“Popoli oppressi unitevi” ?

Osservazioni di principio sul dibattito sull’imperialismo
a proposito di Domenico Losurdo (Marxistische Blätter 5/2004)

Prima osservazione

“Principali soggetti dell’imperialismo sono oggi gli USA”. Davvero? Può la sinistra condividere questa tesi? Si tratta della sedicesima “Tesi sul nazionalismo” della NPD (Partito Nazionale Tedesco, neonazista NdT). Chi si affrettasse a dire che spesso per ragioni demagogiche i neonazisti si appropriano del linguaggio della sinistra, dovrebbe riflettere: l’imitazione di forme e simboli di sinistra (di solito non senza trasformazioni) è stata sì ed è prassi del fascismo, non però l’assunzione di identici programmi. E poi la NPD ha una sua ben definita teoria dell’imperialismo. Tutto ciò non dovrebbe far scattare un allarme?

Seconda osservazione

Il concetto di imperialismo è più antico del suo impiego a sinistra. Lenin, Bucharin, la Luxemburg e altri hanno ripreso il termine e l’hanno riempito di propri contenuti marxisti. La loro teoria dell’imperialismo si contrapponeva consapevolmente e polemicamente alla teoria borghese.

La teoria borghese definisce imperialismo la politica aggressiva di uno stato basata sulla violenza militare. La teoria della NPD ne è una variante. Per i comunisti l’imperialismo è uno stadio dello sviluppo economico-politico del capitalismo, che lo costringe a superare e spezzare tutti i limiti esistenti. La politica è vista solo come riflesso di questo processo economico-politico. Lenin sosteneva che non si poteva comprendere l’imperialismo solo sulla base dei rapporti politici tra gli stati. Losurdo in tutto il suo articolo non si limita a utilizzare sempre il concetto borghese di imperialismo da cui trae le sue conseguenze, ma si contrappone apertamente a una concezione di tipo economico.

Terza osservazione

Nella concezione borghese, imperialismo e stato nazionale fanno un tutt’uno, come pappone e prostituta. Senza il secondo termine non può esserci neanche il primo. E’ così anche nel marxismo? Per Losurdo sì, altrimenti non potrebbe argomentare che, non essendoci uno stato europeo, non ci può essere un imperialismo europeo.

Chi considera le attuali multinazionali patriotticamente legate a uno stato nazionale, scambia una nave portacontainer per una galera. Al giorno d’oggi le multinazionali non hanno più interessi nazionali chiaramente definibili ma sono intrecciate a più di uno stato. E proprio questo intreccio mette in evidenza la contraddizione dell’imperialismo moderno, la globalizzazione: il capitale assume una forma transnazionale, ma il potere politico-militare continua a esistere solo in forma nazionale. L’universalismo del capitale è solo economico, non politico. Per questo c’è un mercato mondiale ma non c’è uno “stato mondiale” e neanche una tendenza in quella direzione. Se un tale “stato mondiale” esistesse non ci sarebbe imperialismo dato che questo si basa sulo scambio ineguale tra i diversi livelli delle forze produttive nazionali. In assenza di stati nazionali non ci sarebbe neanche scambio ineguale nè extraprofitto. Sul piano politico-militare il capitale transnazionale deve perciò assumere la forma del suo opposto, la forma dello stato nazionale. Quando si parla di “interesse nazionale” degli USA, si tratta in realtà della contraddizione insolubile di globalizzazione e nazionalismo. Gli USA assumono funzioni di stato mondiale senza poterlo essere e senza ottenere veri vantaggi nazionali per la loro popolazione. Questa è la differenza con gli anni ’50 e ’60.

