Crediamo che molti di noi hanno stentato a orientarsi sulla questione cinese. Si è partiti dalla polemica tra URSS e Cina negli anni '60 quando lo scontro era, o almeno appariva, tra revisionismo e marxismo leninismo; poi è arrivata la rivoluzione culturale e il suo esito con la vittoria finale di Deng Xiaoping. Ma già prima, vivo ancora Mao, si intravedeva qualcosa di diverso, non solo per l'improvvisa morte di Lin Piao, ma anche col riavvicinamento cinese alla 'tigre di carta', cioè agli USA.
Questa è storia, ma poi le cose sono cambiate ancora. Solo che, anche dopo che i canoni interpretativi della nuova situazione sembravano stabilizzati in una visione che metteva sicuramente in evidenza la grande novità della crescita esponenziale cinese, pareva però che ciò avvenisse in un ambito controllato dagli americani, il cui debito veniva ampiamente foraggiato dalla Cina.
I guai, per gli americani e, possiamo aggiungere, per tutto l'imperialismo occidentale, sono venuti dopo. Con la sua 'antica saggezza' la Cina non si era limitata a svolgere un ruolo di crescita continentale, ma con la sua iniziativa economica invadeva i mercati, effettuava investimenti all'estero e nei fatti metteva in difficoltà il consolidato sistema di produzione occidentale. In poche parole, gli americani avevano dato un dito e i cinesi si erano presi tutta la mano, nascondendosi dietro la storica avversione per i sovietici che costituiva una garanzia contro il nemico principale, l'URSS.
America first di Trump è stato il campanello d'allarme: non si poteva continuare in una globalizzazione che, puntando sulla finanziarizzazione dell'economia mondiale, portava alla crisi sociale e produttiva degli USA. Il grido d'allarme, pur essendo ben recepito dall'obamismo globalizzato e dai suoi alleati europei che non smettono di combattere la deriva 'sovranista' dell'attuale presidente americano, non ha però sortito grandi effetti. E' vero che i cinesi sono stati impegnati nel ridiscutere i dazi, ma mentre Trump pensava di inchiodare in questo modo la situazione, la Cina proponeva la Via della Seta, forte della sua potenza economica che in sostanza mette in evidenza la sua capacità di condizionare lo sviluppo di almeno tre continenti, Europa, Asia e Africa, e con appendici anche in America Latina. Se si somma questo fatto con lo sviluppo parallelo e convergente della Russia nello scacchiere internazionale possiamo avere una chiara rappresentazione di ciò che sta accadendo.
La questione non è però solo geopolitica, ma è il momento in cui la quantità si trasforma in qualità e cioè è il momento in cui si verificano effetti sistemici.
Che cosa vuol dire questo? Che il sistema economico occidentale sta arrivando a un livello di indebolimento tale che non potrà più gestire i suoi rapporti nel modo in cui l'ha fatto finora. Ciò produrrà come conseguenza un risveglio di forze che vedranno finalmente possibile la fine del sistema americano nato con la seconda guerra mondiale.
Qualche gruppettaro né trarrà la conclusione che bisogna di nuovo agitare un altro libretto rosso, magari quello di Xi. Noi crediamo invece che bisogna approfittare di queste novità per dare sbocco a un'alternativa sociale e politica che è già stata messa all'ordine del giorno dal 4 marzo 2018 e non risolta.
Aginform
4 aprile 2019