Intervista a Khaled Meshal

Intervista a Khaled Meshal

Maggio 2008
Fonte: Counterpunch
traduzione di Gianluca Freda
Link: http://blogghete.blog.dada.net/post/1207050989/L%27OPINIONE+DI+HAMAS#more


A metà di maggio 2008, i collaboratori di Counterpunch Alexander Cockburn e Alya Rea erano insieme ad un gruppo di americani che si è seduto a parlare per due ore, in una casa della periferia di Damasco, con Khaled Meshal, capo dell’ufficio politico di Hamas. Quanto segue è la trascrizione di ampi stralci dell’intervista.

Meshal: Noi, come palestinesi, abbiamo l’onore di rappresentare una causa giusta. Abbiamo sopportato atrocità e occupazione. A causa d’Israele, metà del popolo palestinese vive sotto occupazione all’interno della Palestina e l’altra metà vive al di fuori di essa senza avere una casa. Oggi noi, come popolo palestinese, come nazione palestinese, desideriamo solo vivere in pace, senza più occupazione. Noi rifiutiamo l’occupazione. Rifiutiamo le atrocità. E rifiutiamo di restare senza una patria e lontani dalla patria. Non abbiamo problemi con nessuna religione del mondo, né con alcuna razza. Sappiamo molto bene che Allah onnipotente ha creato gli esseri umani in razze e religioni differenti e che ci ha chiesto di conciliare queste diversità. Per questo motivo, chiediamo la stessa cosa alle nazioni di tutto il mondo, affinché sostengano questa giusta causa. Il nostro problema è con la politica ingiusta della comunità internazionale: in particolare con la politica ingiusta dell’amministrazione americana. Naturalmente, non consideriamo il popolo americano responsabile di ciò. Ho visitato molte volte l’America. E so bene che il popolo americano è un popolo gentile. Ma il nostro problema è con la politica estera delle varie amministrazioni americane. Noi abbiamo accettato uno Stato palestinese entro i confini del 1967. Ma la comunità internazionale non è riuscita a costringere Israele a fare la stessa cosa. Perciò, cosa resta da fare ai palestinesi se non resistere? Da parte nostra, preferiremmo un percorso di pace. Ma troviamo questo percorso di pace bloccato. Per questo, ai palestinesi non resta altra opzione che la resistenza. E questo spiega perché il popolo palestinese abbia eletto Hamas e perché, in mezzo alle carestie, alla fame e all’assedio inflitti oggi al popolo palestinese, si noti sempre la stessa cosa: il popolo palestinese sostiene Hamas.

Gaza è il più grande campo di concentramento della storia. Ricordate la legge di Newton, secondo la quale ad ogni azione corrisponde una reazione eguale e contraria. L’occupazione israeliana è l’azione, la resistenza è la reazione. Ogni volta che in un’occupazione si incrementa il livello delle atrocità, allo stesso livello si incrementa la reazione della resistenza. I nostri razzi rientrano in questa formula. Se le atrocità e l’occupazione si fermassero, anche i razzi si fermerebbero.

Israele è abituato a decidere da solo le proprie azioni, ad accendere il fiammifero quando vuole e spegnere il fuoco quando vuole. Non vogliono un accordo reciproco. Sapete perché? Perché sentono che gli arabi sono deboli. Perché allora dovrebbero rispettarli? Perché dovrebbero costruire con loro una qualsiasi formula di reciprocità? Ecco perché io dico che non può esservi pace tra un partito debole e uno forte. La pace si costruisce tra partiti forti. Siamo pronti alla pace, ma ad una pace forgiata dalla competizione e dalla reciprocità, senza più atrocità e senza occupazione.

Alexander Cockburn: Lei quale crede che sia la strategia o la prospettiva di Israele? Quale la sua idea di una soluzione?

Meshal: Io credo che Israele voglia tenersi la terra di Palestina. Gaza è un caso eccezionale. A causa delle dimensioni e dell’alta densità di popolazione, ad Israele è convenuto andarsene. Ma a causa di considerazioni religiose, possibilità di accesso alle fonti idriche e presenza di avamposti militari, Israele non accetterà mai di cedere la West Bank. Sì, forse potrebbero offrire il ritiro dal 60 o 70 per cento del territorio. A volte offrono il 40 o il 50 per cento. Ma è solo una tattica temporanea che serve a guadagnare tempo, a costruire o rafforzare una “realtà sul terreno”, ad espandere gli insediamenti e frammentare il territorio in modo tale da rendere impossibile la creazione di qualunque entità nazionale. In qualunque proposta di pace, Israele chiede sempre di mantenere quattro blocchi di insediamenti sulla West Bank. Il più grande è quello che circonda Gerusalemme; il secondo blocco è quello della zona settentrionale della West Bank; il terzo è quello nella zona meridionale della West Bank e il quarto è quello nella Valle del Giordano. E allora che cosa rimane della West Bank?

