La Cina e la transizione al socialismo

Le questioni poste dal compagno Meloni (vedi il riquadro a sinstra: "I dubbi dei compagni") hanno tutte un fondamento di legittimità, ma a nostro parere hanno un limite e questo limite è costituito dal fatto che esse sono poste senza tener conto dei fatti che si sono succeduti a partire dagli ultimi decenni e che impongono un approccio nuovo. Di questo modo nuovo di porre le questioni diamo intanto due esempi significativi: la dichiarazione di Fidel Castro per il 50º della fondazione della Repubblica Popolare Cinese e l’intervista della segretaria del Partito del Lavoro del Belgio dopo la sua visita recente in Vietnam. I compagni ci scuseranno per l’accostamento tra Castro e Nadine Rosa-Rosso data la diversa statura dei personaggi in questione, ma l’intervista di quest’ultima è importante perchè espressa da un'organizzazione che in passato ha condotto una dura campagna a favore dei polpottisti e contro il Vietnam. Il fatto che ora ci sia un rovesciamento di giudizio è segno che i tempi stanno maturando per una rilettura degli avvenimenti e su questo vorremmo che si concentrasse la riflessione.

Ciò non riguarda ovviamente Krusciov e l’epilogo della destalinizzazzione a cui pure il compagno Meloni fa riferimento. Sul processo antistalinista nell’ex URSS non ci sono più dubbi nel definirlo una controrivoluzione che ha coinvolto anche tutti i paesi socialisti dell’est europeo. Ma si può dire la stessa cosa della Cina?

Oppure ci troviamo di fronte a fenomeni più complessi, che vanno interpretati in modo meno schematico di quanto consente un clichè ‘antirevisionista’?

A questo proposito siamo noi a porre alcuni interrogativi che oltre ad essere diretti al compagno Meloni sono anche la base di riflessione per quella che si usa definire transizione al socialismo. Nella sostanza questi interrogativi riguardano:

1. Il fatto che la crisi del socialismo reale non è derivata solo dalle correnti revisioniste presenti nel movimento comunista, ma da questioni oggettive legate ai nodi posti dallo sviluppo economico e sociale dei paesi dove i comunisti sono arrivati al potere e che nella misura in cui questi nodi non sono stati sciolti da una direzione politica capace si sono verificati i disastri dell’89.

2. La soggettività politica dei comunisti non può prescindere dai problemi che l’edificazione di una società socialista pone al livello dello sviluppo delle forze produttive e del contesto internazionale in cui questa edificazione avviene. Ciò non ci porta a scegliere il neotrotskysmo bertinottiano della rivoluzione ‘globale’, bensì a rafforzare la nostra convinzione che il processo reale che porta alla edificazione del socialismo modifica molti dei parametri di partenza da cui il contesto rivoluzionario è scaturito. Stalin, a questo riguardo, impostando il discorso sul socialismo in un solo paese dette una risposta storicamente adeguata alle necessità del momento, dimostrando concretamente come vanno adeguati certi paradigmi senza arretrare sul progetto di edificazione del socialismo. Solo successivamente, a partire dal xx congresso, sono state le correnti revisioniste a modificare la linea di sviluppo e a legarsi all’imperialismo fino all’esito fatale dell’89.

3. Come il trotskysmo è stato una extrapolazione dai problemi posti dalla rivoluzione d’ottobre e si è tramutato, nei fatti, in corrente anticomunista utilizzata anche dalla borghesia e dall’imperialismo, così oggi certe correnti di pensiero ’rivoluzionario’ che pretendono, senza verifiche, di insegnare agli altri come fare la rivoluzione si dimostrano incapaci di interpretare le contraddizioni vere e ricavarne contenuti teorici verificati scientificamente.

Nel cataclisma generale del crollo dell’URSS e del socialismo all’est abbiamo forse pensato di gettare il bambino coll’acqua sporca e non ci siamo accorti che questo bambino rappresentava ‘solamente’ il 20% dell’umanità e ha una potenzialità economica e una qualità tecnologica che hanno spinto Cesare Romiti, dopo il suo recente viaggio in Cina, a dire che questo paese sarà gli USA del futuro, cioè sarà la prima potenza economica mondiale. A nostro modesto avviso questo fatto rimette in discussione tutte le prospettive mondiali.

Nella situazione concreta della Cina siamo certamente convinti che l’esito finale non è affatto scontato, ma ormai questa dimensione va assunta rispetto a tutte le situazioni e a tutte le rivoluzioni. Quello che conta oggi dell’esperienza cinese è il fatto che, sotto la direzione del partito comunista, questo paese è diventato, come fu a suo tempo l’URSS, una grande potenza mondiale che fa paura all’imperialismo, sviluppa la propria economia a ritmi molto elevati e porta un popolo tra i più arretrati del mondo nella storia moderna. Questo non è certamente poco, anche se fa arricciare il naso a certi intellettuali del Manifesto che, al pari di Liberazione, definiscono la Cina come regno del male. Sicuramente l’approccio del compagno Meloni è molto diverso da queste posizioni. Egli in realtà pone un problema di prospettiva, ma per passare dal regno della necessità al regno della libertà, ovvero al comunismo, non bastano le formulette ma bisogna attraversare un purgatorio che è chiamato transizione, che è strettamente collegato ai rapporti di forza e alle condizioni oggettive. Il momento rivoluzionario e i programmi sono solo l’inizio.

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