Lettera ai compagni di Nuova Unità

Con questa nostra lettera facciamo seguito alla discussione avuta a luglio con i compagni della vostra redazione e che ci è sembrata utile e fruttuosa. Utile perchè abbiamo confermato una metodologia che ci è comune e che consiste nel vedere in un processo unitario tra realtà organizzate di comunisti la chiave per produrre una situazione qualitativamente nuova; fruttuosa perchè ha posto le premesse per uno sviluppo di rapporti e di dibattito.

Ritenendo le questioni in discussione positive e fuori da una certa tradizione che è fatta di improvvisazioni organizzative e politiche, ci permettiamo di riassumere, in vista anche della vostra riunione di settembre, alcuni termini della discussione su cui intendiamo, da ora, andare a un approfondimento.

La prima, principale questione da approfondire riguarda il livello di sviluppo delle relazioni tra comunisti e la battaglia per l’affermazione delle posizioni comuniste. A questo proposito riteniamo di fondamentale importanza - per coloro che non sono confluiti in Rifondazione ma che hanno anche, fortunatamente, evitato di dar vita a paradossali forme "partitiche" - che si definisca in termini più chiari la questione organizzativa. In altri termini: se si ritiene utile e necessaria l’autonomia organizzativa dal PRC, bisogna domandarsi in che termini e in quale prospettiva si colloca questa autonomia. Se non si chiarisce questa questione si rischia di rimanere schiacciati tra la logica del meno peggio di chi sta in Rifondazione e quella di chi mette in piedi il solito "granitico" partito che è la caricatura del leninismo. A noi sembra che questo importante aspetto della questione abbisogna di una rapida risposta, non solo per esigenze di chiarezza, ma perchè attardarsi ancora permette l’avanzata di posizioni devastanti rispetto alla possibilità di sopravvivenza di autentiche posizioni comuniste. Difatti, la logica della sopravvivenza, anche delle posizioni più oneste, non permette di dare risposte adeguate e di far crescere le nostre posizioni. Le esperienze di questi anni, crediamo, l’abbiano abbondantemente dimostrato sia a noi che a voi. Dunque la questione non è sopravvivere, anche con le migliori intenzioni, ma impegnarsi in una battaglia per l’unità di quell’area comunista che mantiene posizioni legate alla storia e alla teoria del movimento comunista internazionale per avere una forza adeguata. Senza vincere questa battaglia, senza far breccia nella coscienza dei compagni su questa questione, non c’è futuro.

L’obiezione che si potrebbe avanzare è che andiamo scoprendo l’acqua calda, dal momento che ciascuno ha proposto l’unità agli altri, senza ovviamente raggiungerla. Ma noi parliamo, a proposito di unità, non di un fatto organizzativo sic et simpliciter (scusate il latino ma non ci vengono in mente altre parole), bensì di un impegno a mantenere unita un’area accettando il dibattito al suo interno e andando alla verifica aperta e senza pregiudizi delle varie posizioni. Un processo dialettico quindi tra sviluppo organizzativo e dibattito-verifica delle posizioni.

Tutto ciò non ci sembra realizzato neppure quando certe analisi, anche molto serie, vengono fatte circolare tra i compagni. Se manca la dimensione del lavoro collettivo e della verifica, come base di crescita della forza comunista, tutto si perde in una dimensione culturale che non scalfisce l’esistente e le tendenze negative.

Perchè questo discorso viene fuori solo ora? E’ chiaro che, dopo la crisi dell’89, non si poteva improvvisare una prospettiva e quindi abbiamo attraversato varie fasi di incertezza. Chi si è lanciato in avanti in maniera volontaristica non ha fatto progressi e ha subíto solo sbandamenti o chiusure che non hanno sciolto i nodi che i comunisti devono saper sciogliere per progredire. Ora però i tempi della riflessione sono scaduti e bisogna decidersi a dare una risposta concreta e formulare ipotesi più precise anche in rapporto alle condizioni oggettive. Esistono o no le condizioni per una ripresa, e quale è la strada da imboccare? Nella discussione incominciamo da questo e cerchiamo di coinvolgere il maggior numero di compagni.

