E' nato il nuovo blocco centrista

Intervento di Moreno Pasquinelli

Da Moreno Pasquinelli ricevo il seguente intervento sul mio testo prenatalizio ("E' nato il nuovo blocco centrista"). Prego di dargli ampia circolazione, come avevo già chiesto per il mio intervento (chi non l'avesse ricevuto, può ancora richiedermelo).
Solo alcune precisazioni.

1) Moreno considera la manifestazione per la Palestina del 18 novembre 2006 come prima "prova generale del sodalizio" che porterà alla formazione del nuovo blocco centrista e mi critica per l'imprecisione. In realtà non credo di essere stato impreciso, perché quella manifestazione fu indetta dal Forum Palestina e non dal Coordinamento del 30 settembre (due realtà e due storie diverse). E per giunta Utopia rossa non ha mai fatto parte del Forum Palestina, mentre faceva parte (attiva) del Coordinamento del 30 settembre. Aggiungo che all'epoca ci rendemmo conto del carattere ambiguo con cui fu convocata la manifestazione e non ne condividemmo alcuna responsabilità. Sulla sostanza politica di quella vicenda sono comunque completamente d'accordo con Moreno (con il quale condivido anche, se non vado errato, il rifiuto della teoria opportunistica e irrealistica della formula tanto in voga "Due popoli due Stati").

2) Sulla questione della manifestazione anti-Bush del 9 giugno (se sia stato più giusto uscire dal Coordinamento prima - come fece il Campo - o uscirne dopo, come fece Utopia rossa), non mi sembra questione rilevante a posteriori. Da un punto di vista tattico rimango convinto che bisognasse restare in quel Coordinamento e dare battaglia sino alla fine, sperando che anche le altre componenti non-centriste - come Red Link, Pcl e pochi altri - si decidessero a dare una mano. Così non fu e i giochi si chiusero a favore del nuovo blocco centrista. Ma i veri vincitori di quella giornata furono Prodi e Bush che, nelle stesse ore in cui il corteo si sfogava a gridare tutta la sua indignazione contro l'interventismo del governo, siglavano il definitivo accordo a completare l'aeroporto di Vicenza.

3) Sulla categoria storica del "centrismo" - che utilizzo da decenni e sempre con risultati (purtroppo) storicamente fondati - rimango convinto della sua applicabilità anche ai "centristi" attuali  (Si parva licent ecc. ecc.). Ma dell'aspetto storico-teorico non è questa la sede per discutere.

4) Accetto interamente lo spirito dell'intervento di Moreno, sulla necessità di ripartire da zero, con un "patto" anticapitalistico e antimperialistico tra il poco che sopravvive. Rimane totale la mia disponibilità a trovare il minimo comun denominatore su cui raccogliere in forma non-partitica il poco che resta a sinistra dell'area centrista. Questo minimo comun denominatore fu individuato nel 2003 da Utopia rossa nell'appello a lottare contro il nuovo Centrosinistra come progetto politico (primario o secondario, poco importava all'epoca) dell'imperialismo italiano e nel sostegno alle resistenze dei popoli che lottano contro l'imperialismo (indipendentemente dalle loro direzioni politiche). Due frasi, due concetti politici, due linee d'azione. Ben pochi ci diedero ascolto e non vi sono dubbi che per ora abbiamo fallito. E' forse colpa dei due comun denominatori prescelti? o è colpa di Utopia rossa?  Sarei veramente felice di poter dire che la colpa è di Utopia rossa e ancor più felice se fosse mia personale, perché in tal caso sarebbe molto facile riprendere il filo del discorso da dove lo si perse... Se potessimo accordarci almeno sulla necessità che occorre trovare un minimo comun denominatore, profondo, "di fase" e ovviamente riducibile a una sola frase (massimo due)...

