La mano sinistra e la mano destra di Aginform

La redazione di "Aginform" opera con mirabile pluralismo: "la mano destra non sappia quel che fa la sinistra".

Una parte dei redattori e anche qualche autorevole collaboratore sono presenti, alcuni in veste di relatori, al convegno napoletano dell’ottobre 2003 organizzato per avviare la costituzione di un Centro di studio e documentazione sui paesi socialisti, imperniato in particolare sull’edificazione del socialismo in Unione Sovietica e negli altri Stati, sulla cesura del 1956, sul declino e la caduta.

E’ un’iniziativa di cui si sente necessità assoluta, perché il revisionismo ha cancellato le figure e le opere più grandi e significative di quell’esperienza e ne ha falsato, con radiazioni o alterazioni fondamentali, i dati essenziali.

I promotori dell’iniziativa sono convinti che un fenomeno storico così grandioso, che ha modificato il corso della storia nel secolo XX a livello internazionale e sul piano sociale in tanti Stati, persino capitalistici, non può venire obliterato, come naturalmente vuole la restaurazione capitalistica, seguita dai caudatari, in questo del tutto subalterni, che pur si appropriano del termine "comunista" per rifondarlo o iscriverlo in una asserita unicità e diversità italiana.

A questi cascami revisionisti e alle forsennate campagne della stampa borghese contro il socialismo reale e soprattutto contro la figura di Giuseppe Stalin, ma ormai anche di Lenin, ai luoghi comuni, all’ignoranza e alla disinformazione diffusi per odio di classe e per meschini opportunismi, è necessario tentare di porre un freno.

Ecco il Centro, che nasce intorno a un’ipotesi di ricerca molto netta (che andrà verificata in termini scientifici, non di facile apologia): carattere fondamentalmente positivo dell’esperienza cosiddetta socialista reale per gli oppressi di tutto il mondo, centralità di Stalin, lento declino dal 1956 (XX Congresso del PCUS), carattere catastrofico, per gli oppressi, della sconfitta epocale del 1989-91.

Vale qui quanto espresso da Stalin: "Quali sarebbero le conseguenze se riuscisse al capitale di schiacciare la Repubblica dei Sovieti? Un’epoca della più nera reazione si aprirebbe per tutti i paesi capitalistici e coloniali, la classe operaia e i popoli oppressi verrebbero completamente imbavagliati". Poco importa se quanto avviene oggi, che dimostra l’esattezza della profezia, venga effettuato non solo con la repressione e gli interventi militari, ma anche attraverso la dittatura mass-mediatica e la devastazione delle coscienze, che investe pure i partiti che si vogliono alternativi. E’ convinzione dei promotori del Centro che nessun vero cammino sarà possibile sulla via del socialismo e del comunismo, se non si riporrà nella giusta luce la grandiosa vicenda e non se ne lumeggeranno le vere cause di deperimento e caduta sulla base, essenzialmente, della visione marxista-leninista.

Se questo è il punto di partenza, non si comprende come una sorta di guerra preventiva sia stata lanciata contro il Centro da due autorevoli redattori di "Aginform", pur presenti a Napoli, ma restati lì silenti, almeno per le questioni ora sollevate. Osservatori in terra nemica? Anche di fronte ad altri redattori e collaboratori partecipi dell’iniziativa, che farebbero dunque la figura di ingenui e sprovveduti, caduti in chissà quale trappola?

E’ singolare coincidenza che, sullo stesso numero di "Aginform", sia stato dato spazio, fortunatamente con un breve cappello di presa di distanza, ad un altro attore di guerre preventive, contro una differente iniziativa che vede anch’essa partecipi molti redattori di "Aginform", quella di appoggio alla resistenza irakena. Anche qui, senza discussione collettiva in redazione.

Ma l’attacco al Centro di Napoli appare proprio sconsiderato e fuori luogo. Singolare ne è la struttura redazionale: esso si irradia da un riquadro a sigla R.G., dal contenuto generico ma fortemente allusivo, che tracima poi nell’offensiva in piena regola scatenata da Amedeo Curatoli, benedetta comunque espressamente da R.G. Contro un’operazione appena abbozzata, tutta da definirsi nel concreto, pur se impiantata sulla base precisa che sopra si è delineata.

Sarebbe bastato prendere conoscenza della maggior parte dei contributi forniti al Convegno e partecipare più attivamente al dibattito per rendersi conto di ciò.

Non deve scandalizzare, anche se naturalmente vi deve essere posto argine, se uno o due interventi al Convegno fuoriescano dal quadro: è probabile che qualche equivoco sia nato dal modo in cui può essere stata, erroneamente, intesa da taluni la "transizione al socialismo", con cui viene provvisoriamente connotato il Centro (è terminologia comunque su cui si deve ancora riflettere): la "transizione", di cui il Centro fondamentalmente vuole occuparsi, è quella concreta, storica, della costruzione socialista anzitutto in URSS e poi negli altri paesi, non è fumoso, futuribile concetto per una trasformazione a venire, lontana nel tempo, escatologica.

Se il compagno Curatoli non fosse partito come un toro imbizzarrito a cui qualcuno abbia sventolato il classico drappo rosso, avrebbe riconosciuto subito che il nucleo fondamentale del Centro è tutto tranne che trotzkista, e che incursioni di questo segno non fanno parte, se non per esclusione, dell’impresa. E, mi perdoni Curatoli, non avrebbe attribuito al compagno Giacomini idee che vengono da questo riportate come trotzkiste e in quanto tali confutate, in un contributo che pone in luce la concreta superiorità del pensiero e della prassi di Giuseppe Stalin.

Fra un primo rifiuto iniziale e la condanna espressa alla fine, per cui "i comunisti non hanno bisogno di un siffatto Centro studi sulla transizione", il compagno Curatoli inserisce un lungo ed elaborato saggio sul dibattito svoltosi proprio in Unione Sovietica negli anni ’20 sulla questione del socialismo in un paese solo. E’ un contributo ricco e importante, utilissimo, che bene avrebbe figurato nel convegno di Ottobre. Qui sembra inserito per dire: "Vedete come si deve fare?". Il fatto è che la maggior parte dei lavori presentati al convegno "fanno proprio così". E’ ben strano che si apra una polemica… dove si è fondamentalmente d’accordo.

La fretta, il pregiudizio e, mi si perdoni, qualche vecchio risentimento fanno solo danno: le guerre preventive non pagano. Altro deve essere il metodo di discussione anche franca e critica tra compagni, e guai a boicottare, nel deserto culturale in cui siamo stati gettati, il poco di positivo che ci si sforza di porre in essere.

"Aginform" è una bella impresa, che non merita "distrazioni" quali quelle lamentate.

Aldo Bernardini

Ritorna alla prima pagina