La linea del fronte

Nel grande caos politico che modifica quotidianamente gli equilibri e porta la gente a rifiutare sempre più la scelta elettorale ci sono due questioni che emergono costantemente: l'andamento del PIL e la condanna delle lotte. Su entrambe si concentra la preoccupazione degli attori del caos i quali, nonostante le divisioni politiche, sostanzialmente si ritrovano a dover concordare. Il feticcio della concorrenza, della borsa, dello spread, unifica anche coloro che si distinguono nelle alternative di governo. Lo stesso punto di unità si ritrova nella condanna delle lotte di quelli che si ribellano e nell'invocazione di altre limitazioni del diritto di sciopero.

L'ultimo, vergognoso episodio di razzismo antioperaio, lo si è avuto a Roma in occasione di un incidente nella metropolitana, dove il conducente è diventato il mostro che invece di guidare faceva bagordi dentro il posto di guida. Chi frequenta la metropolitana di Roma sa bene che per sopravvivere bisognerebbe almeno farsi l'antitetanica e che gli impianti sono in uno stato pietoso. Eppure la campagna antioperaia è scattata lo stesso, al punto che il grande Corriere della Sera vi ha dedicato due intere pagine. A monte di questo episodio c'era stato il linciaggio per lo sciopero dei trasporti pubblici.

Se questa è la situazione, dobbiamo seriamente preoccuparci e capire dove e come stabilire la linea del fronte da cui combattere e che ci consenta di rovesciare le tendenze che si vanno affermando. Nonostante il regime di 'democrazia' ci sono due o tre cose che pongono automaticamente fuorilegge chi le combatte: la logica del profitto che viene considerata come base dello sviluppo produttivo e del benessere comune; il mantenimento di un regime sindacale che viene controllato dai padroni tramite Cgil-Cisl-Uil e la regolamentazione del diritto di sciopero e di organizzazione sindacale funzionale ai sindacati di regime e al mantenimento dello status quo. Le tre cose mantegono l'equilibrio del sistema e quindi non possono essere messe in discussione. Di tutto si può discutere in questa 'democrazia', ma non di questo. Si può parlare di jus soli, di unioni civili, di bonus e quant'altro, ma bloccare il ciclo infernale dello sfruttamento messo in moto dalla globalizzazione (che peraltro coinvolge anche i settori pubblici), questo no.

Il teatrino della politica non può consentirci però di trovare una soluzione, di definire una linea di difesa che riporti nella legalità costituzionale il lavoro e la sua difesa. Nessuna delle alternative che si combattono sul terreno parlamentare oggi, ivi compresi 5stelle e sinistre varie, ha una strategia che tenda sostanzialmente a modificare le cose. Non a caso il referendum del 4 dicembre scorso parlava di Costituzione, ma non di diritti sindacali e anche quando si parla di 25 aprile e di libertà nessuno pone il problema che chi lotta contro lo sfruttamento è privo di diritti. Quindi, se non vogliamo prenderci in giro usando la fraseologia del cambiamento (un altro mondo è possibile) o il velleitarismo movimentista dobbiamo ripartire da qui. Ma come e con quali possibilità? Solo lo sviluppo dell'organizzazione dei lavoratori e l'approfondirsi della coscienza di autodifesa può sciogliere questo nodo. Questa è la linea del fronte vero, dove si deve colpire per capovolgere le tendenze in atto, riconquistare la dignità e la libertà per i lavoratori. E su questo dobbiamo lavorare.

Aginform
19 luglio 2017