Ringrazio  Moreno perché col suo intervento sul mio testo può ripartire la discussione, in una situazione di ostentato silenzio teorico per la quale ognuno si guarda bene dall'intervenire sui testi degli altri per non attirare l'attenzione su persone o discorsi estranei alla logica del proprio orticello.

Roberto Massari

 

Caro Roberto,

Ho appena trovato il tempo di leggere il tuo lucido e (un po’ troppo lungo a dire il vero) intervento dal titolo «E’ nato il nuovo blocco centrista».

Inizio con alcune precisazioni riguardo alla sorte del Coordinamento che condusse alla manifestazione del 30 settembre.

La tua cronaca dei fatti, che parte appunto dal 30 settembre 2006 e giunge al 10 dicembre 2007 non e’ precisa, non rende giustizia di un paio di dettagli che hanno invece una notevole importanza.

Tu affermi che la prova generale del sodalizio che chiami «nuovo blocco centrista», quindi del voltafaccia dei Cobas+Rete dei Comunisti+RdB ecc., l’avemmo nella manifestazione di Vicenza del 17 febbraio 2007, dove la sinistra governista potè sfilare impunemente.

Ti sbagli!

In verità questa prova l’avemmo il 18 novembre 2006 (nemmeno due mesi dopo il 30 settembre!). Sto parlando della manifestazione indetta dal Forum Palestina (che se ricordi era contrapposta a quella di Milano promossa dai pacifinti). Se ben ricordi in testa al corteo romano (a braccetto beninteso con Bernocchi e Ferrando) vennero accettati vari ceffi istituzionali, tra cui il Diliberto, Cento, e compagnia cantando i quali, non solo diedero l’adesione ad entrambi i cortei (sic!); essi ebbero la faccia tosta di dichiarare a mezzo mondo che non vedevano alcuna contraddizione tra l’essere in quella manifestazione e la loro partecipazione al governo (in quegli stessi giorni stavano votando la Finanziaria, e la missione in Afganistan).

Bene. A quel corteo, al quale partecipammo, noi dopo un contrasto con la folta pattuglia del PdCI che voleva passare davanti; distribuimmo un volantino dal titolo eloquente: «GLI INFAMI SONO TRA NOI!». Esso così concludeva: «Chi vota per la guerra alle Resistenze popolari in Afganistan e in Libano; chi fa parte di un governo legato a doppio filo con i criminali di guerra americani e israeliani (vedi accordo di cooperazione militare e spionaggio tra Roma e Telaviv); non può impunemente venire qui a prenderci per il culo. Se alcuni dei promotori hanno preferito chiudere gli occhi, possiamo riparare all’errore: buttiamoli fuori!»

Il nostro attacco era indirettamente ai promotori, alla loro prassi pelosa, al loro subordinare i contenuti alla maniacale ricerca di adesioni istituzionali. Essi si incazzarono a tal punto da diffondere urbi et orbi un comunicato nel quale dichiaravano solennemente rotte le relazioni con il Campo Antimperialista.

Insomma: a novembre il Coordinamento che portò all’importante manifestazione del 30 settembre 2006 era già morto. Sia i Cobas che la Rete+RdB avevano già segretamente deciso di ammazzarlo. Mancava solo la sepoltura, che avverrà immancabilmente in vista del corteo di marzo, in occasione del quarto anniversario della guerra all’Iraq.

Il Campo (pur aderendo alla manifestazione —non è vero dunque che non aderimmo come affermi) non sottoscrisse la piattaforma che portò alla manifestazione nazionale del 17 marzo 2007? Perché non volemmo essere tra i promotori? La risposta è alquanto semplice.

Dopo defatiganti incontri preparatori venne fuori un Appello che per essere digeribile a Sinistra Critica, Rete28Aprile e Disobbedienti, non solo cancellava la parola d’ordine del sostegno alle Resistenze, esso derubricava la questione UNIFIL2, e dunque la spedizione anche italiana in Libano. Era (per chi non aveva ancora capito l’andazzo) il segnale  inequivocabile che Cobas e Rete dei Comunisti avevamo già messo una pietra tombale sul 30 settembre, che ritenevano chiuso quel percorso e si apprestavano a sterzare nuovamente a destra per un nuovo abbraccio, non solo coi Disobbedienti, ma con «Sinistra Critica» e quel variegato mondo movimentista legato all’ala sinistra del governo Prodi.

