Mitologia trotskista o marxismo?

di Massimo Piermarini

Non mi aspettavo, a distanza di due mesi, un articolo di sesta pagina dal titolo roboante quanto inconsistente "Lo stalinista e il satanismo storico" per commentare il mio intervento "Colossali menzogne del revisionismo storico". L’autore (o autrice) del pezzo usa un vecchio metodo, l’attacco mirato, per affrontare delle questioni che, nelle mie intenzioni, dovevano restare soltanto sul piano della discussione storiografica (ovviamente con una valenza politica di critica dell'ideologia anticomunista corrente). Malgrado la qualifica di "compagno" attribuitami (bontà loro!) i rilievi sono fastidiosi, considerato anche il fatto che le tesi portate avanti nell’articolo risultano aberranti.

Cercherò di rispondere punto per punto, senza utilizzare "vieux clichés" di maniera. Considero clichés di maniera espressioni quali "spettri dello stalinismo", "altare manicheo", "clericale agiografia staliniana", sui quali quindi non mi pronuncio, osservando soltanto che le liturgie sono incompatibili con la nostra concezione del mondo.

Veniamo dunque ai punti essenziali:

1. Non esiste, nella teoria marxista, la nozione di "regime di tipo collettivista" (Anche Sparta in un certo senso lo era e rappresentava un modello alternativo alla "democrazia" ateniese. Ma era una società basata sullo schiavismo), ma soltanto di società basata sul modo di produzione capitalista e società basata sulla produzione e la distribuzione comunista dei beni. Tra le due si colloca la società di transizione, il socialismo, cioè il regime della dittatura del proletariato, della dittatura della grande maggioranza dei lavoratori su un piccolo pugno di sfruttatori.

Quando i teorici di Voce Operaia (o di Praxis) parlano, nel caso dell’Urss, di collettivismo burocratico, di "regime totalitario - sfociato ad un certo punto nel potere autocratico di Stalin stesso" dimenticano completamente la teoria marxista sul ruolo della personalità nella storia (so che non amano molto Plechanov e il materialismo dialettico, ma possono ricorrere a Marx ed Engels con esiti altrettanto fruttuosi per una opportuna chiarificazione). Sembra di sentire le nenie trotzkiste che, coerentemente dal loro punto di vista, condussero l’antistalinismo sino alla soglia dell’antisovietismo.

La prima tappa per raggiungere l’antisovietismo (ormai una posizione soltanto storiografica, purtroppo, ma ancora attiva in funzione antileninista nel dibattito politico dell’"area comunista") è costituita dal non riconoscimento dell’Urss come paese socialista (il riconoscimento del carattere socialista dell’Urss limitato soltanto agli anni 20 è un’altra versione della stessa opzione, ma il risultato è lo stesso). La letteratura trotzkista offre un’ampia produzione sul tema della natura sociale dell’Urss, così come quelle bordighiana e bordighista, la teoria di Rizzi sul collettivismo burocratico e, in un certo senso, quella di Gilas sulla Nuova classe (la burocrazia). La prima opera importante che segna un’epoca nella storia di questo filone di critica nei confronti della natura socialista dell’Urss è, si voglia o no, "La rivoluzione tradita" di L. D. Trotsky.

2. E veniamo dunque a Trotsky. Poniamo una domanda preliminare, forse necessaria per svelare un livello di precomprensione molto "personale" dell’avversario dialettico. Una volta riconosciuta, com’è giusto, la statura intellettuale del personaggio e attestato che la lettura delle sue opere da parte dello scrivente risale ad almeno un quarto di secolo fa, riesce spontaneo chiedersi:

Perché si dovrebbero cercare "una miniera di elementi preziosissimi per quanto attiene alla spinosa questione della transizione al socialismo" nelle opere di Trotsky e non, poniamo, nelle opere di Mao-Ze-Dong, che pure ha fondato la Repubblica Popolare Cinese, sconfitto l’imperialismo e il fascismo e la borghesia nazionale, promosso la Grande Rivoluzione culturale proletaria, con lo scopo di schiacciare la borghesia anche "dentro il partito comunista" e ha costruito un forte e potente paese socialista? Chi meglio dei comunisti che fecero integralmente l’esperienza storica della dittatura del proletariato su posizioni marxiste-leniniste nel corso di decenni e in posizioni di dirigenza politica può offrire materia di riflessione ai comunisti oggi su quegli eventi?

Ancora. Perchè dovremmo trovare la risposta alle nostre domande sulla storia del movimento comunista e in particolare sulle esperienze statuali del movimento operaio negli scritti di coloro che si schierarono contro questo movimento quando era al meglio delle sue forze? di coloro che mettevano in dubbio la possibilità stessa di costruire il socialismo in Russia e in altri paesi in quanto tali, perchè puntavano ad una astratta "rivoluzione mondiale", permanente e ininterrotta, e lottavano dunque per azzerare l’esperienza precedente? Infine, se si analizza nell’insieme l’opera di Trotsky, cosa emerge? Un paradigma alternativo alla teoria leninista della rivoluzione proletaria. Questo è evidente fin dal 1905. E qui diciamo alternativo nel senso che la teoria della rivoluzione permanente di Trotsky rappresenta, a nostro avviso, uno stadio precedente dello sviluppo del marxismo raggiunto dal leninismo, un prodotto intellettuale legato al marxismo della II Internazionale non solo politicamente (menscevismo) ma soprattutto ideologicamente. La lunga storia della lotta di Trotsky contro il leninismo prima della Rivoluzione d’Ottobre e dello scontro con la Segreteria del Partito credo lo dimostri anche a chi non usa quella logica "manichea" che l’articolista attribuisce agli "stalinisti". Ma qui il discorso sarebbe molto lungo e richiederebbe una minuziosa ricognizione, che appartiene al mestiere degli storici.

