L'impegno primario della battaglia antimperialista

Intervento pronunciato dal compagno Fabio Uncini al convegno di Firenze del 3 marzo scorso

Vorrei anzitutto anteporre alle mie considerazioni una premessa. Ipotizzare un lavoro di cooperazione tra formazioni politiche in vista della possibile ricostruzione di un’organizzazione di orientamento conseguentemente comunista implica il superamento, in primo luogo, degli elementi di astrattezza che contraddistinguono lo stile di intervento dei raggruppamenti che si dichiarano appartenenti all’area marxista-leninista. Sarebbe a mio giudizio un passo avanti considerevole sulla strada della costruzione di un’organizzazione capace di rispondere alle sfide del nostro presente se l’accento venisse posto, finalmente, sulla individuazione di terreni concreti di pratica politica piuttosto che sulla pedissequa ripetizione dei Principi del Leninismo di Stalin.

La battaglia antimperialista appare, oggi, evidentemente, di rilievo primario. Pure, si tratta di evitare di annegare nella notte nella quale tutti i gatti sono bigi. A mio avviso, chiunque voglia in questa fase storica conseguire l’obiettivo di modificare, seppur di poco, la realtà data, e non soltanto testimoniare davanti a pochi fratelli la propria fedeltà ai principi del marxismo-leninismo, dovrebbe anzitutto promuovere un’analisi attenta e spregiudicata della situazione, farsi guidare da una precisa considerazione dell’opportunità della propria iniziativa e non soltanto dalla valutazione astratta della giustezza delle scelte.

Personalmente non credo che le lotte si facciano perché, semplicemente, sono "giuste". Le lotte si fanno per vincere, sapendo che ogni battaglia persa è un arretramento, che dopo di essa saremo comunque più deboli e scoraggiati. In tal senso, per vincere è necessario saper cogliere con esattezza la contraddizione principale e separarla da quelle secondarie.

Oggi, anche all’interno di formazioni economiche non capitalistiche sono individuabili delle contraddizioni, ma non sono esse le contraddizioni principali. La contraddizione principale è l’esistenza di un potere unico e globale che, per questo solo fatto, ricatta l’intero pianeta. Con la caduta dell’Urss è un fatto che gli equilibri mondiali si siano frantumati, non solo nel senso che è venuto a mancare ogni contrappeso al pieno e totale dispiegarsi dell’arroganza imperialista, ma anche nel senso che, nella realtà, è sorto un impero, con un centro ed una varietà di province che, più o meno di buon grado, ne subiscono il volere. La volontà imperiale che promana dagli Usa non solamente entra in contraddizione con i bisogni di riscatto delle classi subalterne, ma addirittura con le stesse forze nazionali borghesi di molti paesi.

Temo che la consapevolezza di questa realtà sia presente in modo parziale tra le forze di orientamento comunista, ma che i fatti si muovano in tale direzione è testimoniato, tra le altre cose, dall’esistenza di Echelon, come dai recenti infortuni dell’onorevole Dini, per fare i primi due esempi che vengono alla mente. Non tutte le forze della borghesia esprimono, in modo concorde, i medesimi interessi e le medesime finalità. Uno dei compiti dei comunisti dovrebbe essere, almeno, tentare di cogliere ed accentuare, se possibile, tali differenze, approfondire le contraddizioni nel campo avversario.

V’è dell’altro. Gli Usa sono indubbiamente al presente l’unica potenza davvero globale, e questo solo fatto li rende, oggettivamente, il nemico principale. Vi sono tuttavia delle realtà statuali che con la sola loro estensione potrebbero svolgere un ruolo di contrappeso rispetto alla potenza statunitense. Al di là del giudizio che potremmo dare di esse queste realtà andrebbero sostenute e difese; sarebbe a mio avviso un obiettivo di rilievo riuscire ad allacciare con esse rapporti di amicizia e d’intesa. Dovremmo avere una maggiore consapevolezza del fatto che un riequilibrio della situazione internazionale porterebbe con sé un oggettivo riequilibrio dei rapporti di classe nel mondo. Non saremmo soli, penso, in tale progetto. Vi sono gruppi di diverso orientamento e singoli che oggi, in condizioni difficili, stanno combattendo su posizioni che sono di fatto comuniste. Queste forze andrebbero, nei limiti delle nostre possibilità, avvicinate e sostenute, affinché avvertano l’esistenza di un terreno di iniziativa più largo, primo passo, chi sa, di più organiche convergenze. Non casualmente esse, per tutti penso a Fulvio Grimaldi, sono oggetto di attacchi pesanti e grotteschi. Vorrei notare che in essi si distinguono proprio i gruppi trotzkisti. Sono abbastanza convinto del fatto che, in questa fase, gli orientamenti trotzkisti andrebbero controbattuti con una battaglia ideale e culturale di grande nettezza. Ritengo tuttavia che sarebbe un errore qualora si andasse a polemizzare con essi sulla base delle etichette, o di polemiche che dovrebbero essere lasciate all’attenzione degli storici. Le posizioni dei raggruppamenti trotzkisti dovrebbero essere considerate sulla base dei contenuti che oggi esse esprimono, e che mostrano una singolare contiguità con la pratica dell’intervento imperialista. Non voglio entrare oltre nel merito di questa analisi, che per molti aspetti richiederebbe spazio maggiore ed una riflessione più attenta. Mi si consenta di chiudere considerando solo quanto lo stesso loro successo recente, la diffusione e la crescita di peso specifico di orientamenti che solo fino a ieri rappresentavano una minoranza trascurabile nell’insieme del movimento d’ispirazione marxista metta in luce da un lato il peso degli sconvolgimenti intervenuti nel quadro internazionale, dall’altro una varietà di mutamenti strutturali che hanno ridefinito in profondità la natura e la consapevolezza di sè delle classi subalterne. Sarebbe testimonianza di sensibilità intellettuale se coloro che si dichiarano comunisti iniziassero con serietà ed umiltà a studiare e comprendere almeno l’oggetto della propria prassi. Certamente, bisognerebbe avere finalmente il coraggio di rompere con la pessima consuetudine di parlare di cose, penso tra l’altro alla nozione di "classe operaia", di cui non si ha, in concreto, un concetto chiaro e distinto.

Fabio Uncini


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