Il perché invece Utopia Rossa decise di stare al gioco (fino al 9 giugno!) nonostante fosse chiaro che il Coordinamento del 30 settembre era stato platealmente rimpiazzato da uno nuovo, quello con «Sinistra Critica», Disobbedienti, Rete28Aprile e Partito Umanista, non l’abbiamo capito, ce lo dovete ancora spiegare.  

Veniamo ora a questo cosiddetto «nuovo blocco centrista».

E’ evidente che i veri architetti del blocco sono gli eredi di Maitan, «Sinistra Critica» i quali, in uscita dal PRC, forti di qualche centinaio di membri e di un paio di parlamentari, sufficientemente astuti da non commettere a scoppio ritardato il gravissimo errore di Ferrando-Grisolia e Ricci, ovvero la fondazione di un terzo partitello trotskoide, hanno tirato fuori dal cappello l’idea di costituire per assemblaggio una soggetto politico plurale ed inclusivo. Non un partito, né un fronte unico si badi, e nemmeno una mera riedizione del Social Forum. Di che bestia si tratta è preso per dirlo.

Sentiamo come «Sinistra Critica» presenta la sua proposta politica:

« Con il progetto di costruire una forza politica adeguata ai tempi, si propone l’avvio di una Costituente Anticapitalista, a sinistra dell’Arcobaleno, che raccolga le esperienze migliori della rifondazione comunista, settori di movimento, del sindacalismo anticoncertativo, del femminismo radicale, dell’ecologismo e soprattutto forze giovanili. Una Costituente che rappresenti un progetto fecondo e reale, capace di dare vita nell’immediato, anche in forme esemplari o parziali, a una Coalizione della Sinistra di classe e anticapitalista basata su almeno tre coordinate: a. il vincolo con i movimenti sociali, le loro dinamiche e i loro obiettivi;
b. l’alternatività alle destre ma anche l’indipendenza dai governi del centrosinistra e quindi l’opposizione al Partito Democratico;
c. la non dipendenza dalle istituzioni nel lavoro politico, pur non escludendo il terreno elettorale e gli strumenti necessari a quel livello, compreso l’utilizzo del simbolo della falce e martello, oggi ancora una volta abbandonato.
5. Per essere vitale la Costituente Anticapitalista deve essere legata ai percorsi di movimento, ..»
[Mozione finale apporvata dalla 1. Conferenza di Sinistra Critica del 10 dicembre scorso]

Noterai che la proposta si articola in due tappe: una immediata, la cosiddetta coalizione della sinistra di classe anticapitalista e che funga da anticamera (da incubatrice) alla Costituente Anticapitalista la quale, se i concetti hanno il senso attribuito loro dalla esperienza storica, implica, seppure attraverso ardui passaggi organizzativi, la fondazione di un vero e proprio soggetto politico unitario.

Partiamo dalla prima, dalla coalizione della sinistra di classe anticapitalista.

Salta agli occhi, oltre all’assenza di una pur minima discriminante antimperialista (senza cui nessun anticapitalismo avrebbe costrutto), la totale inconsistenza delle tre coordinate. La sola sostanza, rafforzata dall’incipit del punto 5., è il movimentismo. Ovvero il niente. Nessun progetto politico degno di questo nome, neanche l’ombra di punti programmatici qualificanti. Leggi e rileggi e hai la sensazione di stringere un pugno di sabbia. Questi vogliono dare una rappresentanza politica ai «movimenti». E che questa pretesa passi per la costituzione di un carrozzone elettorale in vista delle europee lo capiscono anche i sassi.

