I comunisti e le alleanze

      di Aldo Bernardini

Mai sconfitta elettorale è stata più meritata, addirittura... autoprovocata, di quella subita il 16 aprile dal centro sinistra. E non possono i comunisti autentici piangere sull’esito (sino ad oggi) di un processo degenerativo: le elezioni regionali, che portano al successo del centro destra, di una coalizione alla quale si appiccica l’etichetta di clerical-fascista, solo in piccola parte giustificatrice di una sostanziale differenza rispetto alla compagine sconfitta. Non si sarebbe potuto dare esito maggiormente scontato: personalmente lo avevo previsto in una mia lettera dell’8 ottobre 1998, scritta in occasione della scissione cossuttiana.

E a tale esito, dovuto non tanto ai forse pur considerevoli trasferimenti di voti persino operai sulla destra, ma al circa 28% di astensioni (a cui va aggiunta l’ingente quota di schede bianche e nulle), gli autentici comunisti - anche quelli che emotivamente piangono - hanno contribuito con forza, ogniqualvolta hanno preso posizione, anche pubblica e in forma dura, contro i misfatti del centro sinistra (e le stesse ambiguità di RC). E’ assolutamente contraddittorio, e inammissibile, "scatenare" le proprie migliori energie contro l’operato concreto del centro sinistra e poi... chiedere per esso, direttamente o anche mediatamente, il voto. Agli occhi dei lavoratori una delle due posizioni, ma più probabilmente ambedue, risulterebbe insincera e strumentale. Chi ritiene (o fa mostra di ritenere) che il "pericolo della destra (ufficiale)" è il maggiore - a parte qui ogni considerazione di sostanza - dovrebbe ingoiare e sostanzialmente giustificare le malefatte del centro sinistra o criticarle a fior di labbra per poi far arretrare sempre la soglia critica in nome del "realismo", come poco gloriosamente ci ha mostrato Cossutta durante l’aggressione alla Jugoslavia. Ma tutto ciò non è possibile (pur con ogni comprensione per i tatticismi, se di breve durata) per autentici comunisti.

Gioca certo in molti, e viene strumentalizzato accortamente e ingenuamente invocato, un riflesso condizionato: quello dell’antifascismo, della necessaria unità contro il fascismo, degli errori asseritamente commessi in passato, soprattutto (è scontato ancor oggi per tutti gli autoflagellatori) dai comunisti vuoi italiani vuoi tedeschi per non aver perseguito a suo tempo una politica unitaria con i "democratici" e i socialisti o socialdemocratici contro il mostro allora montante in Italia e in Germania. Si grida contro la "perversa" tesi del "socialfascismo", proclamata in una prima fase anche dalla III Internazionale, si dice, per suggestione dell’(ovviamente) "perfido" e "rozzo" Stalin. Su quei fatti e posizioni dovrebbe invece meditarsi con attenzione e spregiudicatamente da parte di chi ragioni in termini dialettici.

Per il passato: la tesi del "socialfascismo" era tutt’altro che erronea. I fatti recenti ci dimostrano, e confermano, che è il capitalismo, nello stadio dell’imperialismo (quello di oggi, se vogliamo, ancor più esasperato), che genera il fascismo. Le socialdemocrazie anticomuniste ne sono state, e ne sono, quando non direttamente portatrici, almeno levatrici. Per il movimento comunista, esse costituiscono, alla lunga, il nemico più subdolo e pericoloso, come palesano la vicenda delle degenerazioni dei partiti comunisti al potere e di quelli occidentali - il revisionismo moderno trionfante dal 1956 è a ben vedere una forma di socialdemocrazia - e l’azione delle socialdemocrazie "ufficiali" contro il socialismo "reale". Se ci rifacciamo alla imbattibile analisi del Manifesto di Marx ed Engels, queste forze accompagnano a livello politico il movimento del capitale mondiale verso e nella fase monopolistica e imperialistica, che rappresentano come "modernità", dando la copertura di una demagogia "democraticistica": questa certo può aprire in dati momenti spazi di democrazia formale e di riforme sociali, i quali però - quando occorra, e ciò è evidente nei momenti di difficoltà e di restringimento dei margini economici, come oggigiorno - subiscono restrizioni e torsioni autoritarie, nella sostanza, spesso caratterizzate da analogie con quelle proprie del fascismo in senso stretto. Rispetto alle necessità dei lavoratori e alle conquiste del passato, il centro sinistra è, anche subdolamente, reazionario e connotato da fughe a destra e da "razionalizzazioni", delle quali si sostiene il carattere di miglioramento sociale e perfino di difesa dei "deboli": ma in realtà, avvenendo esse in un contesto capitalistico, provocano per lo più inconvenienti per i lavoratori. E’ stato correttamente argomentato, per portare un piccolo esempio, che le domeniche senza automobili causano disagi proprio per i ceti più deboli.

