Processi reali e mosche cocchiere

II cosidetto dominio unipolare, semplificato dalla cultura imperialista dominante, ma anche enfatizzato da una certa sinistra, specialmente quella che si definisce no-global, sta producendo una grande articolazione di contraddizioni dentro le quali gli anchilosati comunisti dovrebbero riuscire a muoversi come pesci nell’acqua se non fossero disabituati, dopo anni di rituali sempre uguali, a ragionare in modo dialettico e a definire dei veri obiettivi politici.

Su quali questioni dobbiamo ragionare e su quali obiettivi dobbiamo definire una linea di condotta? In primo luogo sulla questione della pace e della guerra rispetto alla quale il problema essenziale è impostare obiettivi di lotta che siano capaci allo stesso tempo di utilizzare tutte le contraddizioni che si stanno producendo e di essere efficaci nella lotta contro i fautori della guerra. Non si tratta qui di ripetere le cose scritte in altra parte dì questo Foglio.

E ancora, rispetto alla situazione interna italiana, come si pone lo stesso problema di coniugare lo sviluppo delle contraddizioni con una prospettiva che le utilizzi e le proietti in avanti?

Perché è importante porre questi interrogativi? Ci sono, a mio modo di vedere, ragioni antiche e recenti che debbono farci riflettere e preoccupare. Quelle antiche le conosciamo bene e sono quelle che ci hanno visti protagonisti di mille battaglie che hanno sempre finito per avvitarsi su sé stesse perché la loro ‘direzione’ politica si è identificata con progetti strategici che non corrispondevano ai dati oggettivi. Per ultimo ciò è avvenuto col movimento no-global su cui si sono operate mistificazioni dello stesso tipo.

Sicché, alla fine, ci sì è ridotti a fare le mosche cocchiere di processi dì trasformazione che non stavano nell’ordine delle cose. Il movimento, o meglio dire i movimenti, non sono stati identificati per quello che realmente rappresentavano. Perciò oggi, in un momento di svolta epocale, dopo più di un decennio di ‘recessione’ politica, grandi forze si sono messe in movimento e bisogna capirne la dimensìone.

Per capirci, ritorniamo sul problema della guerra. Se è vero che la decisione americana di provocare una guerra infinita ha una valenza imperialista precisa - e su questo le analisi dei comunisti hanno rappresentato un punto di riferimento, seppure debole -, la condizione in cui si sviluppa questa offensiva ha caratteristiche completamente diverse dalla prima e dalla seconda guerra mondiale. E’ solo il caso di ricordare che nella prima come nella seconda guerra mondiale esìsteva un fronte militare che coinvolgeva direttamente decine e centinaia di milioni di persone, di cui una buona parte in armi, per cui il carattere di resistenza alla guerra diventava direttamente scontro armato e trasformazione della lotta in lotta rivoluzionaria. Nella situazione odierna, mentre la contraddizione imperialista si riaffaccia con caratteristiche classiche, il modo in cui lo scontro si sta configurando - e le manifestazioni del 15 febraio lo confermano - richiede ai comunisti l’elaborazione di una tattica che sia adeguata alla nuova realtà in cui prevalgono la politica, le alleanze, i movimenti di massa. L’antimperialialismo, in altri termini, deve diventare capacità concreta dì combattere l’imperialismo reale secondo le nuove condizioni.

Quello che sta accadendo sotto i nostri occhi, in termini dì partecipazione al movimento contro la guerra all’Iraq e di divisione tra alleati occidentali, dà il senso a come va individuato il percorso che deve portare alla crisi del progetto americano di guerra infinita e alla riapertura di processi di liberazione internazionale.

Se la questione della guerra rimane e deve rimanere il centro di ogni strategia politica, occorre prestare anche la massima attenzione a ciò che sta accadendo su scala nazionale.

Mentre sembrava che il settore tradizionale che si definisce no-global e che peraltro è politicamente diversificato, continuasse a dominare la scena, si sono affacciate alla ribalta forze e settori sociali che erano stati in precedenza egemonizzati dalle leadership tradizionali dell’Ulivo o che si erano ritirati ai margini.

Cofferatismo, girotondismo, reazione di interi settori istituzionali non solo al berlusconismo dilagante ma anche al dalemismo imperante e subalterno alla destra, hanno rubato la scena ai no-global e al Bertinotti-pensiero, dimostrando che le crepe aperte nel corpo della società italiana sono profonde ed hanno carattere politico più che rivendicativo. Stoltamente, le mosche cocchiere del vecchio e del nuovo ideologismo radicale, invece di cogliere il senso delle contraddizioni e capire dove andava e con quali forze andava delineata la nuova frontiera dello scontro hanno posto domande che fuoriuscivano dal contesto della maturazione delle contraddizioni effettive.

Mentre era la realtà stessa che metteva all’ordine del giorno le questioni obiettive ed essenziali per ogni ulteriore avanzamento, le mosche cocchiere procedevano senza curarsi del risultato possibile. Eppure le indicazioni erano chiare: battere D’Alema e il suo entourage per ridare senso ad una sinistra dei valori, fare della lotta a Berlusconi una questione di democrazia nelle sue varie articolazioni, dall’informazione, alla giustizia, all’insegnamento ecc.

Mentre sulle questioni sociali, a partire dalla FIAT, bisognava e bisogna tuttora misurare gli obiettivi portandoli fuori da un astratto rivendicazionismo e porre i programmi, dal salario, all’occupazione ai diritti, sul terreno dei rapporti di forza politici. Gli unici che possono garantire i risultati effettivi. Le mosche cocchiere, anche in questi casi, si sono dimostrate più arretrate della rivoluzione ‘moderata’.

Queste note non servono a riattizzare le polemiche che Aginform conduce contro il radicalismo e il ‘comunismo’ ossificato, quanto a indicare un obiettivo importante e positivo. Esso consiste nel recuperare una capacità di indicazione tattica e di comprensione dei dati oggettivi che porti i comunisti a rideterminare un ruolo attivo e necessario in questa fase. Continuare a parlare di ‘comunismo’ o ritagliarsi spazi critici senza capire come misurarsi con la nuova situazione interna e internazionale lascerà ancora una volta campo libero a posizioni di segno strategico diverso dal nostro

Roberto Gabriele

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