Porto Alegre

il socialismo dalla scienza all’utopia

E’ vero che il movimento no global e il recente forum mondiale di Porto Alegre (oltre quindicimila delegate e delegati, circa cinquemila organizzazioni di 131 Paesi ecc.) sono eventi di grande importanza, di fronte ai quali neanche il più purista dei bordighisti potrebbe (almeno in pubblico) storcere il naso. Ma definirli "un momento senza precedenti nella storia dell’umanità, come nessuna Internazionale era riuscita a fare" (Liberazione del 3 marzo, pag.7), significa - tanto per non accusare di negazionismo chi fa simili affermazioni - non conoscere "la storia dell’umanità". Del resto sulle Tribune congressuali di Liberazione, nell’ardente clima "innovativo" da rifondazione permanente che anima un congresso che segnerà il Millennio, dirigenti ai vari livelli stanno facendo a gara a chi la spara più grossa. Solo due esempi di sfuggita: nel dopoguerra, dice un segretario regionale (Liberazione del 9.2.2002) il "compromesso sociale fordista" avrebbe consentito e persino imposto (!) un rapporto democratico tra Stato ed economia, ed il partito comunista di massa sarebbe nato proprio per riempire questo spazio di contrattazione. Ecco che lo scenario drammatico di Portella delle Ginestre, Montescaglioso, l’attentato a Togliatti, i morti di Reggio Emilia, la battaglia contro la legge truffa… tutto ciò è ridotto al quadretto idilliaco, esangue e desertico del "compromesso sociale fordista". Secondo esempio: "solo la rifondazione dell’identità comunista - dice un senatore del partito (Liberazione del 23.2.2002) - apre varchi per uscire da sinistra dalla crisi storica irreversibile e definitiva del comunismo/Stato". Questa è una critica che può fare chi sostiene che in Urss vi è stato almeno "un tentativo" di costruire il comunismo, non chi, come il senatore in questione, che ha sempre considerato la storia dell’Urss un abominevole susseguirsi di crimini, viene ora a parlare ipocritamente di crisi irreversibile del cosiddetto comunismo/Stato.

Ma ritorniamo a Porto Alegre. Il documento finale di questa assise denominato "Dieci punti per un altro mondo", e a cui la stampa di Rifondazione ha dato grandissimo risalto, non ha detto una parola, neanche una sola parola, di sfuggita, contro la guerra (sia pure senza aggettivi, semplicemente contro la guerra), contro le armi nucleari, contro i pericoli, oggi molto più reali di ieri, dell’uso di questi ordigni di distruzione di massa. La recente apertura degli archivi segreti della Casa Bianca ha svelato che Nixon era sul punto di usare, nonostante il parere sfavorevole di Kissinger, l’arma nucleare in Viet Nam, e che se quella decisione fu lasciata cadere, certamente ciò non accadde per merito di Kissinger ma per il reale timore di una possibile ritorsione nucleare sovietica. Oggi che, di contro alla superpotenza planetaria statunitense, non si è ancora formato o consolidato un sistema di potenze capaci di una forza di dissuasione pari a quella dell’Unione Sovietica, è addirittura delittuoso sottacere il pericolo di guerra atomica che gli Usa fanno incombere sul mondo. E’ recentissima la denuncia del "Washington Post" che ha svelato che Bush ha messo in piedi una sorta di governo-ombra composto da un centinaio di alti funzionari che lavorano ventiquattr’ore su ventiquattro in bunker sotterranei senza le loro famiglie, al riparo da possibili attacchi nucleari. Il loro compito sarebbe quello di limitare i danni ai rifornimenti alimentari del Paese, a quelli idrici, ai trasporti, alle reti elettriche e di telecomunicazioni, alla sanità. Come si vede, il governo americano, nel suo sogno di dominio planetario, e quindi nella febbrile corsa al potenziamento senza limiti della sua tecnologia militare, si è già messo, concretamente (ed anche esplicitamente, visto che il ministro Rumsfeld ha ipotizzato l’uso di armi atomiche) nella prospettiva di una guerra nucleare. Appare dunque incredibilmente ingenuo ipotizzare "un altro mondo" non solo "possibile" ma addirittura "in costruzione" trascurando la presenza di una potenza planetaria come gli Usa che ha praticamente instaurato una dittatura terroristica mondiale che mira ad asservire ai suoi disegni di grande potenza tutte le aree geopolitiche, ivi compresi l’Europa occidentale e il Giappone, attizzando odi nazionali e definendo a suo arbitrio e secondo le proprie convenienze (vedi l’articolo di Losurdo) chi sono i "terroristi" e chi gli eroi delle guerre di liberazione nazionale.

