Non ci siamo mai occupati del partito di Marco Rizzo che si definisce comunista. La ragione è duplice. Da una parte non siamo abituati agli scontri polemici, o meglio alle risse, che contraddistinguono gruppi e gruppazzi della sinistra o di quelli che si definiscono comunisti, in quanto riteniamo che si tratti di una palude ora ridotta a pozzanghera. Dall'altra, riferendoci a Marco Rizzo e al suo partito,riteniamo che la storia che ha contraddistinto in questi decenni il personaggio presenta caratteristiche molto diverse da quelle che recentemente si è attribuito di bolscevico dell'ultima ora e cofondatore di una nuova internazionale comunista.
Se non andiamo errati, Marco Rizzo era capogruppo parlamentare di quel PdCI fondato da Armando Cossutta che stava nel governo D'Alema, nato col concorso di Cossiga per fare la guerra alla Jugoslavia. Non solo, ma all'epoca, per giustificare la vocazione governista Rizzo teorizzava che la realpolitik era la strada maestra del comunismo rinnovato e questa ne giustificava le scelte.
Come si collega quella scelta degli anni passati col 'leninismo' di oggi? Non appare questa cosa un po' contraddittoria? Certamente col tempo si può anche cambiare opinione, come nel caso contrario del presidente emerito Giorgio Napolitano, ma conoscendo Rizzo come cofondatore anche di Interstampa, la rivista dissidente del PCI, non possiamo pensare che l'esperienza nel governo D'Alema-Cossiga sia dovuta a mancanza di elementi di valutazione sui caratteri della guerra imperialista.
Quindi ci domandiamo: quali sono le vere ragioni di questa conversione sulla via di Damasco?
Atteniamoci a quelle più politiche. Il nuovo partito comunista di Rizzo deve aver pensato che con un po' di mestiere e con l'ormai raggiunta esclusiva sul marchio si potesse arrivare ad una rinascita elettorale e ricominciare, utilizzando parassitariamente la falce e il martello, il giochetto dei quattro cantoni, uno dei quali doveva, nelle aspettative, essere la presenza nelle istituzioni.
I risultati elettorali delle comunali di Torino, Roma e Napoli (dallo 0,8 allo 0,6 allo 0,3 rispettivamente), hanno messo in evidenza che la vocazione elettoralistica non paga, neppure per quelli che si definiscono comunisti. Forse Rizzo non lo aveva capito per tempo.
Noi vogliamo però, utilizzando l'occasione di questo commento, portare le valutazioni dei risultati elettorali dello zero virgola sui punti veri della questione e fare di questa un riferimento nella discussione tra comunisti senza intenzioni strumentali. Intanto la questione elettorale. La sconfitta delle liste di Rizzo non è solo di credibilità verso chi le ha presentate. Fosse questo, il problema sarebbe meno drammatico, ma in realtà bisogna prendere coscienza che la vecchia area comunista si è dissolta dopo il fallimento di Bertinotti e la guerra imperialista di Cossutta-Rizzo. Quel che rimane è una marmellata rifondarola e tardo togliattiana che cerca disperatamente di riemergere ,ma non trova sbocco perchè le manca un'analisi del presente e un progetto strategico che non sia puramente elettoralistico. I comunisti non possono ripartire né dalle elezioni né da una stupida riaffermazione di principi che non vengono verificati scientificamente alla luce della crisi del movimento comunista internazionale. Il resto sono patacche che viste con la lente elettorale appaiono per quelle che sono, cioè lo zero virgola.