I movimenti di destra e le loro accentuazioni vere e proprie fascistiche sono apertamente, e in tendenza violentemente, reazionari e possono rappresentare pertanto, se arrivando al potere non trovino adeguata risposta di massa, il più grave pericolo. Non va peraltro sottovalutato che - si veda qui nuovamente il Manifesto dei comunisti - la loro analisi e critica di date forme del capitalismo (e adesso, in particolare, data la virulenza dell’imperialismo, che si presenta come "globalizzazione"), finiscono per coincidere per taluni elementi (almeno nella parte negativa, critica) con quelle dei movimenti progressisti e comunisti: la differenza, ovviamente radicale e fondamentale, è nella via d’uscita proposta, che per i comunisti, e solo per essi, sta in una società nuova, rivoluzionaria, strutturalmente modificata con l’eliminazione - nei tempi e nelle fasi successive necessarie - del rapporto capitalistico di produzione. Le destre ufficiali al potere non sfuggirebbero certo alle logiche dell’imperialismo e al più aperto e duro autoritarismo.

Di qui talune conseguenze. I comunisti devono mantenere saldissimo e chiarissimo il fine dell’abbattimento del sistema capitalistico, nella teoria e nella prassi. Nei movimenti reali non possono allearsi aprioristicamente con le (spesso, sedicenti) socialdemocrazie, che restano un nemico mortale: tanto più dopo che queste hanno abbandonato l’originario, concettualmente schietto "riformismo" (che dichiarava, illusoriamente o talora ingannevolmente, gli stessi fini dei comunisti, ma con mezzi diversi) a favore di un fraudolento "riformismo", che mira al "nuovo" e "moderno" purchessia (un nuovo, che riporta in realtà ad epoche precedenti), ed in realtà alla distruzione delle conquiste sociali per favorire in prima linea il grande capitale. Oggi, in Italia, il "partito americano" è dato soprattutto dalle attuali forze di governo, DS e Asinello in prima linea, a parte la banda radicale.

Certamente, i comunisti non si alleeranno mai organicamente con le destre reazionarie e fasciste: ma, nell’attuale congiuntura storica, si potranno dare convergenze tattiche obiettive (e nessuno scandalo se soggettivamente pilotate) contro il grande capitale. Si vedano ad esempio taluni referendum in Italia. E’ il grande capitale il nemico attuale dei popoli dell’umanità, è esso che, attraverso revisionismi e socialdemocrazie, ha abbattuto, crediamo provvisoriamente e comunque non totalmente, la grande speranza, il socialismo realmente esistente. Un forte insegnamento storico di Stalin è anche questo, checchè si straccino le vesti i socialdemocratici e i trotskisti, ogniqualvolta il mortale pericolo in atto provenga dai cosiddetti "democratici". Mi riferisco ovviamente al Patto Molotov-Ribbentrop. Demonizzazioni strumentali e moralistiche delle destre, tipiche dei socialdemocratici, con il ricorso frequente a strumenti giuridici - si veda il ridicolo e controproducente atteggiamento sul caso Haider in Austria - non vanno seguiti: la battaglia deve essere essenzialmente politica e investire i dati di fondo, strutturali del sistema.

