Riflessioni di un comunista

Intervista a Enzo Pernigotti

Enzo Pernigotti è un compagno che non ha bisogno di molte presentazioni, dal momento che i comunisti lo conoscono come un militante di vecchia data. Proprio per questa sua storia la riflessione che pubblichiano ha un'importanza.

Qual è il bilancio che fai della tua militanza comunista post Pci?

Certamente positivo. Uscito dal Pci, quando (finalmente) ho preso atto della sua inarrestabile deriva revisionista, avendolo constatato sempre più orientato su posizioni liberal-borghesi in economia e antisocialiste in politica estera (era finita la spinta propulsiva dei paesi socialisti!?), ho avuto modo di viaggiare parecchio, soprattutto in Italia ma anche nei paesi socialisti, di incontrare numerosi compagni e compagne che avevano vissuto esperienze simili alla mia o anche profondamente diverse, di discutere con loro, di confrontare i rispettivi punti di vista, di dare vita ad iniziative originali. Tutto questo mi ha permesso di allargare i miei orizzonti politici, di riconoscere i limiti dell’esperienza vissuta all’interno del partito e di ammettere anche gli errori commessi i quali, seppure indotti, errori pur sempre restano. Dico questo molto serenamente, così come devo riconoscere che le militanza all’interno del Pci è stata comunque positiva poiché ha contribuito a farmi comprendere l’importanza che rivestono, nel lavoro politico, l’organizzazione, il metodo e la determinazione.

Queste caratteristiche, applicate nell’attività svolta successivamente all’uscita dal partito, mi hanno facilitato la comprensione della situazione esistente nell’ampia galassia di movimenti, sigle, formazioni, gruppi di compagni che fanno riferimento a qualcuna delle numerose esperienze socialiste realizzate nel mondo, permettendomi di valutare abbastanza agevolmente le capacità dei singoli compagni e la loro affidabilità sul piano politico.

Ho avuto modo di verificare che al di fuori dei partiti tradizionali esistono numerosi compagni dotati di ottime capacità, teoriche, organizzative e di lotta, che dedicano molto del loro tempo al lavoro politico, pubblicano giornali, riviste, opuscoli, libri, organizzano seminari di studio, dibattiti, manifestazioni. Alcuni di essi mettono molta passione in quello che fanno, altri, purtroppo, lo fanno in modo autoreferenziale.

Le esperienze vissute, i compagni incontrati, le varie realtà che ho avuto modo di conoscere, si sono rivelate utili a capire meglio la nostra società, i fatti e gli avvenimenti quotidiani che la caratterizzano e a non subire gli effetti dei pesanti condizionamenti cui siamo costantemente sottoposti. Penso non sia proprio poco.

Quali sono le ragioni oggettive, nazionali e internazionali delle difficoltà incontrate?

Partirei da quelle internazionali. La sconfitta (temporanea, a mio avviso) dei Paesi socialisti, lo scioglimento del Pcus e dell’Unione Sovietica (proclamati vilmente da colui che aveva il compito primario di difendere e rafforzare quelle istituzioni), il dissolvimento della Repubblica Democratica Tedesca e della Cecoslovacchia e i pesanti cambiamenti nell’indirizzo politico ed economico attuati dai dirigenti cinesi (benché gli stessi facciano ancora riferimento all’esperienza socialista), sommati alle enormi difficoltà in cui navigano Cuba e la Corea del Nord, conseguenza anche del mutato contesto internazionale, hanno fatto venire meno una serie di esempi concreti, di esperienze positive, verificabili, a volte entusiasmanti, cui fare riferimento nel nostro lavoro politico.

Anzi, tutto ciò ha dato modo alla propaganda borghese di parlare, a sproposito, di "caduta del muro", di "fine del comunismo", e di "vittoria della democrazia" (?) e, già che c’erano, di "superiorità della cultura occidentale".

Ora tutti noi sappiamo che si tratta di panzane: però sappiamo anche che una bugia ripetuta tante volte diventa credibile così come la pubblicità insegna. Inoltre i fatti citati hanno pesato negativamente sul morale di molti compagni e sulla loro volontà di continuare a lottare, in un contesto molto più difficile.

Sul piano interno si sommano altre questioni. Nel nostro paese si sconta la mancanza di un Partito Comunista: ce ne sono diversi che si dichiarano tali, ma nessuno possiede le qualità per meritarsi un aggettivo così impegnativo. E questo pesa. Manca il "luogo" in cui dibattere, programmare, svolgere analisi, scontrarsi sulla linea da adottare tatticamente, e poi ritrovarsi, e fare proselitismo.

Esistono numerosi "surrogati" del partito, gruppi organizzati, circoli, comitati, centri studi, confederazioni, ma nessuno con le capacità di elaborare un progetto politico convincente e di aggregare un numero significativo di compagni. Alcuni di essi addirittura sembra abbiano paura di confrontarsi e di crescere: difendono gelosamente le loro peculiarità, si sentono portatori della linea giusta e pensano che tutti gli altri siano in errore. Il fatto di risultare pressoché ininfluenti non li preoccupa affatto.

I numerosi tentativi intrapresi al fine di metter in contatto queste diverse realtà, per farle discutere, riflettere sulla negatività della situazione esistente, sullo scarso profitto dell’attività parcellizzata di numerosi compagni e, per contro, sulla potenzialità rappresentata dal lavoro unitario di tanti compagni, su alcuni temi forti condivisi da tutti, non hanno prodotto i risultati auspicati. Quali le cause? Forse, più d’una: l’abitudine ad operare in ambiti ristretti in cui la propria posizione raramente viene contraddetta; la smania di leaderismo; la diffidenza preconcetta nei confronti di altri gruppi con esperienze diverse; ma, qualche volta, anche la volontà di impedire la formazione di una nuova realtà autenticamente comunista nel nostro paese. Peccato, si è sciupata una buona opportunità.