Dobbiamo contrastare questo disegno? Sì! Dobbiamo contrastarlo. Il come, tuttavia, è tutto da inventare. A poco servono le rimostranze e le invettive. C’è un solo modo per battere questo progetto di volgare galleggiamento opportunista : mettere in campo un altro progetto, costruire un diverso polo di aggregazione.

Come stiamo messi? Stiamo messi male, anzi malissimo. Preclusa è la strada della cosiddetta «unità dei comunisti», o di come si voglia chiamare l’addizione di una serie di gruppetti impotenti, non fosse perché prigionieri di un dogmatismo da museo delle cere. Con gli zombies non si va da nessuna parte. Ferma restando la nostra opposizione all’operazione elettoralista che «Sinistra Critica» sta pensando, non faremo parte di eventuali tentativi intergruppettari. Non possiamo pretendere di essere buoni per tutte le stagioni. E questa non pare essere la nostra stagione. La partita che si giocherà nei prossimi mesi non vedrà, così almeno io penso, scendere in campo i  rivoluzionari. A meno che.....
Né ritengo dovremo commettere l’errore di diventare sterili grilli parlanti, critici e dissacratori a tempo pieno di questa ammucchiata elettorale.

Siamo perfettamente consapevoli della nostra parzialità, ovvero che l’antimperialismo, per quanto conseguente, non è e non sarà in grado di rappresentare un’alternativa ai pasticci di quelli che chiami centristi, che per quanto opportunisti possono ancora ammiccare i numerosi infatuati dal movimentismo in circolazione. Per noi la prassi antimperialista non è nulla di più che la linea del Piave, l’ultima linea di difesa dopo il disastro iniziato con il biennio 1989-91, sfondata eventualmente la quale ci sarebbe una definitiva catastrofe. In altre parole: se le Resistenze tengono, e se noi ci agganciamo a queste, il Piave non viene sfondato e così facendo avremo contribuito e creare alcune condizioni per una futura controffensiva. Alcune. Visto che la questione delle questioni è quella, una volta stabilito che occorre andare oltre Marx, di ricostruire un pensiero e una strategia rivoluzionari.

Che poi la coalizione della sinistra di classe anticapitalista sia un esito realistico, non è detta. Prendo nota delle dichiarazioni (14 dicembre) della Rete28Aprile, la quale ha seccamente smentito che detta Rete accetti la proposta di «Sinistra Critica».[*] Non sara’ facile nemmeno per Bernocchi far parte del carrozzone elettorale. Diverso è il discorso per la Rete dei Comunisti. Di porcherie (tra cui quella di collegarsi a Veltroni alle ultime elezioni municipali di Roma) ne hanno fatte talmente tante che non mi stupisco più di nulla. Stesso dicasi per i Disobbedienti.

Di certo una qualche cartello elettorale in vista delle europee, grazie alla rendita di due parlamentari che consentono di saltare la raccolta delle firme, verrà fuori.

Un successo, e solo un successo elettorale di questo cartello nelle europee del 2009, potrebbe effettivamente dare slancio all’idea «Costituente Anticapitalista».
Non bisogna né sottovalutare questa proposta, facendo spallucce, né sopravvalutarla, facendo smorfie ed esorcismi.

Staremo a vedere. Di certo sono in tanti gli affetti dalla sindrome movimentista per di più orfani di Rifondazione (in gran parte trombati dai bertinottiani). Non saranno pochi quelli non andranno a casa e si imbarcheranno. Si tratta di centinaia e centinaia di quadri politici e militanti che in questi anni sono stati effettivamente protagonisti dei movimenti, per la pace, contro la precarietà, per i diritti civili, contro le porcherie confederali, ecc.