E’ chiaro che, qualora le destre reazionarie e fascistiche divenissero un pericolo reale ed in atto, i comunisti dovrebbero ricercare le convergenze e le alleanze con le socialdemocrazie e i "democratici" in generale: soprattutto però con le masse che ne sono egemonizzate, anche al fine di strappare l’egemonia. Ma proprio per questo sono assolutamente dannosi i cedimenti di compagini come il centro sinistra e le complicità di partiti come quello cossuttiano, che smobilitano le masse, non aiutano la formazione di una coscienza rivoluzionaria e la difesa contro l’offensiva della "destra ufficiale". Questa, come detto, potrà certo portare ad un regime autoritario di massa, in forme, se non altro all’inizio, magari meno smaccate di quelle del fascismo storico, forse nel rispetto dei riti elettorali, e attraverso presidenzialismo, liquidazione dei partiti, referendum plebiscitari: il tutto sulla base del controllo dei mass media. Ma non è il centro sinistra, nelle sue componenti maggioritarie, che sta preparando e anticipando tutto ciò?

Io credo che purtroppo l’esperienza storica insegni che l’unità "a sinistra" non è possibile sinchè le forze cosiddette democratiche e di sinistra esercitino il potere, e lo esercitino secondo i dettami del capitale, facendo cioè obiettivamente una politica nella sostanza di destra, antipopolare ed anticomunista. E’ troppo facile, col senno di poi, accusare i comunisti di Weimar di non aver fatto di tutto per l’unità a sinistra. La divaricazione con la politica attuata e perseguita dai socialdemocratici - assassini di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht e autori di cedimenti a destra - era troppo forte per venire agevolmente superata con atti politicistici e volontaristici. Le masse non avrebbero seguito. Solo di fronte alle manifestazioni realizzate del mostro nazifascista, assurto al potere, la spinta anche delle masse popolari fu nel senso dell’unità: anche perchè allora, tra i socialdemocratici e i democratici in generale, si manifestarono ripensamenti sui problemi strutturali, sul capitalismo generatore del fascismo.

Oggi la situazione non è fondamentalmente diversa. La politica sciagurata del centro sinistra, che contiene persino elementi di oggettiva fascistizzazione, porta a un rigetto da parte delle masse lavoratrici, che o votano per protesta direttamente a destra (ed è questo, l’alternanza, un effetto scontato del sistema maggioritario) o si astengono. Fra le "benemerenze" del centro sinistra si segnalano la distruzione del carattere universale della sanità pubblica, la riduzione di fatto dei salari e stipendi, la privatizzazione di imprese e servizi pubblici, la precarizzazione massima del lavoro, i cedimenti al potere clericale, l’attacco frontale alla scuola pubblica, la mercificazione del sapere universitario, la riduzione ai minimi termini del diritto di sciopero e di organizzazione sindacale libera, l’esercito professionale, i carabinieir quarta forza armata, sino alla criminale aggressione contro la Jugoslavia: tutte violazioni clamorose della Costituzione repubblicana, anche nel quadro di una integrazione europea concepita come resa totale alle esigenze del capitale pur contro diritti e poteri costituzionalmente sanciti. La deriva reazionaria del centro sinistra non è condizionabile politicisticamente, nè d’altra parte i problemi di fondo sarebbero affrontabili sullo stesso piano. Anche ora, i lavoratori non seguirebbero in alcun modo - ormai, il fenomeno è massiccio, di carattere obiettivo - e resterebbe impedita la formazione di una forza politica schiettamente alternativa (comunista): chi comunque vi si presta, spendendo addirittura il nome di "comunista", è solo un miserabile ingannatore. E’ patetico e grottesco che certi "comunisti" siedano sulle poltrone di un governo reazionario, dichiarando di farloper presidiare gli interessi popolari: questa "eroica lotta" contro i colleghi di un governo, che si fa di tutto per mantenere in vita, provoca solo ilarità e compatimento.

