E' chiaro ormai che per bloccare il governo Renzi, uno dei tentativi
autoritari più pericolosi degli ultimi decenni che supera anche
l'esperienza berlusconiana, c'è bisogno di una reazione del tipo di
quella che nel luglio del 1960 ci fu contro il governo Tambroni
appoggiato dai fascisti del MSI.
Non bisogna, dicendo questo, fare analogie impossibili sul piano storico e
politico. Viceversa c'è da considerare i fatti per quello che sono. E i
fatti ci dicono che quello di Renzi non è un governo di normale
amministrazione, ma un tentativo non di forze occulte, ma di quelle palesi
con in testa la Confindustria, di imporre una sfrenata logica padronale per
sostenere il sistema. Fare del profitto la base sui cui è fondata la
Repubblica italiana. Le revisioni costituzionali in atto non sono che la
cornice istituzionale e giuridica di questa linea. Le due cose, difatti, di
maggior peso che ha prodotto Renzi, per quanto riguarda i lavoratori, sono
l'abolizione dell'art.18 sui licenziamenti senza giusta causa e la legge
Poletti sul precariato triennale. A ben vedere questi due provvedimenti
sono il nocciolo della scelta strategica renziana. Dare al padronato la
possibilità di avere lavoratori privi di tutele e ridurli alla mercè dello
sfruttamento più bieco vuol dire rovesciare completamente decenni di
difesa operaia. Come Tambroni, che si apprestava a governare senza tener
conto che in Italia c'era stato un 25 aprile, così Renzi ritiene oggi di
poter governare senza che i lavoratori possano difendersi. Quando il
lavoratore può essere ricattato col licenziamento senza causa o
sostituito in modo permanente con i contratti di precariato non c'è
diritto di sciopero o di rappresentanza che tenga: a vincere a tavolino
saranno i padroni. Questo Renzi lo sa bene e lo sanno bene i suoi
ispiratori confindustriali.
Dobbiamo domandarci però: c'è coscienza della
posta in gioco da parte nostra? Bisogna riconoscere che il livello della
mobilitazione sta crescendo, aldilà delle ingenuità e delle pacchianerie
dei cattivi maestri, anche se esso non è ancora arrivato al punto
decisivo. Perchè si arrivi a questo punto c'è però bisogno di due
cose: continuità e massificazione delle lotte e coscienza politica della
posta in gioco. Rovesciare con un movimento di piazza Renzi non è
questione di rivendicazioni. Con Renzi deve essere rovesciata la politica
liberista dei governi del rigore e della Troika e aperta una strada di
trasformazione sociale e di difesa dei lavoratori, dei precari, dei
disoccupati.
Ma qual'è invece la prospettiva politica di un'eventuale
caduta di Renzi? Qui la risposta è più difficile da darsi, anche se fatti
nuovi si sono registrati. Oltre alle lotte in corso, c'è il landinismo che
prorompe e il fatto che la CGIL di Susanna Camusso ha deciso di non
suicidarsi assieme al suo sindacato e di accettare la sfida di Renzi. Questo
ha permesso anche ad una esangue opposizione interna al PD di riprendersi
una scena quanto mai fragile e ambigua. La questione dunque non si
prospetta rosea per una opposizione che sappia raccogliere una eventuale
sconfitta di Renzi, anche se questa sconfitta sarà dovuta a un movimento
di massa popolare. Nè si può affidare la prospettiva politica alle bandierine 'comuniste' agitate da Marco Rizzo. E allora? Anche se i tempi
stringono noi ci poniamo i problemi che la situazione può risolvere.
Rovesciare il governo Renzi e intensificare la discussione sulle
prospettive e a questo ultimo proposito rimandiamo alla lettura
dell'analisi di fase già comparsa su Aginform.