Andiamo poi alla radice. Alla radice lessicale. Il termine "stalinismo" non ha nessun significato e va sostituito in sede storiografica con "periodo della direzione di Stalin nel PCUS". Il PCUS e non Stalin era la forza dirigente dell’Urss. Che cos’è infatti lo stalinismo? E’ il comunismo, il marxismo-leninismo. Distinguere lo stalinismo dal comunismo è il primo passo per distruggere o sterilizzare ad uso e consumo della borghesia il "comunismo", cosa che Kruschev realizzò effettivamente con il XX congresso, rompendo la continuità storica e la memoria collettiva del movimento comunista. Il comunismo, come dottrina politica, è la teoria e la pratica della rivoluzione proletaria, cioè della dittatura del proletariato contro la borghesia e l’imperialismo, per l’edificazione del socialismo e del comunismo.

E allora, cosa c’entra Trotsky con Bettiza ed Ernst Nolte? Nulla - sostiene l’articolista di Praxis. Bene, ma a chi si deve muovere il rimprovero? Non al sottoscritto, ma a quell’infame storico revisionista russo, Suvorov, che si richiama a Trotsky. Cito testualmente dal mio commento: fu Trotsky "che nelle sue invettite antistaliniane degli anni che vanno dal 1933 al 1939 (cioè dopo essere stato espulso dal partito e dall’Urss) attribuiva a Stalin (cioè al Partito comunista dell’URSS) la responsabilità dell’ascesa di Hitler e della guerra mondiale!!!".

Questo è un fatto oggettivo, che mi sembra confermato dal giudizio espresso dall’ignoto articolista di Praxis, per il quale la lotta contro la socialdemocrazia, la politica dei "fronti popolari" e il patto di non-aggressione del 1939 favorirono l’ascesa del fascismo e spinsero questo all’attacco contro l’URSS. Il che mi sembra un paradossale rovesciamento dei significati storici, prima ancora di quelli che i compagni cinesi chiamavano "i giusti verdetti". D’altra parte, tutti sanno che la repressione della rivoluzione spartachista in Germania fu attuata dai socialdemocratici insieme alla destra militare. Su questa base com’era possibile un’alleanza con la socialdemocrazia? La politica dei Fronti popolari, poi, non fu una concessione all’imperialismo, ma una decisiva scelta di lotta antifascista, nel momento in cui il nazismo diventava un pericolo mondiale. E negli anni 30, mentre l’Urss stava realizzando ancora la sua industrializzazione, iniziata nel1928 con il primo piano quinquennale, com’era possibile la rivoluzione mondiale, cioè sferrare l’attacco decisivo all’imperialismo? Soltanto su base idealistica si può pensare di sfidare e vincere l’imperialismo multinazionale a partire dalle magre riserve del proletariato periferico e dalla ‘reazione a catena’ prodotta dalle sue lotte nelle centrali capitaliste.

Queste e altre domande cruciali ci debbono condurre a delle conclusioni sensate. Lo stalinismo è fallito? La scomparsa dell’Urss lo dimostra? In questa rappresentazione mitologica della storia si dimentica il XX Congresso, vero punto di rottura della storia politica dell’Urss e il trionfo nefasto del revisionismo a livello internazionale. D’altra parte si potrebbe agevolmente rovesciare il discorso e dire: il trotzkismo, dopo il 1991, scomparsa l’Urss e cessata la persecuzione contro gli eretici, aveva campo libero in Russia (a prescindere dagli altri paesi dell’Est) per praticare la "rivoluzione permanente" o una "rivoluzione antiburocratica". Invece cosa ha fatto? E’ diventato una massa di manovra e un alleato dell’Occidente, al soldo della Nato e della CIA, cioè "spazzatura reazionaria" come voi stessi lo avete definito per aprire completamente le porte alla restaurazione del capitalismo. Ma la questione decisiva, scusate la brutalità, è alla fine: chi vinse la partita della seconda guerra mondiale? Hitler o l’Urss? E gli accordi di Yalta rafforzarono l’imperialismo o il socialismo, con la nascita del "campo socialista"? Naturalmente chi considerava l’Urss un paese non più socialista dal momento in cui Stalin divenne Segretario del Partito comunista estende questo giudizio a tutti gli altri paesi nati sul modello sovietico. Riserverà un trattamento diverso alla Jugoslavia, in forza della rottura con Mosca.

Ma sarà condannato, questo è il punto, a liquidare la maggior parte del patrimonio storico del movimento comunista rendendosi così incapace di analizzarne le vicende, i successi e le sconfitte, onde ricostruire il paradigma della teoria rivoluzionaria, dell’unica teoria rivoluzionaria che il Novecento ci lascia in eredità e di cui ci dobbiamo riappropriare per rigorizzarne la struttura e l’impianto analitico, il marxismo-leninismo, per attendere al nostro compito principale: la ripresa strategica del movimento comunista a livello internazionale e la ricostruzione del partito comunista. Credo dunque sia necessario, sulla base di un’analisi coraggiosa, trarre tutte le conclusioni dalle premesse certe e rinunciare a certi "maestri politici".

Massimo Piermarini

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