Illudersi, come i rinnegati del comunismo fanno, che la trappola del maggioritario, da essi fortemente voluta (e anche qui certi "comunisti" sono ora soltanto complici), costringerebbe i lavoratori a votare comunque per il polo cosiddetto di sinistra, si rivela fortunatamente ... un’illusione. Dopo avere, proprio in vista del maggioritario, sdoganato i fascisti; dopo avere, sempre allo stesso scopo, solennemente dichiarato che in Italia non esistono, a livello istituzionale, partiti fascisti, è vano gridare "al lupo" alle scadenze elettorali. E lo è ancor più, quando la coalizione di centro sinistra, cossuttiani compresi, si è resa responsabile di una linea antipopolare, anticostituzionale, di violazione criminale del diritto internazionale. Si tratta di una linea che oggettivamente combacia con quella dei reazionari e dei fascisti: con l’aggravante di essere, per ora, la politica realizzata, quella in atto, e che essa divide e addormenta le masse lavoratrici. La parte consapevole di queste non può sostenerla, perchè i "clericofascisti" farebbero peggio... un espediente troppo comodo per ottenere in perpetuo "licenza di uccidere", di seguire cioè qualunque politica anche antipopolare e criminale. Si giudica, e può giudicarsi solo dalle cose: non dalle etichette, dagli schieramenti, dalle "ascendenze storiche", tanto più se ripudiate.

In verità, dunque, ambedue le compagini attuali sono funzionali al capitale, hanno lo stesso segno fondamentale di classe, pur se settori diversi di esso possono costituire il loro primario (e in nessun modo costante... ) referente, e fasce sociali diverse ne formano il primordiale bacino elettorale. Restano senza reale rappresentanza la classe operaia e il lavoro dipendente in generale (pur se segmenti di questo possono votare per l’uno o per l’altro schieramento), se è vero - come i fatti dimostrano crudamente, al di là di ogni denegazione, mistificazione e illusione - che la contrapposizione tra sfruttati e sfruttatori perdura, oggi come non mai, a livello nazionale e planetario.

I comunisti devono costituire una forza indipendente (non solo autonoma) e radicalmente alternativa: capace di alleanze, ma senza subalternità. Le alleanze si stringono a partire dal proprio insediamento sociale: per la sinistra, dalla classe operaia e dai lavoratori in generale. RC non ha corrisposto con nettezza - nonostante talune prese di posizione apprezzabili - a questa prospettiva, e non ha convinto in tal senso. Il 5,1% (o giù di lì) esclude che abbia recuperato, nelle lezioni regionali, in quella vasta area di comunisti, per lo più astensionisti, che non hanno ritenuto credibile (e talora hanno persino interpretato come un gioco delle parti... ) una linea che, fondandosi su un’artificiosa e solo in minima parte giustificata separazione tra politico e amministrativo, ha comportato 14 accordi regionali su 15 con le forze che, a livello nazionale, hanno stretto una coalizione, la quale è stata, dalla stessa RC, fra l’altro penalmente denunciata come criminale per l’aggressione alla Jugoslavia (e non risulta che a livello regionale, su questa come sulle altre questioni, i centro sinistri abbiano preso le distanze dal livello nazionale). Non ha offerto un bel vedere il segretario di RC, nelle manifestazioni elettorali conclusive, presentandosi sul palco, insieme ai dirigenti nazionali del centro sinistra, a due passi dal "rinnegato Kossutski": ci si è domandati in molti, ad quid la scissione? Per portare i voti autenticamente comunisti nel gran calderone? Proprio non ci siamo. i lavoratori, la classe operaia devono svegliarsi, non venire narcotizzati. Con tutti i rischi che riconosciamo nella situazione odierna, questa è l’unica prospettiva per i comunisti, che comunque vedono confermato il proprio giudizio sulla sterilità e illusorietà della via (puramente) elettorale. Anche il tonfo dei referendum non fa che confermare tutto ciò.

    Aldo Bernardini

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