Premesse per un dibattito:
I comunisti e il PRC

Finora, su AGINFORM, abbiamo solo marginalmente affrontato la questione del PRC e il rapporto che esiste tra questo partito e le posizioni che noi definiamo comuniste.

Ad alcuni compagni potrà sembrare ovvia la differenza e quindi superfluo ricamarci sopra, se non per sviluppare la polemica quotidiana contro il Bertinotti-pensiero. A nostro parere, invece, la questione assume un valore molto più complesso ed è in rapporto diretto con le prospettive di crescita di una posizione comunista. Finora abbiamo registrato tre posizioni tra i compagni.

Una prima posizione è quella che, di fronte alla nascita del PRC, si è fatto finta che nulla fosse accaduto e si è continuato a marcare un’autonomia senza un progetto politico che si misurasse con la nuova realtà.

Un secondo gruppo di compagni di tendenza comunista è entrato nel PRC illudendosi che esso fosse la nuova casa dei comunisti e ben presto ha dovuto fare i conti con una dinamica politica ben strutturata secondo le idee e le posizioni del gruppo dirigente del PRC ed è stato rapidamente emarginato, se non addirittura espulso.

Un terzo gruppo ha creduto opportuno considerare come prioritario l’impegno politico quotidiano, indipendentemente dalle caratteristiche del PRC e quindi, onde evitare nuove frustrazioni, è rimasto nel PRC in quanto contenitore dell’opposizione di sinistra nel nostro paese.

Tutte e tre queste posizioni non hanno modificato la situazione, nè all’interno nè all’esterno del PRC. All’interno, perchè una posizione comunista non si è mai affermata e l’unica opposizione visibile è stata quella trotskista. All’esterno, perchè non è stata data nessuna indicazione seria sulle possibili alternative. Sicchè, la dialettica nel PRC si è sviluppata attorno alla partecipazione o meno al governo fino all’epilogo della scissione cossuttiana.

Per quanto ci rigurda, negli anni passati abbiamo cercato di avviare un discorso nell’area comunista che non si era identificata col PRC perchè emergesse un discorso alternativo che non catalizzasse tutta l’attenzione sul nuovo soggetto partitico. Inutile dire che questo nostro tentativo non ha avuto successo e la ragione, ovvia, di questo risultato negativo sta nei discorsi che da tempo andiamo facendo su gruppi e compagni che vivono la loro dimensione comunista su una soggetività prepolitica.

I risultati di questa arretratezza sono stati due: da una parte si è lasciata mano libera ai trotskisti di egemonizzare lo scontento e il disagio interno contro la linea ondivaga e parlamentaristica di Rifondazione; dall’altra si è permesso che tutto il PRC andasse avanti recidendo i legami con la storia e la teoria del movimento comunista.

Ora, la questione di Rifondazione si ripone in tutta la sua interezza, sia se vogliamo davvero far crescere una posizione comunista in Italia, sia di fronte a nuove svolte repentine che, riportando il PRC nell’area di governo, scatenerebbero l’opposizione strumentale dei trotskisti e dei vari settori gauchisti.

Di fronte a queste necessità noi vogliamo ribadire la nostra posizione sul PRC, che è entrata finora solo marginalmente nel dibattito di AGINFORM, ma che riteniamo sia importante evidenziare all’interno dell’area comunista a cui facciamo riferimento.

Perchè è importante discutere su Rifondazione? Innanzitutto per un dato politico oggettivo. Il PRC, lo si voglia o no, ha coperto dagli inizi degli anni ’90 uno spazio politico-organizzativo non certamente commisurabile con i gruppi e gruppuscoli che l’hanno preceduto. Già questo avrebbe dovuto imporre una riflessione seria che non si è avuta nè all’esterno del PCR nè tra coloro che ci sono entrati nell’illusione di trovare la nuova casa comune dei comunisti.

Soprattutto, dobbiamo riflettere sul fatto che ancora una volta la fisionomia politica che ha assunto un partito che si richiama al comunismo non è legata alla tradizione del marxismo rivoluzionario e al movimernto comunista storico, ma esso si è andato affermando come sintesi tra il tardo togliattismo di Cossutta e l’area ideologica della nuova sinistra mediata da gruppi dirigenti ben radicati nella sinistra parlamentare e istituzionale. Era chiaro fin dall’inizio dunque che il PRC non poteva essere il partito dei comunisti come noi lo intendiamo. Tuttavia esso andava ad occupare, sullo scenario politico, un ruolo di primo piano, schiacciando tutti i tentativi precedenti di trovare un punto di riferimento partitico all’opposizione di classe presente nel nostro paese.

