Storia dei comunisti:
Una esperienza gloriosa da analizzare con criteri obiettivi

Cari compagni, ho letto il vostro invito a contribuire al dibattito politico in corso su "Aginform" e quindi vi mando qualche breve riflessione che, come al solito, mi è derivata e dalla lettura del vostro foglio di informazione e dall’esperienza quotidiana, sia sul lavoro che in ambiti politici.

Condivido con voi la convinzione che la discriminante che divide i comunisti dalle altre correnti politiche della sinistra sia il riconoscimento del carattere positivo del movimento comunista storico. Parimenti, condivido la valutazione secondo cui le esperienze comuniste più "all’altezza della situazione" concreta in cui operavano siano state l’URSS e il Komintern. Almeno per quanto riguarda l’Europa, è un dato di fatto che nessuno, a tutt’oggi, è riuscito a fare di più e meglio. Purtuttavia, ciò non ci esime dall’affrontare in modo critico alcuni elementi di questa storia gloriosa. E ciò anche per essere in grado di controbattere in modo argomentato le geremiadi a cui siamo pressoché sottoposti da parte di settori che si vogliono di sinistra e si definiscono pure comunisti. Proprio pochi giorni fa, durante una riunione delle donne del PRC a cui ho partecipato, sono stata investita da una replica in cui si tiravano in ballo i processi di Mosca. E questo solo per aver fatto notare che la crisi della militanza, di cui in riunione ci si lamentava, era dovuta non solo a problematiche femminili ma anche alla carente identità del partito sul piano della politica internazionale e sul piano ideologico. Il replay l’ho avuto in sede di lavoro dove, nell’ambito di un dibattito con gente tutta di sinistra, sono venuti fuori paragoni tra i gulag e i lager nazisti e qualcuno ha detto addirittura che i primi erano peggiori dei secondi!

Ora, io mi rendo ben conto di come, con la tabula rasa fatta in anni recenti (e in particolare nell’ultimo decennio) e con la destra che sparge veleni a man bassa, la confusione mentale dilaghi. Purtuttavia, se non vogliamo che la storia del movimento comunista venga tout court gettata alle ortiche, dobbiamo fare i conti con i nodi più problematici di questa vicenda. Io credo che Stalin non sia l’unico di questi nodi, anche se è certo quello per cui siamo più tartassati. Personalmente, ritengo più grave della "questione Stalin" la rottura del movimento comunista internazionale, che si è verificata più volte, che Stalin fosse vivo o fosse morto.

Su queste questioni, io credo, non possiamo glissare. Esse vanno affrontate con serietà ma, soprattutto, affermando e difendendo un’ottica che, ahimè, non è più di moda. L’ottica per cui tali problematiche vanno contestualizzate e studiate in base alle dinamiche reali, ai rapporti di forza internazionali, al quadro geopolitico, insomma al mondo realmente esistente. Questo esercizio è molto impopolare ed è diffuso, tutt’al più, solo tra gli storici di professione. All’infuori di questa cerchia, è raro che si rifletta su simili elementi; in genere i compagni hanno già maturato granitiche convinzioni, basate per lo più sulla "vulgata" che passa il convento.

La questione di Stalin è però una questione vera. Non nel senso che Stalin fosse buono o cattivo, facesse bene o facesse male. Nel senso che Stalin è il cammino attraverso il quale il socialismo reale è riuscito a "divenire". Allora, se non vogliamo buttare il socialismo reale (come invece fanno i nostri critici), dobbiamo chiederci perché esso sia "divenuto" in questo modo. E’ qui che si apre tutto il campo d’indagine di cui parlavo prima, il piano interno all’URSS e quello internazionale, il quadro geopolitico, ecc. E’ qui che si pone anche il quesito: c’erano altri modi, più "indolori", per "divenire"? Nessuno di noi ha la sfera di cristallo e la storia, come si sa, non si fa coi "se". Purtuttavia, le cose che scrive Piermarini non sono una bazzeccola. Non distinguere tra contraddizioni in seno al popolo e contraddizioni con il nemico, non è quanto di più opportuno per un segretario generale. Le conseguenze che ne possono derivare non sono né piacevoli né facili da gestire per gli eredi. Come (se non erro) diceva Mao, "le teste tagliate non ricrescono" e comunque non sedimentano fraternità e spirito di condivisione, virtù che peraltro mi paiono indispensabili se si voglia transire al socialismo.

