Nessuna stretta organizzativa priva di contenuti

Lettera aperta ai compagni

Il fallimentare esito della assemblea fiorentina dello sorso 3 marzo induce i compagni a riflettere e ad esprimere considerazioni che proviamo a sintetizzare in alcuni punti

Da alcuni mesi assistiamo allo sfaldamento di una piccola ma importante area politica riunita attorno alla testata Nuova Unità, la sovrapposizione della redazione ad opera di un fantomatico comitato politico (non siamo una organizzazione ma solo un’area politica riunita attorno ad un giornale). La conduzione dell’assemblea lascia attoniti e dubbiosi perché si è cancellata una comune prospettiva programmatica optando invece per una stretta organizzativa priva di contenuti, stretta organizzativa che ha snaturato le premesse del convegno di Torino provocando la fuga dei pochi intellettuali a noi vicini.

Ancora una volta si confonde lo strumento con il mezzo e con il fine, si continua a parlare di partito o di fronte per la sua costituzione come scelta prioritaria che da sola è in grado di avviare un processo riaggregativo. L’esperienza di questi anni dimostra invece il contrario, i partitini e i comitati non hanno prodotto niente di significativo con il loro bagaglio retorico e sloganistico ma soprattutto autoreferenziale.

La necessità di ricostruire una organizzazione omogenea e centralizzata, in cui sia possibile, oltre al confronto e al dibattito democratico, la capacità decisionale e di attività pratica, è condivisa da noi tutti, come peraltro attesta il documento con cui ci siamo presentati a Firenze il 3 marzo e che alleghiamo nuovamente per chi non l’abbia potuto visionare: la necessità di riorganizzare i comunisti in una organizzazione che abbiamo definito neoleninista (cioè in grado di svolgere lavoro politico, ma anche di massa e politico-culturale per conquistare egemonia nella classe) significa essere disponibili e disposti a spenderci in questo percorso. Come già abbiamo detto e scritto, non ci interessa la sloganistica e la lettera del leninismo. Lenin e Gramsci furono i migliori eredi di Marx ed Engels perché interpretarono lo spirito, non la lettera del loro insegnamento. Così sta a noi oggi interpretare lo spirito, non la lettera ultraortodossa del leninismo.

Si parla inoltre a sproposito di proletariato pensando ad una fase dello sviluppo storico e politico ancora ferma al periodo di fondazione della terza internazionale, al modello fordista degli anni ’30 e alla centralità immobile della classe operaia di fabbrica. Ferma restando la centralità della contraddizione tra capitale e lavoro crediamo che sul piano della organizzazione produttiva e su quello delle soggettività molte cose siano cambiate e una analisi grossolana e scopiazzata da qualche testo classico non sia né sufficiente né utile a cogliere i cambiamenti avvenuti, quindi aggiorniamo una volta per tutte l’analisi che non può essere la stessa di trenta o quaranta anni fa. Anche la classe operaia asiatica, la più simile a quella degli inizi del secolo in Europa e in America, è comunque inserita in relazioni aziendali che si dislocano su piano planetario, attraverso le filiere e la nuova organizzazione del capitale industriale e finanziario. Quando si parla di proletariato, il riferimento teorico e ideologico non consente neppure di individuare le contraddizioni reali nelle quali vivono oggi le classi subalterne alle prese con una frammentazione della capacità lavorativa e dei luoghi - ruoli della produzione. Per questi motivi ribadire la centralità della classe operaia o del lavoro produttivo senza cogliere le profonde trasformazioni intervenute anche nella classe operaia di fabbrica su scala mondiale è un modo errato e ideologico di leggere i processi capitalistici avvenuti, alla comprensione dei quali si preferisce una comoda e rassicurante analisi ideologica vecchio stile.

Il rapporto esistente tra occupazione e disoccupazione la crescita dell’esercito industriale di riserva, il nuovo lavoro salariato, le delocalizzazioni produttive tra filiere e macro aree regionali, queste dinamiche debbono non solo essere conosciute ma studiate dai lavoratori comunisti, ai quali spetta il compito di costruire organismi di difesa e di offesa della classe

Ancora una volta parlare di classe operaia in termini generici ed approssimativi non aiuta, anzi gli schematismi giudicano l’unità dei comunisti e il partito i punti cardini del programma politico, noi pensiamo invece che una analisi siffatta sia destinata al fallimento e lo dimostrano i fatti recenti e non.

