WTO: Contraddizioni interimperialistiche e lotte di massa

Gli avvenimenti di Seattle in occasione della riunione dell’Organizzazione mondiale per il commercio (WTO), svoltasi tra la fine di Novembre ed i primi di Dicembre del 1999, devono prestare la massima attenzione tra i compagni e sollecitare una approfondita discussione.

Essi sono interessanti per diversi motivi:

1) per le contraddizioni tra la "globalizzazione dell’economia" spinta dalla ricerca del massimo profitto, e la salvaguardia delle condizioni naturali d’esistenza, le quali hanno permesso lo sviluppo e la diversità delle specie attraverso la selezione naturale;

2) per le contraddizioni interimperialistiche che si sono manifestate tra gli Stati Uniti da una parte e l’Unione Europea dall’altra;

3) per le contraddizioni tra le potenze imperialistiche ed i paesi del Terzo Mondo;

4) per le contraddizioni tra la classe operaia delle aree più ricche e le masse di diseredati dei paesi emergenti.

Vediamo nella dinamica della situazione corne si aggrovigliano e si sviluppano le contraddizioni enunciate.

Da quando esiste il capitalismo, passo dopo passo, si è formato un unico mercato mondiale, ovviamente con le strozzature determinate dai conflitti bellici regionali o mondiali. Da questo punto di vista, quando si parla di "globalizzazione" si è portati a dire: nihil novi sub sole. Ma la novità esiste e deve ricercarsi nel fatto che:

a) le misure protettive che in passato difendevano i monopoli dei singoli paesi capitalisti in concorrenza tra di loro (dazi, dumping, cartelli, ecc.) sono superate dai nuovi accordi commerciali tra gli Stati, dalla formazione di imprese multinazionali con predominanza di capitali monopolistici di provenienza dai paesi che esercitano la leadership economica e politica all’interno delle nascenti aggregazioni statuali (come l’U.E.) o da particolari aree geo-economico-politiche e soprattutto dalla presenza del capitale finanziario (composto da denaro in valuta forte, da azioni, obbligazioni, titoli del debito pubblico, ecc.) che corre velocemente nel rnondo senza ostacoli;

b) la concorrenza tra monopoli o tra imprese transnazionali non è terminata, anzi si è accentuata; solo che le forme di questa concorrenza sono mascherate rispetto a quelle evidenti del passato (al dumping, ad esempio, si sostituisce l’incentivo all’esportazione che lo Stato a volte concede ai monopoli di casa propria), la pubblicità gioca un grande ruolo concorrenziale, non solo nella reclame tout-court del prodotto, bensì, soprattutto, nei programmi televisivi cosiddetti scientifici, tramite gli esperti (medici, biologi, fisici, chimici, economisti, ecc, ecc.), che consigliano con «discrezione» l’uso di una fattispecie di prodotti o che in ultima analisi, come risultato dei loro consigli, fanno capire al consumatore quale deve essere il suo comportamento fisico e biologico;

c) in ogni paese capitalistico si è scatenata la corsa all’omologazione dei rapporti sociali più favorevoli alla classe capitalistica (cioè a dire, si copia sempre la norma economico-sociale, storicamente consolidata nel singolo paese, più favorevole al capitale!), cancellando ad esempio tutte le conquiste salariali, normative e di assistenza sociale che la classe operaia nel corso della sua ultracentenaria lotta contro il capitale ha ottenuto;

d) la manipolazione genetica riduce i costi di produzione dei prodotti ed esaspera la concorrenza tra gli USA, il Giappone, i quali sono avanti in questo settore, da una parte, e l’Unione Europea, che è indietro, dall’altra. La lotta riguarda non solo il controllo dei mercati interni di questi paesi, ma i paesi del Terzo Mondo, verso i quali la politica di rapina dell’agricoltura e la desertificazione, che avanza, hanno portato all’impoverimento dei suoli, alla diffusa carestia ed alla fame di centinaia di milioni di esseri umani. La diffusione nel mercato di cibi transgenici, senza una prolungata sperimentazione scientifica in laboratorio, (sperimentare significa studiare gli effetti collaterali che maturano in tempi lunghi!), produce effetti devastanti nell’ambiente e nello sviluppo delle specie perchè viola la legge della selezione naturale, fondata sulla capacità di adattamento di una specie in un determinato ambiente;

