Il Partito comunista cinese

Nel corso della sua lunghissima storia il Partito Comunista Cinese ha effettuato molte svolte tattiche, nello sforzo di aderire ai processi reali e di praticare una "linea di massa", ma anche di "cogliere le occasioni" per fare avanzare il processo rivoluzionario. Come si sa, la navigazione tra i rischi dell'opportunismo e dell'avventurismo è stata sovente difficile, ma la nave è riuscita, finora, a non colare a picco.

Forse perchè, anche in mezzo ai marosi più violenti, il timoniere ha mantenuto fermo il polso affidandosi costantemente ad alcuni elementi essenziali del proprio programma e della propria strumentazione di navigazione e tali elementi, a loro volta, pur andando talvolta contro le correnti superficiali, si sono posti in sintonia con le correnti oceaniche profonde.

Prima di tutto, l'obiettivo fondamentale del PCC non è mai mutato: si tratta della costruzione di una società comunista, di quello che gli ideologi anticomunisti, anche di estrema sinistra, definiscono "utopia" comunista. Dice Jiang Zemin: "Noi lavoriamo ad attuare il programma massimo della realizzazione finale del comunismo. Coloro che dimenticano questo nobile obiettivo non sono membri del Partito degni di questo nome, nè lo sono coloro che non si consacrano alla realizzazione del programma del Partito nello stadio primario del socialismo" (ovvero il programma minimo evidentemente, NdR). Dunque, programma minimo e programma massimo. Come siamo fortunatamente lontani dall'opportunistico stravolgimento della definizione marxiana del comunismo, stravolgimento operato sia dal "marxismo eretico", sia dagli "autorganizzati" di ogni specie, i quali di fatto sostituiscono alla concezione del comunismo come "abolizione dello stato delle cose presenti" quella bernsteiniana del movimento, o della lotta, che sarebbe tutto, mentrte il fine, cioè il comunismo, sarebbe nulla!

Ma, proprio perchè il programma massimo sembra intenzionato a realizzarlo sul serio, il PCC, d'altra parte, sembra essere nella stessa misura consapevole della difficoltà e, se non altro, della lunghezza dei tempi dell'impresa: il comunismo non è nè per domani, nè per dopodomani. Follia, il "tutto e subito". Già Mao aveva detto che il passaggio al comunismo abbisogna di ben più che cento anni. E Jiang rincalza: "Il consolidamento e lo sviluppo del sistema socialista esigeranno la lotta persistente di parecchie generazioni, di una dozzina o anche di parecchie dozzine".

Il secondo fondamento del PCC è la riproposizione costante dell'ancoramento alla classe operaia come proprio mandante sociale; di essa vuole rappresentare lo strumento politico nel perseguimento degli interessi strategici, ovvero la conquista del potere in funzione della costruzione di una società, prima socialista e poi comunista, in cui sia abolito lo sfruttamento. Il PCC non condivide le teorie capitalistiche e di estrema sinistra sul "tramonto della classe operaia", e neanche quelle brezneviane del "Partito di tutto il popolo", la cui confutazione radicale, fatta da Mao, il PCC non ha mai ripudiato.

In quanto rappresentante e avanguardia della classe operaia impegnato in un'aspra lotta per il potere, il PCC vuole mantenersi unito e disciplinato: di qui il ribadimento della teoria leninista dell'organizzazione basata su due pilastri portanti: il "centralismo democratico" e i "rivoluzionari di professione", quadri e funzionari impegnati a tempo pieno nella politica di Partito. Leninista si presenta anche la sintesi della visione politica del PCC denominata i "quattro principi cardinali", formulati da Deng Xiaoping. Il primo principio sostiene che la via per lo sviluppo e la modernizzazione della Cina non può essere altra che la "via socialista". Secondo il PCC tale via non solo è obbligatoria per la liberazione della classe operaia, ma lo è anche per quella della nazione cinese. La via capitalistica comporterebbe la distruzione della Cina; la condanna della sollevazione studentesca prooccidentale dell' '89 è diventata ancora più dura e definitiva, dopo il crollo dell'URSS, non solo tra i dirigenti e i lav oratori, ma anche in seno alle élites che allora rimasero neutrali pur inclinando verso gli studenti.

Il secondo principio è un corollario del primo. Si tratta della "guida del partito comunista". Dice ancora Jiang: "Non c'è mai stata, in Cina, un'organizzazione politica come il nostro Partito, con tanti elementi avanzati, così bene organizzato, con fondamenta così ampie e che abbia compiuto tanti sacrifici per la nazione cinese". La guida è il PCC. Non viene lasciato il minimo spazio strategico nè alla spontaneità e all'autorganizzazione, nè al sindacalismo, anche se le prime sono considerate fonti importanti di indicazioni e di tendenze su cui il Partito interviene per selezionare, generalizzare ed, eventualmente, reprimere, mentre il secondo rimane, classicamente, necessaria cinghia di trasmissione della linea del Partito tra i lavoratori dipendenti. Hanno invece spazio gli altri partiti "democratici" su cui il PCC esercita una totale egemonia, temperata peraltro dall'obbligatorietà della loro consultazione in seno alla Conferenza Politica Consultiva nazionale.

Il terzo principio è la "dittatura del proletariato" che, nelle condizioni storiche di un processo di liberazione che si verifica in un paese arretrato, si articola come "dittatura democratica popolare sotto la direzione della classe operaia e sul fondamento dell'alleanza operai-contadini". Il PCC ritiene che nei paesi occidentali la democrazia sia solo un travestimento delladittature di classe del capitale. Assumendo in pieno non solo il concetto ma anche la lettera dell'idea marxiana che il potere del proletariato implica la repressione politica della borghesia (tanto più nel quadro dell' "economia di mercato socialista", dove la borghesia è destinata a durare e in una certa misura ad espandersi per molti decenni), caricandosi anche dell'impopolarità dell'uso in senso positivo del termine "dittatura", il PCC non solo sfida la convinzione che la democrazia occidentale sia l'unica possibile, ma anche l'opportunismo degli ultrademocratici e degli ultrarivoluzionari che criticano i rapporti sociali capitalistici e nello stesso tempo aborriscono il terreno della forza e del potere come strumenti decisivi di lotta per l'abolizione di tali rapporti. Nella pratica peraltro la "dittatura" è applicata con molta duttilità e colpisce solo i "dissenzienti" estremisti, lasciando molto spazio alla critica e al dissenso, mentre viene lasciata aperta la ricerca di elementi di perfezionamento del sistema politico che prevede crescenti elementi di democrazia diretta.

Il quarto principio è quello di una forte aderenza all'ideologia comunista. "Nella Cina contemporanea il marxismo-leninismo, il pensiero di Mao e la teoria di Deng costituiscono un sistema scientifico unificato ...", dice Jiang. "Non dobbiamo mai rigettare il marxismo-leninismo e il pensiero di Mao". Anzi, "innalzare la bandiera della teoria di Deng significa innalzare autenticamente la bandiera del marxismo-leninismo e del pensiero di Mao". Il PCC si propone di fare acquisire a tutti i cinesi una concezione marxista del mondo e di costruire una "civiltà spirituale socialista". Ha cioè la scandalosa pretesa di voler ancora creare l' "uomo nuovo" previsto dalla religione laica marxista. Per il momento può contare sull'impegno di 60 milioni di iscritti e di 100 milioni di candidati.

Nota: tutte le citazioni sono tratte dal Rapporto di Jiang Zemin al XV Congresso del PCC (12/9/97), vedi "Quaderni di Aginform", allegato ad Aginform del 15/7/98.

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