Shanghai: una nuova Yalta?

Stavolta la letteratura di sinistra non ha molto insistito sul significato dell’incontro di Shanghai tra Putin, Bush e Jiang Zemin. Forse si dava per scontato che si trattasse di un incontro tra grandi che decidevano a tavolino come affrontare, nel reciproco vantaggio, il nodo afgano. Eppure quell’incontro è pieno di significati che avranno un peso decisivo sull’esito della offensiva imperialista guidata dagli USA.

Vediamo le ragioni di portata storica di questo incontro. In primo luogo si tratta di capire perchè gli USA hanno sentito il bisogno di incontrare russi e cinesi prima dell’attacco all’Afganistan. Apparentemente questa scelta contrasta con la strategia americana di contenimento adottata verso questi paesi ritenuti nemici potenziali.

Perchè questo cambiamento? Una prima spiegazione è che il governo americano ha avuto necessità di improvvisare una linea d’attacco sotto il fuoco degli avvenimenti di New York e di Washington e quindi non poteva rischiare un confronto di portata globale. In altri termini, la conflittualità apertasi con la lobby del petrolio e con settori collegati israeliani, le forze che stanno dietro all’attacco al Pentagono e alle torri, ha imposto una strategia di medio periodo che non poteva rischiare conflittualità oltre l’area islamica. Non era possibile ipotizzare, in altri termini, un confronto centroasiatico e mediorientale con la possibilità che all’interno di questo si inserissero cinesi e russi.

Regolare i conti con gli integralisti islamici che non sono certamente solo portatori di versetti coranici, ma rappresentano un risveglio nazionalista basato sui petrodollari e che utilizza la religione come ideologia, è questione urgente sia per gli americani che per gli israeliani. Quindi, sulla base di questi interessi prioritari, si sono sacrificati obiettivi di più lungo periodo e si è dato vita all’alleanza cosiddetta antiterroristica con russi e cinesi. I quali hanno colto l’occasione per realizzare obiettivi palesi e occulti. Quelli palesi consistono in un regolamento di conti che russi e cinesi hanno interesse a fare nei confronti degli integralisti e non solo per la Cecenia, ma anche e sopratutto con gli Afgani che costituiscono un avamposto di turbolenze verso le repubbliche asiatiche ex URSS e la Cina.

Le operazioni militari che hanno portato l’alleanza del nord ad essere protagonista principale delle vicende afgane danno il senso di ciò che è veramente accaduto tra Putin e Bush a Shanghai laddove si deduce che il via libera contro Bin Laden è costato un prezzo che in prospettiva si potrà dimostrare fatale per gli obiettivi strategici americani e questo è uno degli elementi occulti che stanno alla base di certe disponibilità russe al fronte cosiddetto antiterroristico.

Le due questioni più grosse che scaturiscono dagli incontri di Shangai non sono però tanto e solo la partita che si gioca sul territorio afghano, quanto sulle questioni relative ai rapporti di forza mondiali sul lungo periodo e quello che scaturirà dalla guerra ‘infinita’ che gli americani hanno scatenato.

Non vi è dubbio che da parte americana il compromesso coi russi e coi cinesi è solo di fase per riaffermare con le armi un dominio diretto e brutale su quelle che gli USA considerano colonie vere e proprie gestite col concorso di Europa e Giappone. In tutto questo c’è un rischio e una speranza. Il rischio è che una volta ricompattata l’area ‘coloniale’ americana questa si trasformerebbe in una potente portaerei statunitense e NATO per nuove e più grandi avventure militari. Gli Stati Uniti a Shanghai hanno probabilmente pensato a questo. E’ possibile che cinesi e russi, di fronte a queste ipotesi, abbiano ritenuto opportuno prendere tempo per consolidare le posizioni e soprattutto nella speranza che la guerra ‘infinita’ si impantani e indebolisca gli americani.

Dunque più che una Yalta, l’incontro di Shangai somiglia ad una sorta di patto Molotov-Ribbentrop che serve ad allontanare catastrofi immediate e a logorare il potenziale nemico.

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