Tuttavia, sarebbe un’imperdonabile sciocchezza accusare il forum di Porto Alegre di non aver immesso "elementi di marxismo" nelle sue ingenue rivendicazioni per migliorare le cose nel nostro pianeta: il sistema capitalistico mondiale è così ingiusto, irrazionale, barbarico e per certi versi criminale, da indurre sempre più vasti strati di popolazione del Nord e del Sud del mondo a combatterlo attivamente. Viviamo in un’era di de-emancipazione, di arretramenti, di crisi delle ideologie, dove a differenza dell’epoca in cui si confrontavano due sistemi contrapposti, non è più presa in considerazione, a livello di massa, l’idea stessa che il socialismo possa soppiantare il capitalismo. Il partito bertinottiano è fiero di essere l’unico partito comunista accettato a Porto Alegre. Ma per esservi accolto deve camuffarsi, e proclamare la sua estraneità ad un passato che non gli appartiene, ad un passato concepito come un cumulo di macerie. Quei compagni che non intendono rompere definitivamente con una tradizione sono tacciati di "compilazione di alberi genealogici dei comunisti" (Liberazione del 27.2) o, peggio, di evocare "padri fondatori usati come santini in chiesa"(ibid.), oppure, più elegantemente, di "ossificare il partito in un involucro identitario" (ibid.) eccetera. Portata a termine questa operazione ideologica rifondativa, il partito, così autoriformato, è pronto a traghettare i suoi effettivi sulla sponda del movimento, alla coda del movimento, rifiutando di esercitare un’influenza, una funzione critica. Che non significa "mettere il cappello" o avere mire "egemoniche" ma introdurre nel dialogo, o anche nella polemica, il punto di vista marxista. In quel famoso documento in 10 punti di Porto Alegre sarebbe occorso un richiamo alla concretezza storica di un sistema mondiale dove tutto si tiene e verso il quale, invece, un’atomizzazione delle rivendicazioni mostra per intero il suo carattere utopico. Scrive Salvatore Tiné che "nel criterio logico-scientifico della priorità del tutto rispetto alle parti, dell’universale rispetto al particolare, la cultura comunista ha individuato una delle basi… della teoria marxista" (L’ernesto, novembre-dicembre 2001). Che senso ha dunque parlare di una "democrazia delle comunità che si organizzano per proteggere se stesse e i propri diritti"; o chiedere che alcune risorse come l’acqua, la terra, le foreste e il pesce "devono essere equamente divise"? Chi sarà disposto, se non ad accogliere, almeno a prendere in considerazione questo "cahier de doléance" globale scritto a Porto Alegre?

Il più grave (e incredibile) degli errori di Rifondazione è di aver accettato, unico partito al mondo che si richiama al comunismo, l’idea del superamento dell’imperialismo: spianata (virtualmente) la montagna che si frappone a "ciò che sarebbe giusto fare" nel nostro pianeta, allora sì che è possibile tradurre le sofferenze dei diseredati del mondo in mille lamentele del tutto legittime, giuste, sensate e razionali, da urlare ad ogni scadenza del calendario no-global. L’imperialismo ormai superato rende credibile, a dispetto delle guerre mondiali e delle rivoluzioni del secolo passato e di quelle attuali, anche il ritorno al pacifismo, alla non-violenza e alla disobbedienza civile ghandiane. Tutta la saggezza rivoluzionaria si compendia nella linea "no alla guerra (senza scomodi aggettivi tipo: imperialista; giusta; non giusta; di difesa nazionale; di aggressione ecc.), no al terrorismo", essendo divenuta anacronistica l’ipotesi che anche in questa nostra epoca la dialettica imperialismo-antimperialismo potrà ancora "addurre infiniti lutti" al genere umano.

Amedeo Curatoli

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