e) le guerre regionali sono scatenate non solo per vendere armi, per evitare crisi di sovrapproduzioni, per spartire grandi territori produttori di materie prime strategiche, come il petrolio, il gas ed altri minerali, e la cui popolazione è acquirente di prodotti industriali e beni di consumo provenienti dai paesi imperialistici; ma soprattutto per la scomposizione di entità statuali che intralciano di fatto la "globalizzazione", anche se consolidate dalla storia per la comunanza di interessi nazionali, linguistici, culturali, sociali e psichici. Di rimando si promuove la formazione di nuove entità statuali, sulla base di semplici rivendicazioni di autodeterminazione manifestate dalle bande armate con l’appoggio imperialistico, od anche col consenso di una parte della popolazione accuratamente manovrata con una campagna ideologica e politica, a dispetto della storia millenaria, dato che i nuovi Stati diventano vassalli delle grandi potenze;

f) la creazione di un unico mercato mondiale della forza-lavoro, con la presenza di flussi controllati di immigrati nei paesi ricchi, nella sostanza porta, da un lato, all’abbassamento del valore della forza-lavoro anche nei paesi industrializzati, mentre nei paesi poveri, dall’altro, alleggerisce un po’ le tensioni interne che si determinano dall’impoverimento generale delle condizioni economiche in seguito allo sfruttamento imperialistico (rapina delle materie prime, distruzione dell’agricoltura, disoccupazione, debito crescente, svalutazione della moneta locale rispetto alle valute forti internazionali come dollaro, yen, sterlina, euro, ecc,). I flussi, però, devono essere controllati e non liberi, perchè, diversamente potrebbero determinare nelle aree sviluppate l’esplosione di fenomeni sociali di ogni tipo, difficilmente governabili dal capitale finanziario.

Le manifestazioni di decine di migliaia di uomini e donne che si sono susseguite per diversi giorni a Seattle, mentre all’interno della Conferenza del WTO non si trovava l’accordo nemmeno sull’o.d.g. dei lavori, hanno evidenziato in embrione la natura e la forma dello scontro sociale nel XXI secolo, seppur con richieste spesso conflittuali tra loro, che riflettevano una mancata concezione unitaria ideologica e politica.

Come comunisti dobbiamo valorizzare i nuovi fronti, mettendo in rilievo i seguenti elementi:

1) la lotta di massa per la difesa dell’ambiente non si può scindere dalla lotta di classe contro il capitalismo e l’imperialisrno e la sua parossistica produzione di valori di scambio, nell’intento di massimizzare i profitti:

2) la lotta di classe e per la salvaguardia delle condizioni naturali di esistenza, se non è orientata e guidata da partiti che abbiano una nuova concezione del mondo basata sul materialismo storico e dialettico, sui principi della termodinamica e sulla biologia evoluzionistica, porta le masse verso obiettivi secondari, staccati dall’interesse generale, o verso i vicoli ciechi della contrapposizione tra le classi oppresse.

Si faccia attenzione al fatto che nelle strade di Seattle scendeva in massa, dopo tanti anni, una parte della classe operaia americana per difendere il valore della forza-lavoro che eroga, in date condizioni storiche e geografiche, caratterizzate nel linguaggio marxiano da ciò che si definisce composizione organica del capitale, ossia il rapporto tra capitale costante e capitale variabile, tra lavoro morto e lavoro vivo. Le sue parole d’ordine eraano in contrapposizione con la legislazione sociale vigente nei paesi emergenti, che in rapporto alla loro composizione organica del capitale, pratica alla rispettiva classe operaia una remunerazione salariale e normativa molto più bassa. Le richieste della classe operaia americana erano strumentalmente ed apertamente difese dalla destra americana e lo stesso Clinton ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco.

Pertanto, il rischio è che, in mancanza di una coscienza di classe rivoluzionaria e di una visione internazionalista dei problerni, pur partendo dalle specificità nazionali di ogni paese, si creeranno nel futuro assurde e sbagliate contrapposizioni tra classe operaia dei paesi industrializzati ed emarginati del Terzo mondo (in patria od all’estero in cerca di lavoro) che porteranno vantaggi all’imperialismo e distruzione di forze produttive, con innesco di meccanismi barbarici che determineranno il declino della civilizzazione umana.

