Un'appropriazione indebita
La storia dell'OPR è un'altra

Un gruppo che si rappresenta come 'comunisti in rete' sta proponendo una ricostruzione falsa della storia dell'Organizzazione Proletaria Romana. L'OPR infatti ha avuto caratteristiche assai diverse da come vengono rappresentate dagli autori di un libro propagandistico [qui la cronaca della presentazione] che sembra avere più che altro lo scopo di accreditare gli autori e il loro gruppo come ispiratori di un'esperienza originale, una 'anomalia' nel panorama degli anni '70. Quel che segue valga dunque come smentita e diffida (politica) contro chi sta tentando questa operazione. Ciò, sia ben chiaro, senza alcuna intenzione di aprire una querelle infinita, del tipo di quelle 'antirevisioniste' di maoista o bordighista memoria. Lasciamo volentieri i passatempi di questo tipo ai gruppettari di ieri e di oggi. Noi vogliamo semplicemente salvare la nostra storia di compagni e comunisti, tenendola fuori da quel terreno melmoso, fatto di imbroglio politico e opportunismo, a cui l'OPR è stata sempre estranea.

Intanto una puntualizzazione 'storica'. La storia dell'OPR finisce nel 1991, al termine di una discussione che ne sancisce anche formalmente la dissoluzione. La discussione riguardava lo scontro tra i fautori di una sorta di nuova 'via parlamentare al socialismo' e chi, come noi, riteneva che il rapporto con le istituzioni dovesse essere unicamente di rappresentanza delle istanze centrali di cui l'OPR era portatrice, l'organizzazione dei lavoratori e le lotte sul territorio a Roma.

Il gruppo dei comunisti in rete in quella occasione difese i 'parlamentaristi', le cui gesta successive sono note: dalla lotta per la casa all'assessorato alla casa con Rutelli, all'assessorato al bilancio della regione Lazio e poi alla carica di vice sindaco con Marino e indicato dalle cronache come cliente di Buzzi. Se però a suo tempo gli autori della 'storia anomala' hanno difeso personaggi che poi, raggiunto l'obiettivo, si sono liberati rapidamente del fardello del comunismo e della lotta di classe, ciò non è accaduto per caso, e la storia successiva dei comunisti in rete lo dimostra.

Ma il vero motivo per cui l'esperienza dell'OPR finisce nel 1991 ha radici oggettive, anche se coloro che si sono appropriati della carrozzeria pensavano ad altro e non avevano nessun interesse ad approfondire la questione. Gli anni '90 come tutti ben sanno sono segnati dalla crisi del movimento comunista e dal crollo dell'URSS e delle democrazie popolari. "Che cosa c'entra questo con la fine dell'OPR?" Questo andavano dicendo i futuri comunisti in rete, che così impedivano una discussione seria sugli avvenimenti e sulle conclusioni da trarne. E qui entriamo nel merito di una delle vere 'anomalie' di questa organizzazione che pur agendo su un terreno di massa, manteneva una sua caratteristica comunista e di disciplina interna, contro la logica dei 'diversamenti comunisti' che imperversava nel 'movimento'. Certamene non eravamo noi a poter rivendicare la rappresentanza dei comunisti italiani. Per questo abbiamo aspettato inutilmente, prima e dopo la fine del PCI, che i comunisti si riorganizzassero sul terreno di classe e internazionalista per poter dare il nostro contributo. Come risposta abbiamo avuto Bertinotti e Cossutta e la partecipazione ad un governo che bombardava la Jugoslavia. Questo ci ha convinti che ormai il combinato disposto tra il crollo dell'URSS e le caratteristiche di quella che veniva definita 'rifondazione' comunista precludeva una effettiva riorganizzazione dei comunisti, almeno a breve, e che la trincea non poteva essere mantenuta in quelle condizioni (rimandiamo a questo proposito a quanto scrivemmo nel '94 - ["Alcuni interrogativi per una discussione sull'89" - qui]). Su questo a quanto pare non ci eravamo sbagliati.

Certo, i comunisti non erano spariti in Italia, ma le aggregazioni possibili, come i fatti dimostrano, potevano essere solo residuali. Quindi, come poteva un'organizzazione con la pretesa di contribuire a svolgere una funzione strategica (perchè tale è il compito dei comunisti) avere un futuro? Da qui nasceva la crisi dell'OPR. Ma questo poteva interessare chi, non avendo uno straccio di ipotesi, pensava però all'eredità materiale che un lavoro di 15 anni aveva costruito? Certamente no e, date le circostanze, era meglio buttarsi sull'esistente per ricavarne qualche vantaggio. E così è stato e da lì comincia un'altra storia, che è appunto quella dei comunisti in rete.

