A cinquantanni dalla morte di Giuseppe Stalin (5 marzo 1953), la canea dei mezzi di comunicazione della borghesia è esplosa con particolare virulenza. Ad essa si sono associati non solo i rinnegati del comunismo, ma anche, e con livore degno di miglior causa, la maggior parte dei "comunisti" ufficiali. Ha suscitato particolare ripulsa linserto di "Liberazione", dal titolo "Stalin mai più" - per vero non il primo di quel giornale sul tema -, caratterizzato (se si escludono un paio di contributi di segno diverso) da una serqua di luoghi comuni e di cascami ideologici rivelatori di completa subalternità allideologia borghese. E senza curarsi, o forse accorgersi, neppure di elementari contraddizioni: non può esaltarsi Stalingrado e la vittoria sovietica sul nazi-fascismo e al tempo stesso denigrarsi Stalin e la dirigenza sovietica, vuol dire che non si è letto niente di serio e, ancor più, non si è esercitato lindispensabile sforzo di riflessione prima di aprir bocca o prender penna. Questa stampa "comunista" è stata al meglio reticente sul cinquantenario quando non, appunto, vacuamente ingiuriosa: ad eccezione di un belleditoriale di Luigi Pintor, non sospettabile certo di "stalinismo", sul "Manifesto", che ha ripreso altro articolo di qualche anno fa di pari segno, da noi a suo tempo pubblicato, e in cui Pintor dimostra come la figura di Stalin sia centrale nella vicenda mondiale moderna e da solo svergogna chi si è permesso di insolentire.
Alla canizza hanno cercato di far fronte gruppi di comunisti non pentiti, che vanno complessivamente aumentando e comprendono anche molti giovani, ma che purtroppo operano in modo sparso e frantumato. Solo per restare in Italia, vanno segnalate diverse iniziative a partire dal marzo di questanno, e altre sono in preparazione. Ignorate dalla stampa comunista "ufficiale", se ne sono trovate notizie, certo sapientemente occultate, su qualche giornale borghese.
Tra le iniziative, si vuole qui ricordare rapidamente (si spera che gli atti vengano pubblicati) quella romana di domenica 23 marzo, tenuta presso la Casa dei popoli di viale Irpinia e significativamente intitolata "Dai successi della costruzione socialista ai disastri dellantistalinismo". Sono state presenti per tutta la giornata 50-60 persone, per lo più compagni di vari gruppi, venuti anche da fuori Roma. Purtroppo, la giornata romana era complicata da contemporanee manifestazioni (la maratona del Comune, iniziative contro la guerra allIraq); inoltre vi erano assenze non sempre giustificate. Difficile dunque fare un paragone con lanalogo incontro romano del 1993. Ma è importante aver tenuto alta la bandiera dellonore reso al grande dirigente Stalin, ognuno operando secondo le proprie forze e tenendo presente che "il meglio è nemico del bene", a fronte di esitazioni di taluni che si fondano sulla necessità di rispettare livelli di scientificità ovviamente auspicabili, purché lesigenza non si avveri paralizzante.