Quarta osservazione

Una teoria dell’imperialismo che si basi sull’idea di un campo nazionale porta inevitabilmente a destra. Infatti l’idea che i popoli del terzo mondo siano per natura progressisti così come l’idea che ogni rivoluzione in quei paesi non possa che essere almeno tendenzialmente socialista, ha ben poco a che fare col marxismo. Le esperienze pratiche degli ultimi vent’anni dicono il contrario ma, nonostante ciò, queste idee sono assai diffuse oggi nella sinistra. Sono espressione di un pensiero metafisico, un pensiero che si muove per contrapposizioni, con concetti fissi e immutabili. L’imperialismo è l’imperialismo e sarà sempre lo stesso analizzato da Lenin; su tutto prevale la parola scritta del 1916. Tutti gli avversari degli Stati Uniti sono automaticamente i buoni che contribuiscono al progresso nel mondo. Anche persone della levatura di un Hans-Heinz Holz attribuiscono così ai Talebani e alla “resistenza irachena” il marchio nobile di cosiddetti antimperialisti.

Per i marxisti il mondo non può essere compreso per le sue contrapposizioni ma - dialetticamente - per le sue connessioni. Chi vede le connessioni politiche non può pensare che gli assassini bestiali di comunisti, gente di sinistra, sindacalisti, i nemici giurati di diritti delle donne, tolleranza o industrializzazione siano promettenti combattenti antimperialisti. I comunisti non hanno interessi comuni con i Talebani, gli Hezbolla o simili e non hanno niente da guadagnare al loro fianco. Chi analizza l’attuale “terzo mondo” nelle sue connessioni di classe si renderà conto che la tendenza all’imputridimento di classi e strati sociali è in aumento. Gli strati sociali in putrefazione sono però la base sociale della reazione e del fascismo. Chi non vuole vedere questi pericoli finisce per approdare alla tesi di Losurdo di “un asse americano-israeliano di aggressione imperialista”, che suona come il fratello colto dell’”imperialismo ebraico-americano “.

Quinta osservazione

La NPD e altri elementi della destra definiscono come imperialismo la dipendenza dallo straniero o la pressione demografica di un popolo su un altro. Questa visione nazional-popolare porta a lottare contro la cultura americana... insomma a una forma semplice ma efficace di antiamericanismo. Chi è di sinistra dovrebbe sentirsi profondamente a disagio su questo terreno. La letteratura e la musica degli Stati Uniti mi piacciono, i cittadini statunitensi che ho conosciuto erano per lo più gente simpatica e molto si può imparare dai movimenti o dai sindacati degli Stati Uniti. Anche il governo attuale non mi porta certo a condividere l’idea meschina che gli USA come paese o cultura siano gli agenti del male nel mondo. Con Marx la vedo piuttosto in questi termini: “Il paese industriale più sviluppato mostra al meno sviluppato nient’altro che l’immagine del suo stesso futuro”. In molta gente di sinistra si fa invece strada un’altra considerazione, che va di pari passo con l’idea che “il nemico del mio nemico è mio amico”.

Ne è un chiaro esempio il “Manifesto antiamericano - Popoli colpite l’America!” della primavera del 2003. Parla dell’imperialismoo Yankee e di popoli oppressi che “non vogliono farsi americanizzare”. “L’americanismo - vi si dice - non è solo il prodotto dei grandi interessi capitalistici degli USA” e si denuncia “una crociata gonfia d’odio contro il mondo islamico, una guerra di civiltà”. Il manifesto viene dal Campo Antimperialista, ramo italiano del Coordinamento Antimperialista (AIK). Tra i firmatari anche Domenico Losurdo. Il testo è stato ora tolto dal sito internet dell’AIK, ma lo si può leggere in internet sulle pagine di destra della “Eiserne Krone”. Lo si trova accanto a discorsi del Führer della rivoluzione islamica iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, dell’ideologo del fascismo Julius Evola o dell’estremista di destra viennese Martin A. Schwarz.

Scrivo queste righe per sottlineare che il dibattito sull’imperialismo ha assunto da molto tempo una dimensione pratico-politica. Una pratica politica come quella appunto dell’AIK di Vienna, nei cui campi estivi comunisti, esponenti di movimenti di liberazione e maoisti collaborano con fascisti serbi, islamisti e altri strani personaggi in seminari su temi come: “Il contributo dell’Islam nella lotta contro l’imperialismo e il sionismo. L’esperienza degli Hezbolla in Libano”.

Herbert Steeg


Americanismo, imperialismo, fascismo, leggi la risposta di Losurdo

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