Detto questo, credo che si debbano guardare anche le responsabilità altrui. Due episodi, piccoli se vogliamo ma emblematici, ben illustrano quanto voglio dire.

Nelle sue memorie (1), György Lukács, il celebre filosofo, scrive che quando cadde la repubblica dei consigli in Ungheria, nel 1919, la direzione del partito, in mano all’ala che faceva capo a Bela Kun (il cui punto di riferimento sovietico era Zinoviev) affidò a lui e a Korvin il compito di riorganizzare nella clandestinità il centro interno del partito. Lukács scrive che ebbe allora l’impressione che i due designati fossero stati considerati "adatti al martirio", perché erano entrambi notissimi e quindi i meno indicati per un ruolo del genere. Effettivamente, pochissimo tempo dopo Lukács riuscì a sfuggire per caso all’arresto e dovette lasciare il paese mentre Korvin fu catturato e ucciso. Il dubbio che sembra aleggiare sulle pagine di Lukács è che essi fossero stati scelti per un compito così scomodo perché in disaccordo con la linea che allora dirigeva il partito. Il lettore si domanda a questo punto come si potesse pensare che uno fosse in grado di svolgere serenamente un’attività così delicata con un simile peso nel cuore. Il fatto stesso che il diretto interessato potesse concepire cose del genere, era sinonimo che le contraddizioni in seno al partito non erano affrontate nel modo dovuto. Eppure Stalin era ancora di là da venire.

Anche Jules Humbert-Droz, comunista svizzero e funzionario del Komintern all’epoca di Stalin, ha scritto le sue memorie (2). In un punto di queste l’autore ricorda tranquillamente di avere incontrato Bucharin, con cui era in rapporto, prima della propria partenza per l’America Latina nel 1929. In questo incontro Bucharin lo informa di aver preso contatti col gruppo Zinoviev-Kamenev per coordinare la lotta contro Stalin. Humbert-Droz scrive testualmente: "Bucharin mi disse anche che avevano deciso di usare il terrorismo individuale per liberarsi di Stalin. Anche su questo punto feci delle precise riserve: l’introduzione del terrorismo individuale nelle lotte politiche nate dalla rivoluzione russa rischiava molto di volgersi contro coloro che l’avessero usato" (3). La cosa più interessante, in tutto ciò, è che di lì a qualche anno i nazisti sarebbero arrivati al potere in Germania, mentre in Italia il fascismo vi si era già saldamente installato da tempo. In una situazione così, i dirigenti del PC(b) dell’URSS erano talmente presi dai loro contrasti interni da pensare a come farsi fuori senza curarsi dei contraccolpi che una cosa del genere avrebbe prodotto nel paese (un paese accerchiato dall’imperialismo) e del fatto che un’eventuale crisi interna avrebbe indebolito l’Unione Sovietica e il movimento comunista internazionale.

Come si vede, anche in Stalin ma non nel solo Stalin vanno cercati i motivi della situazione che si è venuta a creare dentro il partito e dentro lo stato sovietico. Francamente, viene da interrogarsi sul senso di responsabilità e sulla maturità di questi dirigenti politici, che non sembravano neppure aver fatto una rivoluzione insieme e insieme valutare i rischi che questa correva.