Lincontro è stato aperto dal compagno Michele Capuano, ospite delliniziativa attraverso Democrazia popolare, e presieduto dal compagno Mario Forti. Dopo lenergica e precisa introduzione di Forti, le relazioni "ufficiali". Aldo Bernardini, docente a Teramo, dopo una menzione dellattualità del tema anche in rapporto alla tragica e criminale guerra contro lIraq, come seguito alle aggressioni contro la Jugoslavia e lAfghanistan, ha parlato dei grandi successi delledificazione socialista effettiva e grandiosa diretta da Stalin; dellinevitabilità di tali sviluppi; della condizione di guerra perpetua contro il socialismo mossa, allinterno e sul piano internazionale, dallimperialismo, che ha reso imprescindibili, anche in vista della preventivata guerra mondiale, le misure severe e dolorose di difesa del socialismo e di repressione dei suoi nemici nel quadro della perdurante e anzi intensificantesi lotta di classe, senza le quali lUnione Sovietica sarebbe crollata ben presto, e che invece hanno mostrato la loro necessità storica - al di là di possibili eccessi, difficilmente evitabili nella situazione concreta - alla luce del trionfo contro il nazi-fascismo e della costituzione di una comunità di paesi socialisti. Si è poi soffermato sulla campagna ideologica della borghesia imperialistica, a cui si accodano i nostrani "comunisti" ufficiali; sul revisionismo che ha corroso dallinterno dopo la morte di Stalin il grande edificio, per poi portarlo al "crollo"; sullerrore di considerare la storia sovietica come un tutto unitario senza che si tenga conto della cesura del XX Congresso del PCUS (1956). I principii e la prassi marxisti-leninisti di Stalin avevano assicurato le grandi vittorie; il loro abbandono, nel quadro di uno "smottamento" delle classi (prevalere della piccola borghesia) e, con la presa del potere da parte dei revisionisti alla Krusciov, per una non corretta gestione delle contraddizioni nella società, denunciata e paventata a suo tempo da Stalin, hanno portato allesito catastrofico.
Da Andrea Catone, docente a Bari, si è ascoltata una approfondita analisi strutturale, indicante i successi e gli avanzamenti del socialismo nellepoca di Stalin e come questi siano stati compromessi a partire dal XX Congresso. Catone ha comunque segnalato che il revisionismo ha introdotto elementi di corrosione soprattutto nella fondamentale sfera politica e culturale (ma anche in quella economica, con aspetti di regressione mercantilistica e quindi "capitalistica"): rigettando comunque, anche per lepoca revisionistica, ogni generica definizione di piena restaurazione del capitalismo con varianti come quella del socialimperialismo. Fino almeno al 1985 (Gorbaciov), secondo Catone, le strutture fondamentali del socialismo sono rimaste in piedi, a parte lintroduzione degli indicati elementi di deviazione e involuzione. Illuminante la notazione dellimportanza della sfera politica in uno Stato socialista, data la centralità in esso della pianificazione e quindi della corretta e consapevole scelta di mezzi e obiettivi.
Antonio Calabria dellIstituto Marx-Engels di Napoli ha svolto con competenza e dovizia di dati il tema dellazione dellArmata Rossa nella seconda guerra mondiale e della preparazione di tale azione, anche con leliminazione di potenziali "quinte colonne" e la scelta di strategie innovatrici. Ha citato momenti ed episodi esaltanti delle forze sovietiche, sottolineando lelevatissimo grado conseguito dalla scienza sovietica sia nellindustria militare, sia in termini organizzativi (con il prodigioso trasferimento delle industrie al di là degli Urali e quindi il loro rientro allOvest) come pure nella scienza militare, non mancando poi di ricordare che tutto ciò segnalava la qualità eccezionale della dirigenza sovietica dellepoca e il livello di consenso e partecipazione popolare, senza di che la resistenza e la vittoria sarebbero state impossibili.
E stata poi data lettura di un testo inviato dallo studioso tedesco-orientale Kurt Gossweiler (Berlino Est), che ha scritto lavori fondamentali sul fascismo e sul revisionismo, e che dimostra come il revisionismo kruscioviano sia allorigine della decadenza e del "crollo" dellUnione Sovietica e degli altri paesi socialisti europei. I revisionisti, dopo la morte di Stalin, hanno operato una controrivoluzione "a rate", pretendendo di "migliorare" lapplicazione del leninismo (e in realtà alterandolo) e agitando la minaccia atomica per imporre una coesistenza pacifica "collaborativa" con limperialismo e opposta a quella propugnata da Lenin e da Stalin. Funzionale al successo delle posizioni revisionistiche e allaffermazione di un nuovo potere è stata la criminalizzazione di Stalin: senza destalinizzazione, nessuna controrivoluzione, conclude sul punto Gossweiler.
Lanimato dibattito ha visto interventi, a volte con repliche dei relatori, di molti compagni, tra i quali Antonio Fadda, Osvaldo Pesce, Domenico Savio, Stefano, Ennio e Michele Trocini, Michele Capuano.
A. B.