E’ chiaro, almeno a noi, che quando si parla di sviluppo dell’area comunista bisogna mettere in primo piano le forme e i tempi della dimensione culturale di questa crescita. Se Mao ha detto giustamente che i comunisti devono vivere come i pesci nell’acqua, come si può pensare che si possa sopravvivere in una dimensione che vede prosciugarsi tutti i contenuti della cultura comunista? Ne consegue che, nel momento in cui si apre una seria discussione tra comunisti, bisogna porsi da subito, se non si vuole avere la dimensione della setta, la questione di una forte e intelligente presenza culturale che rimuova gli ostacoli che gli avversari hanno creato per impedire la sopravvivenza dei comunisti come forza politica.

La seconda questione che ci sembra utile porre nella discussione tra di noi è il rapporto all’interno della sinistra per la sua trasformazione e per l’unità.

L’autonomia dei comunisti, di cui abbiamo parlato finora, non esclude un rapporto con l’intera sinistra. I comunisti non sono dei marziani che tengono acceso il fuoco della verità contro gli altri, intendendo per altri il resto della sinistra. I comunisti sono coloro, come afferma Marx nel Manifesto, che hanno una visione scientifica dello scontro di classe e politico, ma non devono usare questa loro posizione come una clava, ma come capacità di esprimere con coerenza e chiarezza gli obiettivi del movimento reale.

Ne consegue, a nostro avviso, che nel momento in cui ci poniamo il problema dell’autonomia e della crescita di quelle che noi riteniamo posizioni comuniste, dobbiamo nel contempo porci la questione di come rapportarci agli altri in un processo che sia in grado di produrre la massima capacità di attacco del movimento contro il nemico.

Purtroppo l’esperienza ci insegna che ad una certa separatezza strategica corrisponde anche la mancanza di una visione tattica, attivando così un circuito estremista che porta all’impotenza e al velleitarismo. Per sfuggire a questa logica un certo numero di compagni che si richiamano a posizioni comuniste si sono buttati nel movimento, ma questo non è un rimedio adeguato, perchè si rischia di diventare subalterni a chi possiede gli strumenti per controllare gli avvenimenti quotidiani. Paradossalmente è la destra, di qualsiasi tipo, che ha imparato a gestire la lotta politica e le questioni strategiche, mentre i comunisti hanno disimparato, nella crisi che li ha coinvolti, a unire tattica e strategia.

Un’ultima questione: l’impegno sul programma, cioè in sostanza il rapporto tra comunisti e lotte.

Su questo punto ci sembra che tra di noi c’è stata una completa identità sul fatto che la riorganizzazione e l’unità dei comunisti coincida con un impegno prioritario nelle lotte e in particolare su due obiettivi: lotta all’imperialismo e difesa dei lavoratori e delle lavoratrici contro lo sfruttamento. Su questi punti di programma riteniamo che ci sia veramente bisogno dei comunisti. Infatti, ad esempio, la debolezza del movimento antimperialista e contro la guerra, pur avendo ragioni oggettive, deriva dagli ondeggiamenti di una certa sinistra e dalla mancanza di coerenza nell’impegno pratico; come pure, nonostante la moda del cobasismo, non si riesce a stabilire una linea di difesa nel cuore dello sfruttamento operaio dopo le grandi ristrutturazioni e la diffusione massiccia del lavoro nero, del precariato e della flessibilità.

Avere riconosciuto queste priorità ovviamente non rende immediate le risposte su come affrontarle nella pratica, ma ci sembra un buon auspicio il comune sentire su due questioni di capitale importanza per la crescita delle posizioni comuniste.

La Redazione di AGINFORM

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