Quale autocritica ti senti di fare sui limiti teorici e politici con cui si è affrontato il lavoro?

Personalmente non ho difficoltà a riconoscere i miei limiti teorici: le mie conoscenze non sono sufficientemente approfondite e questo ha fatto sì che in alcune circostanze non ho saputo trovare argomenti o riferimenti teorici tali da rendere più convincenti le mie proposte, che pure giudicavo corrette e far sì che venissero accettate.

Questi insuccessi, anziché deprimermi, hanno stimolato in me il bisogno di maggiore conoscenza, il desiderio di apprendere. Credo che un poco di modestia non guasti. Presso altri compagni ho riscontrato, in alcuni casi, una preparazione teorica più vasta ma spesso troppo schematica, avulsa dal contesto reale, astratta.

Quando si affronta il lavoro politico con una siffatta impostazione non si raccolgono grandi risultati, poiché non si tiene conto della realtà in cui si opera, non si valutano correttamente le forze di cui si dispone, si perseguono obiettivi irrealistici, velleitari, sprecando molte energie e spargendo delusioni.

Per farmi comprendere, preciso di riferirmi a quei gruppi che abbiamo conosciuto, i quali avendo molta dimestichezza con il pensiero leninista, ne sono così pervasi da comportarsi costantemente come se fossimo in una fase pre-rivoluzionaria, e tacciano di revisionismo i compagni più pragmatici, o più realisti.

Però il limite più grande che abbiamo riscontrato è senz’altro quello rappresentato dalla paura di perdere la propria identità, di confondere le proprie posizioni in un’organizzazione più ampia ma non sufficientemente caratterizzata e, per qualcuno, anche quella di perdere il ruolo di leader di un gruppuscolo e diventare parte attiva di un nuovo organismo in cui i ruoli si sarebbero dovuti conquistare sul campo. Questi comportamenti denunciano chiaramente una scarsa fiducia delle proprie posizioni politiche.

Qual è il filo conduttore di una ripresa comunista che non sia autoreferenziale e ripetitiva di esperienze fallite?

La situazione politica mondiale è talmente chiara da venirci in soccorso. Benché si continui a sproloquiare sulla fine del comunismo diventa sempre più evidente la crisi profonda del sistema capitalistico-borghese: crisi di valori, innanzitutto (ognuno si arrangi e arraffi più che può; chi resta indietro se l’è voluto!!?), ma anche crisi economica, profonda, a dimostrazione delle contraddizioni intrinseche al sistema che tanto sbandiera la sua superiorità sul modello socialista ma quando, grazie all’assenza dell’antagonista, non dovrebbe incontrare alcuna difficoltà a dimostrarla cade in una crisi da cui non riesce ad uscire se non progettando "guerre infinite". Tutto questo, benché si tenti di mascherarlo con ogni mezzo, sta diventando palese per un numero sempre più grande di persone.

Nel nostro paese, inoltre, a fronte di una serie quasi quotidiana di vere porcherie commesse dalla compagine governativa composta da un bel numero di fascisti e dell’emergere dei costi pesanti che i lavoratori devono sopportare a causa del modello liberista, non esiste un’opposizione credibile capace di approfittare della situazione. Certo, sto parlando di un’opposizione vera, che metta in discussione il modello di sviluppo, che proponga soluzioni radicalmente alternative, chiaramente ispirate al modello socialista, che prospetti una società diversa, meno competitiva, meno distruttiva dell’ambiente, più sensibile ai bisogni delle persone, soprattutto di quelle che lavorano o hanno lavorato oppure sono in condizione di non poterlo fare ma comunque titolari di diritti (in questo caso sì, umani), che rispetti tutti i popoli della terra e ripudi drasticamente la guerra, compresa quella "umanitaria".

E’ facile comprendere come, nella situazione descritta, lo spazio d’intervento per i comunisti sia molto ampio. Se fossimo organizzati avremmo la possibilità di incidere sull’opinione di molti lavoratori colpiti dagli effetti della crisi. Mi pare quindi evidente la responsabilità di quei compagni che hanno operato in modo tale da impedire che un principio di organizzazione si realizzasse.

Ciononostante le contraddizioni del sistema continueranno ad acutizzarsi ed il bisogno di comunismo aumenterà specialmente se con le modeste forze di cui disponiamo riusciamo a diffondere le nostre idee e le informazioni corrette sugli avvenimenti, insieme ad una giusta interpretazione dei medesimi. Nella situazione attuale noi abbiamo il dovere di contribuire a fare crescere nella classe operaia la consapevolezza del grande ruolo che le compete, e di sostenere le numerose lotte che essa combatte per la difesa dei propri diritti, per una società più giusta e contro la guerra. Dobbiamo anche trovare il modo giusto per denunciare i guasti enormi prodotti nella classe dalle posizioni revisioniste e dalle politiche concertative.

Nel contempo dobbiamo continuare a ricercare rapporti costruttivi con altri compagni, anche a livello europeo giacché è abbastanza evidente che lo scontro di classe si sta spostando proprio su quel terreno. Il tempo si farà carico di dimostrare se avremo operato nella giusta direzione.

Ritorna alla prima pagina