La ragione di un dibattito

Una lettera di Giacomini e la risposta di Curatoli


Leggi la lettera di Ruggero Giacomini


L’occasione per ritornare sulla questione dell’edificazione del socialismo in Urss (di cui ho trattato sul penultimo numero di Aginform) me la fornisce la polemica ingaggiata contro di me da due compagni: Aldo Bernardini e Ruggero Giacomini. Il primo mi accusa di essere un toro aizzato dal drappo rosso che Roberto Gabriele agita davanti ai miei occhi per scaraventarmi contro il Centro studi per la transizione al socialismo in Urss. Non è esatto. Il compagno Gabriele mi aveva suggerito di attenuare l’attacco ma io (garbatamente) ho rifiutato. Quindi il direttore di Aginform ha tutt’al più tentato di agitare un drappo bianco per lenire la furia del toro, non rosso per aizzarlo. Il compagno Bernardini mi accusa inoltre di non aver detto al convegno di Napoli le cose che ho scritto su Aginform. Il fatto è che nessuno mi ha invitato a tenere una relazione a quel convegno. Ho solo parlato, nei pochi minuti consentiti dal dibattito, per ribadire la grande importanza di un documento storico eccezionale che il centro studi dovrebbe assolutamente pubblicare: i resoconti stenografici dei Processi di Mosca del ’36 e ’38 (cui farò ancora riferimento nel corso di quest’articolo).

Se il Centro studi partisse dalla premessa ideologica che Bernardini attribuisce ad esso e cioè: "il carattere fondamentalmente positivo dell’esperienza cosiddetta socialista reale per gli oppressi di tutto il mondo, centralità di Stalin, lento declino dal 1956 (XX Congresso del Pcus), carattere catastrofico, per gli oppressi, della sconfitta epocale del 1989-1991", se fosse effettivamente questa la premessa ideologica, bene, non ci sarebbe nulla da obiettare. Ma il fatto è che già nella "denominazione" di questo centro studi è contenuta una "direzione" di ricerca: centro studi per la "transizione" significa ripartire daccapo e decidere, noi, con il nostro centro studi, se in Urss la "transizione" - cioè il socialismo - c’è stata o no.

Io sostengo che questa questione è già stata risolta definitivamente sul piano teorico e storico dai bolscevichi russi, non solo, ma anche che questi ultimi, nella polemica contro l’opposizione trotskista ne uscirono rafforzati ideologicamente e teoricamente. Penso inoltre che questo centro studi dovrebbe rivolgere la sua ricerca alla mancata realizzazione non del socialismo ma del comunismo.

Un carattere assolutamente centrale, per capire se l’Urss è "transitata" verso il socialismo, è la valutazione del trotskismo, la comprensione storica del ruolo svolto dall’opposizione trotskista. Il compagno Giacomini, su questo punto cruciale, mostra di non aver capito la sostanza del poroblema. Nel suo saggio egli vuole, sì, difendere Stalin, ma per farsi perdonare (per non apparire un ‘apologeta’, per carità!), è costretto a rivalutare in qualche modo anche Trotski, avallando dei falsi storici. Dopo il 1927 Trotski non contava più nulla. Prima ancora del ’27 (già nel ’22) s’era messo sulla via della cospirazione. Da che era portatore di una linea ultrasinistra e capitolazionista (che era pur sempre una linea politica) si trasformò - date le particolarissime condizioni storiche in cui si svolse la sua furibonda lotta per estromettere Stalin - in un consapevole e coerente controrivoluzionario. Trotskij millantava credito presso la Germania hitleriana (il loro referente era Rudolph Hess) in vista di essere portato al potere, all’indomani della disfatta dell’Urss, dai nazisti vittoriosi (disfatta che egli attendeva, auspicava, bramava). Tutto il piano criminale di Trotskij (imperniato su smembramenti territoriali dell’Urss a favore della Germania e del Giappone ed ogni sorta di altre concessioni e clausole di tradimento nazionale) ebbe cospiratori interni (Zinoviev, Kamenev, Bucharin e decine di altri che rivestivano importantissime cariche di governo e di partito e che si trovavano anche ai vertici dell’Armata rossa), questo piano, dicevamo, è stato svelato da processi pubblici seguiti in aula dalla stampa mondiale. I congiurati (tutti rei confessi - non avevano altra scelta, non potevano difendersi attaccando, come fece Dimitrov) essendosi trovati, per oltre un decennio ad agire come uomini dalla doppia faccia collusi con i servizi segreti di Stati nemici dell’Urss e autori di atti terroristici, di assassini (quello di Gorki fu il più scellerato) e sabotaggi che produssero stragi di lavoratori sovietici, questi uomini, dicevo, si logorarono, si corruppero non solo politicamente e ideologicamente ma divennero marci anche nella loro più intima natura umana (è ciò che sarebbe accaduto ad ognuno di noi in quelle circostanze). La campagna furibonda che scatenò la Seconda internazionale contro l’attendibilità delle dichiarazioni rese pubblicamente dai congiurati (e non poteva non essere così perchè essa aveva sempre appoggiato, tradizionalmente, ogni opposizione manifestatasi all’interno dell’Urss) si riverbera ancora oggi, presumibilmente, nel cervello di alcuni compagni, che non ritengono "serio" leggere quei resoconti stenografici. Eppure furono talmente tante le fandonie che in Occidente si dissero per ridicolizzare quei Processi che lo stesso Bucharin, in un soprassalto di residua dignità, affermò nel suo ultimo discorso, che non intendeva essere difeso dalla Seconda internazionale, che gli inquirenti sovietici non erano ricorsi alle "polverine cinesi" (!!) per indurli a confessare le loro colpe. Leggano i compagni quello che scrissero, all’indomani dei processi, Krupskaia (moglie di Lenin), Ercoli (Togliatti), Dimitrov e Ponomariev e decidano, infine, se erano più attendibili le parole di questi ultimi contro la criminale cospirazione oppure le polverine cinesi delle Seconda internazionale.