Questo modo di fare, così squisitamente collaborativo, si riprodusse poi nei rapporti tra paesi socialisti. E qui le conseguenze furono - a mio avviso - ancora più drammatiche. Tito e Stalin riuscirono a rompere il Cominform mentre i partigiani greci combattevano contro la reazione interna appoggiata dagli angloamericani. E la reazione non conduceva certo questa battaglia con levità: i libri di storia mostrano le teste tagliate dei partigiani greci esibite come trofei in cima alle picche dei loro avversari. L’Unione Sovietica e la Repubblica Popolare Cinese riuscirono a litigare mentre si combatteva in Vietnam ed Ernesto Che Guevara cadeva in Bolivia. Per non parlare di quello che accadde nel sud-est asiatico alla fine degli anni ’70! Ricordo che all’epoca, in Italia, c’erano gruppi m-l che sostenevano essere l’URSS la contraddizione principale! Come stupirsi, poi, che vengano fuori tipi come quelli dell’UCK, beniamini degli yankees?

I risultati di tutto ciò sono sotto gli occhi di ognuno. Da dieci anni in qua è in corso un processo di criminalizzazione di tutta l’esperienza comunista che non si sa dove andrà a finire. Uno dei suoi corollari è stato lo sdoganamento del fascismo. Da quando il muro di Berlino e l’Unione Sovietica sono crollati, il fascismo ha cominciato ad essere "riabilitato". Adesso ci si strappa le vesti per Haider, ma quando faceva comodo mandare a picco la Jugoslavia, l’establishment militare USA foraggiava l’esercito croato proprio mentre gli ustascia venivano riesumati da Tudjman e portati nella stanza dei bottoni a Zagabria. Le spinte espansioniste turche sono state appoggiate nei Balcani (in Bosnia e in Kosovo), nel Caucaso e nell’Asia centrale. Tanto, si sa, i turchi sono alleati fidati, stanno nella NATO! Peccato che dentro l’establishment turco ci siano i "Lupi Grigi", fascisti doc e sponsor di forze musulmane reazionarie. Peccato che le galere turche siano piene di prigionieri politici.

Proprio di recente mi è occorso di ascoltare un dibattito sui "desaparecidos" argentini, in occasione dell’uscita di un film sull’argomento. Ebbene, a parte il relatore che ha parlato per primo, io non ho sentito chiamare apertamente il fascismo col suo nome e dire a chiare lettere che l’obiettivo perseguito dai militari argentini, cileni e di altri paesi latinoamericani era la liquidazione fisica dei militanti della sinistra. Alcuni interventi si sono invischiati in analogie tra l’Argentina e la Bosnia (non citando le bombe cadute sulla testa dei cittadini di Belgrado) senza spiegare alcunché, senza spiegare che mentre la posta in America Latina era fare fuori la sinistra e con essa la possibilità del cambiamento economico-sociale e dello "sganciamento" dagli USA, in Jugoslavia la posta era eliminare l’ultimo paese europeo in cui era rimasta in piedi una struttura statuale non perfettamente omologata al nuovo ordine mondiale basato sulla fine del progetto socialista, sugli americani, la NATO e, per l’appunto, lo sdoganamento del fascismo. Sappiamo tutti ormai che destra americana, "Gladio", "Lupi Grigi", ecc. sono parte di un’unica cordata. A queste forze fasciste e guerrafondaie l’Unione Sovietica, i paesi socialisti, il movimento comunista ed operaio avevano fatto da contraltare creando un argine difensivo e costituendo un elemento di appoggio per le lotte di liberazione dal colonialismo e dall’imperialismo. Chi ha lavorato per la loro crisi e dissoluzione appartiene alla stessa cordata che ha permesso il golpe in Cile e in Argentina e lo sterminio della sinistra latinoamericana. Perché queste cose non le diciamo chiare e forti ovunque?

NOTE

(1) György Lukács - Pensiero vissuto. Autobiografia in forma di dialogo - Editori Riuniti 1983
(2) Jules Humbert-Droz - L’Internazionale Comunista tra Lenin e Stalin. Memorie di un protagonista 1891-1941 - Feltrinelli 1974
(3) ibidem, pag. 264

Emanuela Caldera


Ritorna alla prima pagina