Del resto la battaglia delle idee , quella per aggiornare il marxismo dotandolo di strumenti analitici rinnovati, è stata sacrificata dai soliti richiami organizzativi che in questa fase sono invece finalizzati alla costruzione di una rivista di circoli politici e culturali e non di partiti destinati per altro a scomparire e a dissolversi in breve tempo. Nuova Unità avrebbe dovuto aiutare questo processo riaggregativo con redazioni locali funzionanti e in grado di rilanciare una battaglia storica e politica a partire per esempio dalle lotte antiglobalizzazione (dove i comunisti hanno un ruolo a dir poco defilato), a quelle promosse dai lavoratori comunisti.

Per altro sono emerse posizioni contrastanti che andavano discusse precedentemente e non sbattute in assemblea con scarso interesse per il confronto e la democrazia interna.

Siamo altresì convinti che gran parte dei compagni non tengano conto dell’esistenza di un partito della Rifondazione Comunista che con tutti i difetti e contraddizioni rappresenta una realtà variegata con la quale fare i conti e confrontarsi. Pensare i comunisti solo fuori o dentro RC, a nostro avviso è una posizione tanto schematica quanto riduttiva, costruire invece un partitino duro e puro rinunciando al confronto con le realtà circostanti è un errore politico al quale francamente non intendiamo partecipare.

Per questi motivi se possibile dobbiamo ripartire dalle proposte di confronto attorno a tre nuclei.

Rivista teorico politica.
Bilancio storico e teorico del novecento e dell’esperienza socialista, alla quale oggi si vorrebbero contrapporre esempi mediatici come quelli del Comandante Marcos (della Colombia e del Perù non si parla visto il carattere non localistico ma apertamente anti americano di queste due realtà guerrigliere). Non lasciamo poi alla cultura ufficiale il compito di leggere e interpretare la nostra stessa storia. Non otteniamo risultati facendo le pulci a questo o a quel passo di Lenin, occorre invece rigettare schematismi come quelli di chi non vuole parlare di globalizzazione perché giudica onnicomprensiva la categoria imperialismo. Noi crediamo che ogni enunciato debba essere correttamente interpretato e dimostrato con linguaggi onnicomprensivi, il resto va bene al teatrino dell’ideologia autoreferenziale.

Lavoro operaio.
Non pensiamo che la riproposizione della centralità della tuta blu sia l’elemento centrale della nostra analisi, mentre capire spazi e opportunità per il sindacalismo di base, allargare le iniziative di resistenza più significative sia possibile con un ambito specifico di intervento che non si riduca all solita sloganistica (partito e classe operaia). E’ singolare il silenzio attorno alla trattativa Zanussi che avrebbe dovuto rappresentare una buona occasione per sconfessare gli accordi sindacali degli ultimi anni.

Iniziativa antimperialista
Il lavoro di solidarietà internazionale e di denuncia della guerra nella Jugoslavia indicano terreni di iniziativa politica che non si riducono a qualche inconcludente riunione con micropartitini comunisti, pensando a questi come una novella internazionale. Anche in questo caso all’interno di Rifondazione esistono spazi e personalità (per esempio Grimaldi) con le quali sviluppare un comune lavoro politico, mentre al di fuori troviamo in alcuni casi soggetti che definire interlocutori è assolutamente sbagliato. Per altro alcune esperienze passate come quelle del campeggio antimperialista non hanno dato risultati accettabili, mentre urge la costituzione di un coordinamento nazionale in grado almeno di costruire una rete capillare di iniziative di solidarietà e denuncia. Anche in questo caso non sappiamo valorizzare le iniziative fino ad ora condotte, la disomogeneità e l’assenza di collegamento sono segnali di una preoccupante involuzione politica.

E’ bene schierarsi in modo netto e inequivocabile sulle questioni fino ad ora sollevate per non trovarsi ancora una volta in assemblee a discutere di argomenti irrisori, con i soliti schematismi senza costrutto.

Sia ben chiaro che non abbiamo intenzione di perdere tempo a difendere queste posizioni per altro condivise e sostenute da molti altri compagni. Le condizioni essenziali al libero confronto meritano chiarezza e disponibilità al confronto senza dividere i comunisti in termini manichei tra chi ha ragione (i fautori del partito) e chi ha torto (gli antipartito dipinti come forze soggettive piccolo borghesi).

Federico Giusti, Giovanni Bruno

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