Quanto all’accusa che io avrei capito fischi per fiaschi dell’intervento di Giacomini, ebbene, io gli ho attribuito a bella posta le affermazioni di Trotskij perchè egli (Giacomini) non le cita tra virgolette, non le commenta esplicitamente e negativamente, come sarebbe assolutamente doveroso per un marxista fare; il suo ‘genere letterario’ è allusivo, esopico, equidistante; e siccome non si tratta della storia di Cappuccetto rosso ma della storia del comunismo, occorre farsi capire. Se un giovane, a digiuno della nostra storia, legge il saggio di Giacomini pensa di trovarsi di fronte a due grandi personaggi. Ma la verità è un’altra: Stalin era un rivoluzionario comunista (che non fu solo un discepolo di Lenin ma anche un geniale innovatore) mentre Trotskij è stato un’orrenda (e tragica) figura di controrivoluzionario. Giacomini non ha capito l’opposizione trotskista: da come ne parla crede che quest’ultima si sia mantenuta sempre nell’alveo di una divergenza politico-ideologica, non sa che da un certo punto in poi (per la logica ferrea delle ‘cose’, per la logica della lotta ideologica in quelle particolarissime condizioni, in quel clima d’eccezione) l’opposizione è divenuta controrivoluzione. Egli scrive: "Lenin nel suo cosiddetto testamento aveva individuato con acume nel rapporto tra Trotskij e Stalin, i due più eminenti membri del CC, una buona metà del pericolo di scissione del partito e della sconfitta del potere sovietico. Nessuno dei due seppe o volle correggere i difetti che Lenin stesso aveva evidenziato. La ‘eccessiva sicurezza di sè’ da parte di Trotskij e la tendenza da parte sua a ‘considerare il lato puramente amministrativo dei problemi’. E dalla parte di Stalin il difetto di pazienza, lealtà, gentilezza, premura per i compagni e gli sbalzi umorali cui era soggetto. Difetti questi che, avvertiva Lenin, potevano apparire secondari, ma che in realtà avrebbero potuto diventare di fondamentale importanza"

Prima considerazione: ecco come si manifesta concretamente l’equidistanza di Giacomini dai due personaggi. Seconda considerazione: perchè i difetti che Lenin individua in Trotskij li cita testualmente, tra virgolette, mentre quelli di cui Lenin accusa Stalin non sono testuali? Terza considerazione: Giacomini non ha compreso il senso di questo documento. In esso, Lenin non ha fatto un’analisi freudiana di Trotskij, Stalin ed altri, ma dà una precisa direttiva (chiamiamolo anche consiglio, ma un consiglio di Lenin non equivaleva ad una direttiva?): ha praticamente detto: estromettete Stalin dalla carica di segretario generale e al suo posto mettete Trotskij. Lo ha detto in maniera implicita (ma nemmeno troppo). La mia opinione è che sia errato legarsi dogmaticamente a questo ‘testamento’. Lenin non ebbe una cirrosi epatica o un cancro al pancreas. La malattia lo colpì al cervello. Egli era semplicemente un grandissimo uomo di genio, non un semidio. Quel ‘consiglio’ fu un errore di Lenin, che trova la sua giustificazione, appunto, nella grave malattia che lo portò alla morte. Lenin dimenticò, ‘incredibilmente’, tutti i tentennamenti di Trotskij e i suoi comportamenti di uomo doppio e sleale. Il libro "Lenin su Trotskij" (pubblicato molti anni fa dagli Editori Riuniti) è una rassegna delle denunzie leniniane di tutti gli errori più o meno gravi ideologici, politici e teorici, nonchè dei comportamenti pratici antibolscevichi di Trotskij che durarono dall’inizio del secolo fino al ’17 (per non parlare poi di quelli da lui commessi fino al ’27 - data della morte politica di Trotskij). Stalin fu invece sempre d’accordo con Lenin. Ebbe solo dei tentennamenti sulle Tesi d’aprile che dopo poco superò. Del resto questo ‘testamento’, fu discusso al Congresso del partito tenutosi alla fine del ’23 e il consiglio (che - ripetiamo - aveva il valore di una direttiva) dopo essere stato portato a conoscenza di tutte le delegazioni e discusso, fu bocciato. Stalin prese atto della volontà di Lenin (sicuramente con infinita amarezza) e con lealtà e coraggio si dimise. Ma le sue dimissioni furono respinte (anche da Trotskij).

Giacomini conclude così il suo saggio: "Come Lenin aveva intuito, la rottura e lo scontro fra Trotskij e Stalin ebbe gravissime conseguenze. Fu ‘guerra civile’ nella guerra mondiale, senza confini e senza regole e avrebbe profondamente segnato la vicenda dei comunisti del ventesimo secolo".

Questo è un falso storico scandaloso. Ciò che "ha segnato profondamente la vicenda dei comunisti del ventesimo secolo" è la svolta del XX Congresso del Pcus. Quanto a Stalin, sono trent’anni che vorrei parlare dei suoi errori (e ne avrei di cose da dire) ma la rivincita storica del trotskismo, ineluttabile dopo la demonizzazione kruscioviana, mi costringe a stare in trincea. Il modo in cui Giacomini ‘difende’ Stalin ricorda quell’orso affettuoso e servizievole che per liberare il suo padrone da una mosca che gli si era posata in testa la colpì violentemente con una pietra sfasciando la testa del padrone.

Amedeo Curatoli

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