Per inciso, quanto sta avvenendo in questi giorni nella «civilissima» Austria è anche il segno dell’anzidetta contraddizione, che si riflette un po’ ovunque, anche nel nostro paese. Essa rappresenta, per dirla con Marx, un’antinomia, tra due diritti eguali: quello della classe operaia di difendere il valore della sua forza-lavoro e quello degli immigrati di ottenere un lavoro ed il riconoscimento di diritti sociali che gli sono stati espropriati dall’imperialismo nei loro paesi. Senza una coscienza di classe internazionalista, ma che rispetti però le tradizioni culturali ed il retaggio storico dei singoli popoli che si esprimono nella diversità, non si trova il bandolo della matassa. Anzi, pensiamo di stare a posto con la coscienza, in realtà rischiamo di fare demagogia e dividiamo ulteriormente le masse, mentre altri, quelli che comarndano, da ogni versante ricevono vantaggio; dal versante del popolo di sinistra che protesta contro la destra austriaca, facendo passare il modello U.E. come la forma più alta di democrazia mondiale e di rispetto dei diritti umani, mentre interferisce (o aggredisce) altresì nelle situazioni esterne per avvantaggiare i propri monopoli; dal versante dei settori della destra quando bisogna cancellare tutte le conquiste delle masse popolari.

3) la "globalizzazione’’ non porterà ad un superimperialismo al di sopra degli Stati, che attenuerà i contrasti che hanno determinato le due guerre mondiali e le tante guerre regionali, ma al contrario accentuerà i conflitti interimperialistici;

4) con la "globalizzazione" gli USA pensano di esercitare il dominio del mondo, dopo il crollo dell’URSS; ed in tal senso essi si stanno adoperando, sia tentando di impedire la crescita di una forte Unione Europea (anzi spingono per un allargamento dell’Unione Europea agli stati e staterelli dell’est, parte dei quali sotto il loro controllo economico, politico e militare!), sia portando avanti il disegno di disgregare ulteriormente la Russia (o quanto meno di impedire il suo risollevamento dopo la nefasta politica gorbaceviana ed eltsiniana), sia creando le condizioni, dall’interno e dall’esterno, per impedire alla Cina di diventare una forte potenza che esprima il suo punto di vista sugli affari internazionali (non dimentichiamo l’avvertimento manifestato con la distruzione dell’ambasciata cinese a Belgrado!).

Ma le aspirazioni americane si devono misurare nella realtà e dominarla. Tuttavia, di rimando, non si può ancora attestare che il mondo multipolare, secondo altre aspirazioni (della Cina, della Russia, dell’India, del Giappone, di Israele, che si vuole affrancare dalla tutela americana e giocare in proprio, dell’Unione Europea) sia una realtà. Per esser tale dovrebbe sconfiggere il disegno americano, almeno in alcune parti dello scacchiere mondiale. Ma uno scontro netto non vi è ancora stato; i punti caldi sono stati momentaneamente raflreddati da precari compromessi tra l’unica superpotenza, quella americana, e le aItre potenze interessate, che tra loro sono spesso divise, favorendo la superpotenza americana, ad eccezione di Russia e Cina, le quali a trent’anni dal culmine della tensione ideologica e statuale hanno ritrovato da qualche anno la via comune del dialogo e della collaborazione politica, economica e militare;

5) L’imminente entrata della Cina nel WTO dovrebbe controbilanciare la predominanza americana e dell’Unione Europea nel commercio internazionale e quindi spalleggiare le posizioni dei paesi deboli. Se ciò si verifica è un fatto positivo, ma rimane un fatto parziale, che non può ovviamente da solo segnare un’inversione di tendenza rispetto ai processi economici di selvaggia devastazione ambientale e di mercificazione di ogni aspetto della vita sociale.

Per concludere, gli avvenimenti di Seattle, nel particolare racchiudono la contraddizione universale della nostra epoca: socialismo o barbarie!

E’, quindi, il modo di produzione che bisogna trasformare, seppur attraverso una fase di transizione, più o meno lunga, a seconda del livello di sviluppo delle forze produttive nei diversi paesi.

Il socialismo, inteso come formazione sociale appare una necessità storica impellente nel XXI secolo, l’unica formazione sociale storicamente determinata che può correttamente coniugare economia, energia e ambiente, sviluppando la crescita delle forze produttive senza travolgere la vita degli ecosistemi terrestri e marini, per come invece tragicamente si deve annotare giorno dopo giorno. Oltre alle devastazioni umane ed ambientali provocate dalle guerre (come l’aggressione della NATO alla Jugosiavia ed otto anni prima l’attacco all’Iraq), non bisogna dimenticare tanti disastri a diversi ecosistemi. I più recenti sono quelli procurati dall’affondamento nell’Atlantico della nave petrolifera Erika, vicino alla costa francese, e dall’infiltrazione di cianuro, usato da una multinazionale australiana in una miniera d’oro della Romania, nelle acque del Danubio. Ed i processi naturali sono irreversibili, cioè a dire che nulla ritorna come prima.

Il tempo stringe.

Catania 23 - febbraio - 2000
Giuseppe Amat


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