Le anime impagliate della sinistra italiana

Piero Pagliani

Fonte: Megachip e Comunismo e comunità
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4 aprile 2011







Siamo gli uomini vuoti
Siamo gli uomini impagliati
Che appoggiano l'un l'altro
La testa piena di paglia.

T. S. Eliot

Ammiro Gino Strada e gli voglio bene; ci conosciamo da quando lui studiava medicina, scorazzavamo assieme per le montagne e condividevamo la stessa passione politica. E voglio bene a compagni come quelli dell’Associazione Culturale Punto Rosso per la quale otto anni fa scrissi un libro che, ahimè, prevedeva che sarebbero scoppiate molte guerre nel corso della presente crisi sistemica e ancora ne scoppieranno.

E’ proprio per questo, proprio perché sto parlando di persone a cui sono stato legato e con le quali c’è stato un percorso comune che mi sento obbligato a riflettere sulla trasformazione che sta subendo la coscienza di una sinistra che in pochi anni è passata da piazze di milioni che si opponevano alle guerre di Bush a piazze che raggruppano qualche centinaia di persone che sono contrarie alle guerre di Obama pur condividendone sostanzialmente gli obiettivi dichiarati (ovviamente non quelli reali, ciò è chiaro e non è messo in discussione).

Perché proprio questo disquisire sull’onestà o meno degli obiettivi ufficiali che è il punto cruciale, ciò che fa pensare ad un disastro, ad una Fukushima politica.

Se posso immaginarmi la cautela con cui si deve muovere Emergency a causa della delicatezza delle situazioni in cui usualmente opera, non accetto però l’intrinseco opportunismo di quelle forze politiche che non vogliono prendere una posizione netta nel timore che potrebbe pregiudicare future alleanze. Ma più che altro rimango sbigottito da atteggiamenti che rivelano un problema di fondo.

In un articolo che compare sull’ultimo Bollettino di Punto Rosso si legge una frase come "Sarkozy è un compagno di merende di Gheddafi" (con riferimento al “mostro di Firenze”).

Frasi come queste, ripetute in mille varianti vuoi con protagonista Sarkozy, vuoi Berlusconi, vuoi gli inquilini di Downing Street, vuoi di quelli della Casa Bianca, devono fare riflettere perché sono paradigmatiche del modo di pensare che si è impadronito di una larga fetta della ex sinistra radicale. Un modo di pensare che non permette più di denunciare come dato immediato e principale che anche la guerra contro la Libia è un’aggressione imperialistica bensì, cosa che per i residui no-war è più importante, che la guerra è ipocrita. E le due cose non coincidono affatto, o meglio non coincidono più nella pratica politica che ci verrà sempre più drammaticamente richiesta. La conclusione logica del tardo-pacifismo di sinistra dovrebbe essere che invece di fare affari con la Libia occorreva aggredirla prima in qualche modo, preferibilmente non bellico, magari con embarghi tipo quello che ha causato la morte di 500.000 bambini iracheni, per via di una serie di considerazioni politico-umanitaristiche sviluppate qui in Italia, ma che fanno riferimento ai più infallibili transponder per bombardieri mai sviluppati sinora: “i diritti universali”.

Così sul palco di Piazza Navona, lo scorso Sabato, si è sentita ancora una volta la litania: “Perché non si ha allora il coraggio di attaccare la Cina, dato che anche la Cina è una dittatura?”. Questo servirebbe a dimostrare che la guerra non è contro una dittatura, ma per perseguire laidi interessi (che si fermano al solito petrolio, perché più in là non si va). E quindi è una guerra ipocrita (ma il neocon William Kristol non è per nulla ipocrita: lo dice apertamente che in politica estera ogni decisione non ha nulla a che vedere con l’etica bensì con gli interessi; quindi non è detto che i bombardatori siano ipocriti, possono essere sincerissimi, e quindi nel loro caso quella critica sarebbe disinnescata).

Ma dato che poi si ribadisce che l’appello è rivolto anche “contro i dittatori” e dato che noi abbiamo decretato unilateralmente cos’è democrazia e cos’è dittatura, chi è dittatore e chi no, la conclusione logica è che se i potenti occidentali non fossero ipocriti e vigliacchi dovrebbero bombardare anche la Cina, anche se la conclusione empirica ed emotiva è che la guerra è comunque brutta e quindi non bisogna farla. Cosa sulla quale non posso che concordare; ma questo è un altro paio di maniche, perché nell’apparato di motivazioni e ragionamenti della sinistra è una conclusione del tutto estemporanea, che non riesce a far pace tra cuore e cervello.