Quando l’ex presidente Carter è venuto a trovarmi, gli ho detto che le condizioni in cui si svolsero gli accordi di pace di Camp David tra Egitto e Israele non esistono più. In quei giorni, Israele era costretto o sottoposto a pressione per firmare gli accordi per due motivi. Prima di tutto, la guerra del 1973. In quel momento Israele aveva capito che l’Egitto non era un paese facile da sconfiggere. La seconda ragione è che l’allora primo ministro Begin aveva compreso che era nell’interesse di Israele isolare l’Egitto dal resto della comunità araba. Oggi Israele non è sotto il peso di nessuno di questi condizionamenti. Abbiamo detto all’ex presidente Carter che la resistenza palestinese è l’unico potere che possa spingere Israele a muoversi.

Domanda: Accettereste uno stato unico?

Meshal: Il problema non è che cosa i palestinesi o gli arabi accetterebbero. I palestinesi hanno accettato molte cose. E gli arabi hanno accettato molte cose. Ma Israele le ha rifiutate. Anche alle organizzazioni americane, che gli israeliani appoggiavano, sotto gli auspici dell’America, Israele non ha obbedito. La domanda da porsi è: Israele accetterà o no? L’errore nella strategia araba e nella strategia della ex leadership palestinese è consistita nelle varie offerte generose, puntualmente respinte dagli israeliani. Noi non seguiremo questa strada. E’ Israele a dover fare un’offerta. Devono essere loro a proporre ciò che sono disposti ad accettare. Poi noi daremo la nostra risposta.

Alexander Cockburn: Lei ha detto che la forza e la capacità di resistenza sono le uniche cose che Israele e i suoi sostenitori sono in grado di capire. Come continuerà e si svilupperà questa resistenza sotto la guida di Hamas?

Meshal: La resistenza in Palestina vive all’interno di una situazione del tutto anormale. Nelle normali condizioni in cui si sviluppa una resistenza, la Palestina non ne avrebbe alcuna. Non esiste un partito internazionale che la sostenga. I vicini arabi e le regioni limitrofe non apprezzano la resistenza, anche se ci sono alcuni partiti regionali che collaborano con essa. Quindi, in una prospettiva olistica, la “totalità” dovrebbe aver ragione della resistenza. Allora qual è il segreto dietro la tenacia della resistenza? Prima di tutto, la ferocia dell’occupazione. Una simile pressione crea una reazione nel popolo, che è appunto la resistenza. Il secondo elemento è l’intransigenza israeliana. I palestinesi hanno tentato l’opzione negoziale e hanno offerto al processo di pace una possibilità di avere successo: gli accordi di Oslo, il loro seguito, il 1991 e la Conferenza di Madrid. Il popolo palestinese ha rispettato il processo di pace, ha scelto la strada dei negoziati e il risultato è stato negativo. Di conseguenza, il popolo palestinese ha capito che ogni altra strada è bloccata. Questa realtà ha spinto i palestinesi ad essere tenaci nella resistenza. Terzo, non c’è nessun altro partito a livello internazionale su cui i palestinesi possano contare. L’amministrazione americana potrebbe esercitare pressione sugli israeliani, ma non lo fa. La comunità internazionale è inerme di fronte a Israele.

Per questo motivo, il popolo palestinese considera la resistenza non un opzione o un’alternativa, ma un sistema di vita, una regola per sopravvivere. Ora, questa resistenza ha un futuro o il tempo gioca a suo sfavore? Io direi che il futuro appartiene alla resistenza e che il futuro appartiene al popolo palestinese. Oggi Israele rifiuta le proposte fatte dagli arabi e dai palestinesi: è Israele a perderci, perché il futuro non gioca a suo favore.

Domanda: Hamas sarebbe disposto ad accettare una “soluzione dei due stati” se Israele si ritirasse entro i confini el 1967?

Meshal: Allo scopo di unificare sul piano politico le posizioni palestinesi, ci siamo accordati, nel 2006, su una piattaforma politica che poi abbiamo sottoscritto. Lo abbiamo chiamato Documento di Conciliazione Nazionale. E in esso abbiamo dichiarato di accettare uno Stato di Palestina sulla base dei confini del 1967, comprendente Gerusalemme, senza insediamenti e con il diritto al ritorno per i rifugiati. E’ una piattaforma a cui tutti abbiamo aderito. Ma per noi di Hamas c’è un punto molto importante, che è il rifiuto di riconoscere Israele. Ma il non riconoscerlo non implica fargli guerra. Ciò che vogliamo è uno Stato di Palestina fondato sui confini del 1967. Solo allora ci sarà un cessate il fuoco tra noi e Israele. Noi pensiamo che le relazioni internazionali tra gli stati non debbano per forza fondarsi sul riconoscimento reciproco. Quando lo Stato di Palestina sarà stato istituito, esso deciderà il tipo di relazioni che intende intrattenere con Israele. Oggi la grande sfida di fronte a tutti noi è quella di offrire ai palestinesi una possibilità di vivere in pace. Oggi il problema è che il popolo palestinese è la vittima. Metà di esso vive sotto l’occupazione israeliana in condizioni orribili. Il resto vive da rifugiato nei campi profughi, senza più una patria. Sarebbe dunque la vittima – il popolo palestinese – a dover riconoscere Israele? Questo mi sembra ingiusto.

