La guerra culturale dei media
per nascondere la pulizia etnica israeliana
e la natura colonialista e razzista dello stato di Israele

James Patras

James Patras, ex professore di sociologia alla Binghampton University di New York, è un consigliere dei senza terra e dei senza lavoro in Brasile e Argentina ed è coautore di 'Globalizzazione Smascherata' (Zed). Il suo ultimo libro, scritto con Henry Veltmeyer, 'Social Movements and State: Brazil, Ecuador, Bolivia and Argentina' è stato pubblicato nel mese di Ottobre, 2005.

E' piuttosto comune leggere ogni giorno nei più prestigiosi giornali (Financial Times, New York Times, London Times, Washington Post) di 'rappresaglia' israeliana. Il reportage menziona frequentemente un attacco palestinese contro un insediamento coloniale in Cisgiordania o contro la popolazione urbana in Israele. L'attacco e la reazione ad esso sono sempre collocate in una cornice temporale limitata. L'azione palestinese è sempre presentata come il momento iniziale e l'attacco militare israeliano viene sempre descritto come una risposta o una 'rappresaglia' e quindi 'giustificabile', presumibilmente una forma di azione difensiva.

Così, ciò che appare come un reportage obiettivo riguardante due tipi diversi di azioni, è in realtà una selezione arbitraria di contesti temporali che pone la base per un racconto interpretativo altamente partigiano. La tendenza pro israeliana, evidente di per sé nella scelta della sequenza dei tempi, ed il contesto, deriva dall'argomento ideologico generale che presenta Israele come una democrazia, che si difende da terroristi arabi o musulmani, e non come una potenza coloniale espansionista impegnata in una violenta pulizia etnica e nell'espulsione forzata di popolazione, su larga scala e a lungo termine.

Ciò che manca ai reportage di queste prestigiose 'notizie' è la sequenza degli avvenimenti che precedono gli attacchi palestinesi. Ciò che è invece probabile trovare è una serie di incursioni militari israeliane, bombardamenti e uccisioni di civili, esecuzioni sommarie di prigionieri politici, come pure arresti arbitrari, demolizioni di case e espropriazioni illegali (anche per gli standard coloniali) di terre. Un esame di rapporti settimanali direttamente disponibili e ben documentati del centro palestinese per i diritti umani (Palestinian Center for Human Rights, PCHR) getta una luce completamente diversa sul contesto e la cornice per capire la sequenza degli avvenimenti e, cosa ugualmente importante, sulla natura e gli obiettivi dello stato israeliano.

Per la settimana che va dall'8 al 14 dicembre 2005 il PCHR ha riportato:

-10 palestinesi uccisi dalle forze di occupazione israeliane, di cui sette sono state assassinati in modo extragiudiziario dalle forze di occupazione israeliane nella striscia di Gaza
. -34 civili palestinesi, inclusi 17 bambini, sono stati feriti dalle forze di occupazione israeliane.
-Le forze di occupazione israeliane hanno attaccato obiettivi civili nella striscia di Gaza.
-Le forze di occupazioni israeliane hanno effettuato 40 incursioni in comunità palestinesi in Cisgiordania.
-Alcune case sono assaltate e 91 civili palestinesi, tra i quali professori universitari, candidati parlamentari e quattro bambini, sono stati arrestati.
-La sede dell'Associazione Giovanile islamica di Hebron è stata chiusa per due anni.
-Una casa palestinese è stata occupata, le persone che vi vivevano sono state cacciate e l'edificio è stato trasformato in una sede militare delle forze militari israeliane.
-Le forze di occupazione israeliane hanno continuato a portare avanti l'assedio totale dei territori occupati palestinesi ed hanno imposto pesanti restrizioni sugli spostamenti dei civili palestinesi in Cisgiordania.
-Le forze di occupazione israeliane hanno arrestato presso vari posti di blocco della Cisgiordania 12 civili palestinesi tra cui sei bambini.
-Le forze di occupazione israeliane hanno usato pallottole di metallo rivestite di gomma per disperdere dimostrazioni pacifiche di protesta contro il muro di annessione, ferendo un bambino e sei dimostranti.
-I coloni israeliani hanno continuato ad attaccare civili e proprietà palestinesi nei territori occupati, mentre le forze di occupazione israeliane hanno confiscato terre a numerosi villaggi palestinesi vicino a Betlehem, Hebron e Gerusalemme cacciando 30 famiglie palestinesi.

In questo contesto le azioni militari palestinesi sono chiaramente in difesa della comunità, delle famiglie e della vita. Un controllo dei precedenti notiziari del 2005 mostra che i fatti della settimana dall'8 al 14 dicembre 2005 sono un esempio rappresentativo dell'insieme dell'attività israeliana. Se dovessimo moltiplicare i fatti di quella settimana per 52 settimane e per i cinque anni dal 2000 ad oggi, avremmo un'idea precisa della gravità dell'offensiva e degli assalti militari israeliani. Le prove schiaccianti, sia in termini di ampiezza, obiettivi e tempo degli attacchi militari israeliani, dimostrano chiaramente che sono in corso attività offensive da parte di Israele collegate all'espansione territoriale, all'oppressione coloniale e alla pulizia etnica.

Gli attacchi indiscriminati contro civili e bambini, la sistematica distruzione e il blocco di vie di comunicazione e di trasporto essenziali, e la vigorosa applicazione di politiche di punizione collettiva (arresti di membri di famiglie di sospetti resistenti, distruzione delle case delle famiglie dei sospetti) sono finalizzati all'abbattimento della base dell'attività economica, del tessuto sociale della società civile e dei rapporti tra le famiglie. Le prove empiriche forniscono la base per concludere che gli attacchi militari israeliani contro i palestinesi, per la loro natura sistematica e continua, non sono rappresaglie; sono invece chiaramente le cause delle risposte militari palestinesi. Gli israeliani non sono vittime ma piuttosto oppressori, come è evidente da una molteplicità di azioni: occupazioni di case, di terra, imprigionamenti, blocchi di vie di comunicazione, ecc. L'iniziativa e i progetti delle azioni israeliane sono diretti a intimidire e impoverire i palestinesi e, in ultima analisi, costringerli ad abbandonare il loro paese, al fine di costruire uno 'stato esclusivamente ebraico' basato su 'legami di sangue' approvati dai rabbini, e quindi uno stato non dissimile dai precedenti regimi razziali e clericali.

La ripetizione costante da parte dei giornali rispettabili della retorica della 'rappresaglia' colonialista può essere considerata un'arma di propaganda per nascondere la pulizia etnica israeliana e la sua espansione militare, e quindi delle motivazioni sottostanti di tipo razziale e clericale di una strategia mirante alla creazione di uno stato esclusivamente ebraico. La scelta dei media - aggettivi e verbi - fa parte di una guerra culturale che è connaturata alla egemonia strutturale dei sostenitori e seguaci pro-israeliani.

Peacepalestine
28 dicembre 2005
Traduzione Mauro Manno


Ritorna alla prima pagina