A questo hanno sicuramente pensato i molti compagni che sono entrati nel PRC e che ne sono usciti molto presto o sono rimasti emarginati. Questi compagni hanno pagato la loro ingenuità e la loro impreparazione a prezzo di nuove disillusioni, ma queste disillusioni vengono 'da lontano'. Difatti, tenendo conto del ruolo di Cossutta nella preparazione del nuovo partito e del peso culturale del gauchismo trasformista, come potevano questi compagni pensare che senza un lavoro organizzativo e politico di grosso respiro si potesse incidere sulla situazione? E se questo lavoro non era stato fatto nel vecchio PCI o all’esterno di esso negli anni precedenti, come poteva automaticamente catalizzarsi nella nuova formazione politica?

Gli unici a trarre vantaggio da questa situazione sono stati i trotskisti che, avendo basi comuni con la socialdemocrazia di sinistra, hanno rapidamente ricoperto il ruolo di mosche cocchiere nello schieramento interno; oppure i gruppettari di varia provenienza in cerca di riciclaggio. Dunque se il PCR non è un partito comunista, qual’è il ruolo che svolge e come dobbiamo rapportarci ad esso?

Per rispondere a questo interrogativo si passa alla seconda questione che intendiamo porre in questo nostro ragionamento. In sostanza possiamo dire che il ruolo del PRC presenta, finora, due aspetti, uno positivo e uno negativo. Quello positivo consiste nel fatto che ha consentito in Italia un discorso di opposizione politica e sociale di respiro abbastanza ampio in presenza della degenerazione diessina e della emarginazione dei gruppi sessantottini. D’altra parte però questo risultato è stato ottenuto recidendo le radici storiche e teoriche col movimento comunista e con una rappresentazione partitica e politica di tipo parlamentaristico.

In virtù di queste caratteristiche il PRC è esposto a molti ondeggiamenti non solo nella definizione partitica (sinistra antagonista o organizzazione?), ma anche nella sua funzione (sinistra dello schieramento di uno dei due poli o opposizione?). La scissione cossuttiana e il dibattito trasversale nella sinistra istituzionale hanno dimostrato che il PRC non è una formazione stabilizzata ed è soggetto a crisi ricorrenti. Chi ha seguito il dibattito della conferenza organizzativa di Chianciano avrà avuto modo di registrare i preoccupati discorsi sulla perdita di iscritti (30%) e sulla rapidità del turn over.

Ciononostante per i comunisti il confronto con l’area PRC è una necessità che parte dal dato oggettivo che il ‘comunismo’ italiano ha assunto nel tempo i connotati che il PRC esprime con la sua politica e la sua forma organizzativa e quando parliamo quindi di trasformazione non ci si riferisce solo all’esterno, ma anche a chi oggi milita in questo partito. In altri termini, e per essere espliciti, un progetto di organizzazione comunista non può avanzare in Italia se non intacca in modo consistente l’area coperta oggi dal PRC. E non solo perchè bisogna misurarsi con gli obiettivi politici che questo partito pone, ma anche perchè la trasformazione coinvolge anche la sua base organizzativa e la sua area di influenza. Dietro la figura di Bertinotti c’è una tradizione socialdemocratica egemone nella sinistra con cui misurarsi.

Arriviamo dunque alla terza e ultima questione. Qual’è il senso, il contenuto del lavoro dei comunisti in presenza di una situazione caratterizzata dall’esistenza del PRC?

Non vi è dubbio che fin dall’inizio, cioè dalla costituzione del PRC, i comunisti non potevano nutrire dubbi sulla natura di questo partito. Tuttavia essi, proprio per il salto di qualità che la situazione andava registrando avrebbero dovuto misurarsi con essa. L’immaturità dell’area comunista di cui andiamo discorrendo da tempo ha però lasciato le cose inalterate, sia all’esterno che all’interno di Rifondazione.

E’ con grave ritardo quindi che oggi dobbiamo tentare un lavoro di recupero che dia credibilità all’autonomia e alla crescita politica dei comunisti. Il nostro non è un lavoro di condizionamento a sinistra o di creazione di nuove correnti o fazioni, bensì di rafforzamento dei legami tra quei comunisti che, indipendentemente dalla collocazione organizzativa, non credono ad un orizzonte che sia limitato al PRC ma puntano alla creazione di una forza comunista vera.

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