Non entriamo nel merito di questa storia perchè non solo non ci appartiene, ma rientra in una pratica politica dalla quale ci siamo separati negli anni '70 per costruire, appunto, l'anomalia dell'OPR.

Un secondo aspetto di questa anomalia e che segna una discontinuità con l'esistente negli anni '70, caratterizzato dal binomio di anarcosindacalismo e progettualità rivoluzionaria basata su analisi fasulle, è stata la scelta delle rappresentanze sindacali di base, cioè l'intuizione che, se dal punto di vista politico la crisi del movimento comunista ci portava indietro di decenni, la deriva del PCI e del sindacato ad esso collegato faceva riemergere una ripresa dell'autonomia di classe nel tessuto produttivo e del lavoro dipendente. Su questa ipotesi, collegata a quella politica dell'OPR e che ci distingueva dall'autonomia operaia con la A maiuscola e dallo storico opportunismo della cosiddetta sinistra sindacale, abbiamo ottenuto una verifica positiva, ma la 'svolta' che ha portato a sostituire l'OPR con i comunisti in rete ha condizionato e distorto anche questo progetto. E non poteva essere altrimenti, dal momento che c'è una sostanziale differenza tra il sindacalismo di base che si rapporta ai gradi di sviluppo dell'autonomia di classe (come unica base dell'organizzazione dei comunisti) e l'ipotesi di un sindacatino autonomo esterno ai confederali. Visto che quel meccanismo funzionava lo si è poi anche riprodotto, dando però visibilità a una varietà di sigle che ricordano più i gruppi sessantottini che l'emergere di uno sviluppo unitario di classe nel paese.

Ma l'analisi del sindacalismo di base oggi richiede un discorso a parte. A noi interessa invece evidenziare che gli eredi immeritati delle RDB hanno cominciato a favorire, coi loro comportamenti, il frazionamento del sindacalismo di base per parrocchie, violando lo statuto originario e i contenuti del progetto di legge sulle modalità della rappresentanza che il senatore Nino Pasti aveva presentato, su nostra sollecitazione, al Senato nel 1983. Fino al punto che per sopravvivere si è arrivati anche a firmare contratti nel Pubblico Impiego senza una vera rappresentanza nelle categorie e infine, alla firma del famigerato accordo del gennaio 2014 tra confederali e confindustria sulla rappresentanza. Così si dava un colpo mortale all'autonomia di classe che era la base delle teorizzazioni dell'OPR e delle RDB.

Era inevitabile così che infine i comunisti in rete, senza una analisi corretta dei processi in corso in questi anni per definirne caratteristiche e potenzialità, sarebbero confluiti in quel brodo di di cultura che è il 'movimento', cercando di aggregare tutto e il contrario di tutto nel vano inseguimento non solo di un'egemonia politica (con inconfessate velleità elettoralistiche) fatta di chiacchiere e di rituali post-sessantotteschi, ma anche del tentativo di trovare quella forza che sul terreno di classe stentava ad affermarsi e che è stata sostituita dallo sventolio di bandiere.

Come abbiamo detto all'inizio, l'OPR era nata proprio fuori e contro questo brodo di cultura fatto di anarcosindacalismo e di neocomunismo autocertificato e assolutamente ecclettico, spesso confinante con l'anticomunismo. Oggi l'OPR, che è sempre stata su posizioni legate alla storia del movimento comunista, si ritroverebbe anche coinvolta dai comunisti in rete in alleanze strette con il gotha trotskista italiano, come è avvenuto con l'operazione fallita di Ross@.

Vogliamo ricordare, a questo proposito, che l'OPR ha anche pubblicato la rivista Lotta per la Pace e il Socialismo, nettamente schierata con il movimento comunista internazionale che ha sempre considerato il trotskismo una cosa estranea alle proprie basi storiche e teoriche. Quindi non solo si è scelto il brodo di cultura movimentista, ma addirittura si è passati dall'ortodossia all'eresia, che è la logica dei trasformisti.

P.S. Queste precisazioni, come si è detto, non sono l'apertura di un dibattito. Abbiamo anche evitato il gossip e di far nomi e non ci siamo lasciati trascinare dalla voglia di qualificazioni pesanti dei comportamenti. Quanto detto vale solo come precisazione, onde evitare che certi produttori di carta straccia si facciano scudo con l'OPR.


Aginform
19 febbraio 2017