Domanda: Cioè vi stanno dicendo: “Riconoscete Israele oggi stesso”? Stanno chiedendo ai palestinesi di dire “non fa niente se continuate a rubare la nostra terra, noi vi perdoniamo”?

Meshal: Proprio così.

Alexander Cockburn: Se avessimo fatto questa conversazione 30 anni fa, qualcuno avrebbe citato l’ONU, invece oggi nessuno lo ha nominato. Lei crede che l’ONU sia ormai un mero strumento nelle mani degli Stati Uniti?

Meshal: Sfortunatamente le Nazioni Unite sono diventate una barzelletta.

Domanda: Su questo punto lei la pensa come gli israeliani.

Alexander Cockburn: Lei ha detto prima che il futuro di Israele non è né positivo né luminoso. Potrebbe specificare meglio quest’affermazione?

Meshal: Quando cerchiamo di leggere il futuro lo facciamo nella prospettiva del passato e del presente. E lo leggiamo secondo l’ottica dei valori delle nazioni e dei loro popoli. Esiste un futuro per l’occupazione e per gli insediamenti? Esiste una nazione, in tutta la storia del mondo, che abbia insistito per vedere riconosciuti i propri diritti senza riuscirvi? Terzo punto: a partire dal 1948, se volessimo tracciare un grafico dei progressi di Israele, voi credete che la curva punterebbe verso l’alto, apparirebbe piatta o punterebbe verso il basso? Io credo che essa sia ormai discendente. Oggi la potenza militare di Israele non è in grado di portare a termine i suoi compiti in modo che per Israele risulti soddisfacente.

Dal 1948, Israele ha sconfitto 7 eserciti. Nel ’56 sconfissero l’Egitto. Nel ’67 sconfissero tre paesi contemporaneamente: Egitto, Siria e Giordania. Nel ’73 la guerra finì in una sorta di parità tra Egitto e Israele; se a quell’epoca Nixon non avesse fornito supporto aereo alle forze israeliane, oggi il mondo sarebbe diverso. Nell’82 Israele sconfisse l’OLP a Beirut. Ma dall’82, cioè da 26 anni, gli israeliani non hanno più vinto nessuna guerra. Non hanno sconfitto la resistenza palestinese e non hanno sconfitto la resistenza libanese. Da quell’epoca, Israele non ha più avuto alcuna espansione, anzi ha ridotto le sue dimensioni. Si sono ritirati dal sud del Libano e da Gaza.

Questi sono indicatori che il futuro non è favorevole ad Israele. Oggi Israele, con tutte le sue capacità militari – convenzionali e non convenzionali -, non è in grado di garantire la propria sicurezza. Oggi, con tutte queste capacità, non sono in grado di impedire che da Gaza venga lanciato un semplice razzo.

Per cui la grande domanda è: la potenza militare basta a garantire la sicurezza? Per questo possiamo dire che quando Israele rifiuta l’offerta araba e palestinese di uno Stato di Palestina fondato sui confini del 1967, Israele perde una grande opportunità. Fra pochi anni una nuova generazione palestinese e nuove generazioni arabe potrebbero non accettare più queste condizioni, perché l’equilibrio dei poteri potrebbe non essere più a favore di Israele.

Alya R.: La mia domanda riguarda l’uso di mezzi violenti. Quando vengono usati mezzi violenti, inevitabilmente si provoca la sofferenza di persone innocenti, soprattutto bambini; non solo palestinesi, ma anche bambini israeliani. Lei cosa pensa dell’uso della violenza?

Meshal: Buona domanda. A noi non piace che ci siano vittime, soprattutto se donne e bambini, nemmeno da parte israeliana, anche se è stato Israele ad attaccare noi da principio. Ma sfortunatamente, il fatto che i nostri aggressori insistano con la repressione violenta porta sangue innocente sulle strade. Fin dal 1996, 12 anni fa, noi abbiamo proposto di escludere i bersagli civili dal conflitto (da ambo le parti). Israele non ha dato alcuna risposta. Se Israele insiste ad uccidere i nostri bambini, i nostri vecchi, le nostre donne e i nostri rappresentanti, a bombardare le case con le cannoniere, gli F16 e gli Apache, se Israele continua questi attacchi, ai palestinesi cosa resta da fare? Si stanno solo difendendo con i mezzi che possiedono. Se anche noi possedessimo missili intelligenti, non li lanceremmo mai se non contro bersagli militari. Ma i nostri missili e razzi sono molto primitivi. Per questo li utilizziamo secondo le loro capacità, per reagire alle atrocità di Israele. Non sappiamo esattamente che cosa colpiranno. Se avessimo missili intelligenti – e speriamo che qualche paese possa fornirceli – è certo che non prenderemmo di mira se non bersagli militari.

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