Questo movimentismo, se in un primo momento potrà effettivamente funzionare come eccitante e galvanizzante, esaurirà presto il suo effetto drogante. Il perché sarebbe lungo qui da spiegare. Ti basti qui sapere che ritengo chiusa definitivamente la fase dei movimenti iniziati nel 1999 con Seattle e poi passati per Genova e culminati nella adunate oceaniche della primavera del 2003. Nuove scosse sono alla porte, altri protagonisti occuperanno la scena sociale. Per farla breve: penso che appoggiarsi sui movimenti condurrà a rompersi la testa o a trovarsi dalla parte opposta nella quale occorrerà invece posizionarsi.

Sarebbe bello poter opporre un’ALTRA Costituente a quella opportunista avanzata da «Sinistra Critica». Sarebbe bello se intanto riuscissimo a mettere assieme quei pochi che siamo rimasti, quei compagni che in questi anni, pur tra alterne vicende, hanno condotto assieme le battaglie più importanti. Ma non andremo lontano se ci limiteremo ad un semplice addizionamento. Apriamo un confronto a tutto campo, mettiamo in chiaro cio’ che ci unisce e cio’ che ci divide. Verifichiamo se, almeno su alcuni assi fondamentali programmatici e di prospettiva, possiamo trovare un accordo. Proviamo! Chissà! Non è escluso che scopriremo, con nostra stessa sorpresa, che al di là delle nostre antiche appartenenze parrocchiali, solidi e numerosi sono i punti teorici e politici per fondare una nuova e diversa «chiesa».

Un Patto politico, ecco a cosa dovremmo puntare. Un Patto che indichi non solo ciò che ci unisce ma pure ciò che ci divide e che non sia solo un intergruppi, che sia la base per fondare una vera e propria comunità politica, che mentre lotta qui e ora sappia agire come scuola, come officina rivoluzionaria. Io avverto in giro fortissima questa esigenza.

Ti dico: non vorrei che proprio noi vecchi diventassimo ostacoli a questo eventuale processo questo sì costituente di un reale soggetto politico. A causa di vecchie e fastidiose ruggini, di personalismi, di egocentrismi settari. Abbiamo tutti un caratteraccio. Perchè non proviamo a migliorare?

Concludo infine dicendoti che sono molto perplesso dall’uso che fai della stantia categoria leninista-trotskysta di «centrismo». Questa categoria non può essere astrattizzata, ipostatizzata. Le categorie sono utili perché nominano cose reali, sono convenzioni che simboleggiano processi concreti. Analisi concreta della situazione concreta! La categoria «centrismo» indicava quell’area di mezzo tra i potenti partiti riformisti e quelli rivoluzionari in forte ascesa. Oggi non abbiamo né gli uni né gli altri. Abbiamo solo mucillaggine movimentista, una paccottiglia politica senza bussola che sale in groppa a qualsiasi cosa si muova. Questi opportunisti non meritano nemmeno quel nome, un nome che del resto nemmeno ci aiuta a farci capire dalle nuove generazioni. Chiamiamoli quindi in un’altra maniera. Ci vuole un nome che sia più adeguato a descrivere chi sono davvero e dove vanno, e che sia comprensibile universalmente.

Moreno,
con tanto di cristiano buon Natale.
25 dicembre 2007


[*] Dichiarazione ufficiale della Rete28Aprile (a smentita dell’articolo de il manifesto del 9 dicembre che dava Cremaschi per «interessato» alla fondazione della cosiddetta «Costituente Anticapitalista»)

Nota stampa
Giorgio Cremaschi: “La Rete28Aprile non partecipa ad alcun progetto politico”


“Ogni tanto viene accreditata la partecipazione della Rete28Aprile a questo o quel progetto politico delle varie forze della sinistra. Fermo restando che i singoli appartenenti alla Rete scelgono come vogliono e, tra l’altro, partecipano alle più differenti esperienze politiche, la Rete28Aprile in quanto tale ha più volte ribadito che non intende essere coinvolta in nessun progetto politico, in quanto l’indipendenza del sindacato dai partiti, dai governi e dai padroni costituisce il suo elemento fondativo.”

Roma, 14 dicembre 2007


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