Proletari in divisa

Gli arresti recenti di militanti del gruppo di Iniziativa Comunista non mettono solamente in luce le macchinazioni della magistratura per inventare casi di associazione sovversiva da utilizzare in campagna elettorale, ma evidenziano una situazione che si sta trascinando da tempo e su cui è bene tentare di fare chiarezza.

Purtroppo, la discussione su questi avvenimenti si è impantanata da una parte sulle montature giudiziarie e dall’altra sulle autoproclamazioni di estraneità al ‘terrorismo’ da parte di coloro che vengono coinvolti nella tela di ragno di quelle montature. Nella discussione si trascura invece un elemento essenziale che non riguarda tanto e solo l’estraneità di molti compagni alle imputazioni che vengono loro addebitate, quanto la vicenda stessa della nuova fase ‘terroristica’.

Di che si tratta? Se vogliamo capire che cosa sta veramente succedendo dobbiamo mettere assieme tutti i tasselli che vanno dall’omicidio D’Antona ad oggi, collegando fatti e segnali che peraltro sono stati continuamente amplificati dalla stampa.

Il primo interrogativo è questo: quando e perché è stata rilanciata la pista terroristica? Se i compagni avessero avuto più coraggio, invece di perdere tempo nella presa di distanza dal nuovo ‘terrorismo’ cosiddetto pcc-br, avrebbero dovuto chiamare le cose per loro nome e dire che il delitto D’Antona è un eccellente delitto di stato, deciso nel momento in cui l’Italia, guidata da D’Alema, era impegnata assieme agli USA nella guerra contro la Jugoslavia. Quale mezzo migliore era a disposizione di coloro che stavano conducendo una guerra di aggressione che far assassinare un oscuro funzionario del Ministero del Lavoro per distogliere l’attenzione e indirizzarla da tutt'altra parte?

Perché negli anni 70 si ebbe il coraggio di parlare di STRAGE DI STATO e nel caso d’Antona non si è pariate di DELITTO DI STATO? A chi faceva comodo classificare questo caso come delitto di ‘sinistra’? Ai moderati che volevano far credere che in fondo gli assassini erano i ‘comunisti’ e non chi faceva la guerra? Il fatto che dopo anni le indagini non siano approdate a nulla conferma questa ipotesi, ma se anche spuntasse fuori qualche ‘compagno’ non cambierebbe la valutazone dei fatti perché la scelta di uccidere D’Antona non può che essere uscita da gruppi che potremmo definire di 'proletari in divisa' usando il nome di un movimento che a suo tempo si riferiva ai soldati di leva e oggi si può attribuire a gente in servizio permanente effettivo.

La questione di questi ‘proletari’ in divisa che si aggirano tra i comunisti va aldilà della vicenda D’Antona e sta diventando un fatto sistematico e preoccupante. Per chi avesse voluto prestare attenzione, in questi ultimi tempi ,alla nascita di ‘partiti’ comunisti clandestini, al sorgere di gruppi soggettivi della rivoluzione proletaria, nati come funghi da una clandestinità politica più che organizzativa, sarebbe risultato evidente che si stava delineando una nuova fase di provocazione che ha trovato oggi la sua materializzazione nell’arresto del gruppo di Iniziativa Comunista.

Questa fase non è esaurita, anzi possiamo dire che i ‘proletarì in divisa’ hanno tessuto la loro rete mettendo in piedi un progetto strategico fatto di contatti con forze ‘soggettive della rivoluzione’, magari attraverso veri o falsi clandestini per spingerli a configurarsi nel modo in cui è possibile far scattare l'allarme ’terrorismo’ al momento opportuno.

Dunque, più che prendere le distanze dal 'terrorismo’ bisogna aprire la discussione su ciò che sta veramente succedendo, su ciò che sta dietro la nuova fase dell’allarme terrorismo e sul modo con cui i ‘proletari in divisa’ possono organizzarsi utilizzando un brodo di cultura permeabile alle provocazioni.

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