché rinasca una dialettica delle idee all’altezza di una nuova epistemologizzazione del suo statuto teorico.

Tenere Marx a distanza e avvicinarci a Lenin, alla traduzione comunista della filosofia di Marx nella politica proletaria, dunque.

Le dimensioni della nostra epoca e la griglia degli eventi che segnano il cammino intelligibile della storia degli ultimi cinquanta anni sono abbordabili da un approccio marxista che assuma a punto archimedico della teoria la sua verità pratica, la sua traduzione in politica proletaria a livello mondiale.

Il marxismo non ha operato - come si continua a dire - una semplificazione del mondo moderno; è semmai il mondo moderno ad avviarsi, sotto l’autorità delle sue gerarchie e delle catene di comando capitalistico ad un destino di livellamento e alla perdita di senso, che nessuna medicina umanistica potrà arrestare e che nessun "grande rifiuto" utopistico è in grado di contrastare.

Soltanto con il marxismo, lievito di una miriade di movimenti di lotta per una nuova civiltà, sarà possibile battere il processo di istupidimento della specie, la sua assoluta e irrimediabile reificazione, il suo inabissamento nel buio della mitologia e nel fascismo tecnologico.

Questo è il compito della teoria generale del marxismo e il compito pratico dei comunisti: non si tratta di resistere all’estinzione e di conservare un patrimonio esistente, ma di ritrovarlo a partire dalla grande politica di milioni di uomini che hanno attraversato l’esperienza del movimento comunista internazionale e degli uomini che oggi spendono le loro energie contro la globalizzazione e il mondialismo del capitale per l’universalismo proletario, il socialismo e il comunismo. Su tale base sorge l’esigenza di una ridiscussione dei concetti direttivi del marxismo-leninismo non in astratto, ma in relazione all’esperienza del movimento comunista internazionale. Il marxismo-leninismo si è sempre programmaticamente presentato come una filosofia di partito, come la concezione del mondo del partito comunista. Questo fa tremare i benpensanti e i fautori della libertà dell’arte e della filosofia, che hanno dimenticato la differenza tra filosofia e ideologia. Il marxismo contiene i presupposti per un ripensamento delle possibilità della politica a partire dalla concezione marxista della società e della transizione ad un nuovo modo di produzione e di vita.

Gli evangelisti del mercato continuano a predicare la buona novella delle risorse inesauribili del mercato capitalistico, delle libertà e dei diritti umani che sarebbero legati indissolubilmente al suo movimento espansivo. Eppure l’esperienza secolare della storia del capitalismo ha dimostrato che il mercato non offre diritti che nella misura in cui divora con i diritti le vite dei titolari di questi diritti.

In altri termini all’interno dello sviluppo del mercato si riscontra un fenomeno costante: l’uso della coercizione, della forza e non soltanto, come vorrebbe qualche marxista rivisto e corretto francofono (Bidet), l’organizzazione.

Altrimenti non si capisce come, dopo cinquecento anni, il capitale avrebbe ancora bisogno delle guerre imperiali e degli "interventi umanitari" per garantire la sua circolazione-accumulazione planetaria, la sua mega-valorizzazione terrestre. Il movimento di istituzionalizzazione repressiva fa al contrario passi da gigante. L’istituzione di nuove gerarchie produce nuovi fascismi, nelle vesti delle imperialsocialdemocrazie atlantiste o in quelle della nuova/vecchia destra etnoculturale e differenzialista.

E’ evidente che gli sfruttamenti, le spoliazioni sono anche e sempre amministrazioni, gestioni, domini, comandi su aree del pianeta. L’esperienza della guerra in Kossovo, dopo molte altre, lo attesta.

Pensare che si debba salvare l’aspetto di organizzazione del movimento capitalistico, considerarlo come valore di civiltà è l’errore dei suoi apologeti, dei revisionisti e dei neorevisionisti che scambiano il "moderno" con il modo di produzione dominante, fingendo di dimenticare che il movimento comunista (troppo presto archiviato nelle loro intelligenze programmate) ha realizzato e continua a realizzare una via alternativa alla modernità capitalistica: quella del socialismo fondato sul potere statale del proletariato, in cui lo sviluppo dell’individualità dei singoli avviene sotto il controllo collettivo di tutti e che punta, attraverso la continuazione della lotta di classe, ad una comunità di uomini liberi in cui lo sviluppo razionale della società non sia in conflitto con l’autorealizzazione in tutti i campi dell’individuo, cioè al comunismo.

D’altra parte la razionalizzazione capitalistica, operante in forma planetaria nell’epoca imperialistica, si svela sempre più come livellamento e gerarchizzazione, come violenza di apparati e di istituzioni sovranazionali e invasiva penetrazione della legge della valorizzazione e della normatività del mercato reale (cioè del mercato dominato dai soggetti capitalistici più forti) e dei codici politico-giuridici relativi, nelle aree a basso sviluppo industriale e a basso livello di civilizzazione moderna.

La risposta che certa parte della ex-sinistra ha dato a questi processi è stata di natura etica, romantica e idealistica, spesso apertamente reazionaria. E, aggiungiamo, di tipo reattivo, motivata nei casi migliori dal rifiuto generico dell’insieme della configurazione presente, o magari dalla nostalgia per l’equilibrio bipolare precedente della coesistenza pacifica (con le sue aree di pascolo per le socialdemocrazie e i revisionismi della sinistra occidentale, per la strategia di competizione pacifica e le vie nazionali ecc.).

Nulla in ciò che somigli ad una politica comunista all’altezza dei problemi presenti. Tutto dunque conduce alla necessità di essa, alla ridefinizione delle dimensioni della dinamica storica di un progetto politico non genericamente anticapitalistico e antimperialistico ma comunista nel XXI sec.

Massimo Piermarini

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