Oltretutto se di ipocrisia si vuol parlare è un bel po’ inquietante che molta gente che mentre mugugnava contro il neoliberismo a casa propria probabilmente votava come "meno peggio" (che comunque è sempre un "peggio", come avvertiva Hannah Arendt), o addirittura entusiasticamente, proprio la punta di diamante del neo-liberismo in Italia, cioè la sinistra, è irritante dicevamo che questa gente utilizzi le aperture liberiste, fatte coi missili puntati alla tempia, di Gheddafi, per dimostrare l'indimostrabile, ovvero che i "ribelli" della Cirenaica sono "rivoluzionari".

In realtà mentre i veri Comunardi non osarono impadronirsi della Banca di Francia (errore colossale, come commentò Engels) questi novelli comunardi di Bengasi una Banca Centrale alternativa l’hanno immediatamente istituita per incamerarsi i beni congelati, ovverosia rubati dall'Occidente al governo libico tuttora riconosciuto come legittimo dalla stragrande maggioranza dei Paesi del mondo, e l’hanno già infeudata alla finanza anglosassone. Non contenti triangolano con gli Emirati (in primis quello del Qatar - da cui Al Jazeera, non per caso) per svendere il petrolio anch’esso rubato.

Questi sarebbero i rivoluzionari stanchi delle aperture al liberismo del "regime".

E fosse solo questo. Guardate qua, se vi sostiene lo stomaco, cosa fanno i “rivoluzionari” che la Rossanda vorrebbe andare ad aiutare magari con delle brigate internazionali.

E guardatevi questa carneficina, attribuita alle "truppe del raìs", ma in realtà eseguita dai "rivoluzionari" ai danni dei soldati libici.

Eppure nessuno si chiede: come mai dopo più di un mese che si parla di massacri da parte dei lealisti, con l’Est della Libia in mano agli insorti e calpestato da decine di volenterosi scarponi delle intelligence di Stati Uniti, Francia, Olanda, UK e Italia, ancora non si è trovata nessuna prova non dico degli inesistenti 10.000 morti strombazzati da tutti i media tre giorni dopo l’inizio della sedizione (smentiti anche dal Pentagono), ma nemmeno di massacri più circoscritti e quindi bisogna ancora dire bugie, “scippare” mattanze, per convincerci delle nefandezze del “regime”? Non è che viene il dubbio che qualcosa nella propaganda di guerra non quadri? Nessuno si ricorda la vana benché tenace ricerca delle fosse comuni in un Iraq ormai a disposizione dei conquistadores? Nessuno si ricorda della balla delle armi di distruzione di massa?

Perché la sinistra, anche quella no-war, è diventata la cassa di risonanza più efficace di tale propaganda? Cosa possiamo farci con questa sinistra che ha già dimenticato che stiamo massacrando esseri umani ed è tornata con festosa isteria ad occuparsi del bunga bunga di un personaggio irritante e deleterio ma assieme al quale la cosiddetta opposizione ha preso le più nefaste e criminali decisioni (in molti casi, come l’attuale, addirittura con la saccenza del primo della classe)?

Perché nessuno indirizza qui, dove i dati ONU ci dicono che la Libia ha (aveva) il più alto indice di sviluppo umano di tutta l’Africa, calcolato con parametri come l’accesso all’istruzione, lo sviluppo e l’accesso ai servizi sanitari e lo standard di vita?

Su questo Paese nel primo giorno di bombardamenti abbiamo pensato bene di scaricare uranio impoverito pari a quasi cinque volte quello lanciato in tutta la guerra del Kosovo (si vedano l’articolo di Marco Sarti e quello di David Wilson, premio Pulitzer per aver denunciato e documentato il massacro di My Lai durante la guerra in Vietnam).

Le brigate internazionali della Rossanda correrebbero quindi un grave rischio; è meglio che se ne stiano a casa, magari urlando “Né né” (detto incidentalmente e facendo tutte le proporzioni del caso, “Né con Stalin né con Hitler” come sarebbe suonato durante la battaglia di Stalingrado?).

O si capisce che l’imperialismo è di per sé un crimine che non si combatte fingendosi anime belle, o bisogna ammettere senza reticenze di esserne complici, hard, soft, consapevoli o inconsapevoli (che non è una scusante). Se si vuole sapere di cosa si è complici si abbia il coraggio di vedere queste foto (ma qualche anima bella ha mai condotto una battaglia di genere coerente, metodica e risoluta per le madri e i piccoli raffigurati in quella tremenda galleria della sofferenza, o è più importante cercare di far passare la D’Addario come vittima del connubio sesso e potere di stampo berlusconiano?).

A questo fine e fino a questo punto è stata spianata la nostra coscienza, con la più putrida corruzione dell’internazionalismo proletario diventato interventismo umanitario.

Dobbiamo stare molto attenti, perché la coscienza di molta destra rischia di uscirne più pulita delle nostre anime morte e impagliate di sinistra.

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