L'estrema sinistra imperialista

La democrazia parlamentare è il migliore involucro possibile per il capitalismo, sostiene Marx. Ma "stanchi, per così dire, dell'aver cercato alternative che secondo noi dovevano essere migliori della democrazia liberale" (F. Fukuyama, "La fine della storia e l'ultimo uomo"), gli estremisti di sinistra hanno fermato i loro carri dentro la cittadella della democrazia liberale riconoscendola come Terra Promessa. Hanno obliato che per Marx l'uguaglianza politica ha lo scopo di occultare l'inuguaglianza insita nei rapporti capitalistici di produzione e che la democrazia esiste solo per il management di impresa e i tradizionali patrons, che possono orientare e comprare a proprio piacimento opinione pubblica, mass media, candidati eletti e burocrazie statali, in una lotta per il potere che riguarda solo le varie frazioni dell'elite sociale.

Molta acqua è passata sotto i ponti da quando queste tesi marxiane erano pane quotidiano dell'estrema sinistra pensante, espresse in formule e slogan tipo "lo Stato dei padroni si abbatte e non si cambia". Vanificata la prospettiva rivoluzionaria, l'estrema sinistra si è quasi tutta riciclata nel sindacalismo "autorganizzato", nell'ecologismo, nel volontariato ONG, in Rifondazione Comunista, nei centri sociali. Sul piano politico, si è totalmente riappacificata con la democrazia liberale, sia inserendosi negli attuali meccanismi istituzionali e anzi difendendoli da richieste di mutamento, sia autoconfinandosi nelle nicchie e nelle risreve indiane astensioniste.

La ricerca di modi della politica alternativi alla democrazia borghese, a quella che per i marxisti costituisce l'inaccettabile dittatura della minoranza sfruttatrice sulla maggioranza sfruttata, non interessa più gli stanchi epigoni dell'estrema sinistra. Tutti si pronunciano, con motivazioni differenti ma figlie di un medesimo opportunismo, contro la formula della "dittatura del proletariato". I trotskisti di Rifondazione auspicano una società fondata sul "pluralismo politico" e la "democrazia" (senza attributi), gli autorganizzati esigono l'ultrademocrazia sindacale (e basta), i maoisti sognano una società di ribellione perpetua.

Naturalmente, chi più chi meno, tutti, in nome della democrazia, sono critici dei Paesi socialisti, dei Paesi cioè che hanno in comune la prevalenza dell'economia pubblica e una pratica di "dittatura del proletariato", sia pure variamente formalizzata e istituzionalizzata. Questi Paesi sono la Cina, il Vietnam, la Corea del Nord, Cuba, il Laos. L'Occidente li definisce dittature tout court; l'estrema sinistra di fatto è d'accordo e anzi molto spesso lo accusa di essere arrendevole verso di loro perchè, al di là delle differenze di sistema politico, i Paesi socialisti sarebbero anch'essi capitalistici.

Così si verifica quella convergenza, definita dai commentatori "strana", per cui, per esempio, l'estrema destra repubblicana e l'estrema sinistra convergono, negli USA, per chiedere a gran voce di trasformare il clintoniano engagement verso la Cina in containment o addirittura in roll back.

Intendiamoci, qui non si tratta di difendere ogni aspetto della vita e del sistema politico dei Paesi socialisti. Si tratta di riconoscere positivamente il loro tentativo di dar vita a un sistema politico funzionale al soddisfacimento dei bisogni sociali e culturali della maggioranza proletaria della popolazione. Anche noi abbiamo bisogno di un sistema politico alternativo alla democrazia liberale, cioè alla dittatura della borghesia. E gli strumenti di partecipazione politica che, soprattutto a Cuba e in Cina, si presentano come coinvolgenti larghe masse di lavoratori, riteniamo vadano proposti, se non come modelli, almeno come esperienze stimolanti sulla strada di una nuova democrazia.

L'Occidente si prepara a fare piazza pulita dei Paesi socialisti. Hanno incominciato dalla Jugoslavia e certo non sono soddisfatti di non essere riusciti, finora, a scalzare il potere di quello che definiscono il comunista Milosevic. Tutti i commentatori dicono, giustamente, che con la guerra del Kosovo la NATO ha fatto le prove di future maxi-campagne di raids sia contro una Russia tornata comunista, sia contro una Cina che si potrebbe cercare di amputare del Tibet, per punirla di aver realizzato in quella provincia un miracolo di sviluppo sociale e culturale esemplare.

L'estrema sinistra deve decidere da che parte stare, al di là delle parole: se con il capitalismo o con il socialismo. Alcuni gruppi, come "Socialismo Rivoluzionario", hanno già scelto di diventare truppe ausiliarie del nemico. I trotskisti di Maitan si sono spinti molto oltre propugnando "l'autodeterminazione" dei kosovari. Quelli di Ferrando sono per il rovesciamento del governo di Milosevic. Una parte rilevante di Rifondazione Comunista civetta con l'opposizione filoimperialista serba e vaneggia di "pulizia etnica" in Tibet. Il "Manifesto" da anni combatte un'infame battaglia contro i Paesi socialisti.

Ogni compagno/a, ogni realtà dell'estrema sinistra, non ha più molto tempo per decidere se stare con il socialismo o con la NATO. Tertium non datur.

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