Brigate Rosse

I "compagni" che non sbagliano...

In Italia, negli ultimi anni, l’arma del terrorismo degli apparati ha un etichetta precisa, quella delle cosidette Brigate Rosse.

Anche su questo però continuano gli equivoci. Da una parte c’è una sinistra perbenista che è contro il terrorismo in quanto pacifista che non tralascia occasione di aumentare la confusione e di dare, nei fatti, man forte alla strumentalizzazione che il potere fa del terrorismo. Dall’altra c’è una sinistra "alternativa" che prende le distanze e però non mette i piedi nel piatto aprendo un discorso su che cos’è oggi il terrorismo in Italia.

Eppure le due "coincidenze" che hanno segnato gli omicidi D’Antona e Biagi sono per così dire eclatanti. La prima di queste coincidenze è rappresentata dall’assassinio di un oscuro servitore dello stato, nella fattispecie un collaboratore del ministero del lavoro, in piena guerra contro la Jugoslavia. Che relazione ci può essere tra questi due fatti se non il tentativo di deviare l’attenzione della gente dalle responsabilità del governo italiano nell’aggressione alla Jugoslavia? Quale migliore occasione per resuscitare il fantasma delle BR? E che dire del delitto annunciato di un altro fedele servitore dello stato alla vigilia della mobilitazione grandiosa del 23 marzo contro la revisione dell’art.18 dello statuto dei lavoratori?

Come si vede in queste due circostanze non ci troviamo di fronte al discorso tra opzioni diverse per obiettivi comuni, bensì ad una deviazione di interesse che torna a tutto vantaggio e può essere utilizzata da coloro che sono stati impegnati nella guerra o temevano gli effetti della mobilitazione sull’art. 18.

Per questo diciamo che le BR sono "compagni" che non sbagliano.

Esistono davvero le Brigate Rosse? Stando ai risultati delle indagini sul delitto D’Antona sembrerebbe proprio di no. Ogni tanto si solleva il polverone, come nel caso della incriminazione di Iniziativa Comunista, senza arrivare a nessuna conclusione.

Non è escluso che in operazioni brigatiste possano essere coinvolti personaggi che si ritengono ancora in guerra con lo stato, ma è sicuro che questa guerra viene condotta col retroterra logistico dei soliti proletari "in divisa".

Anche le scenette delle rivendicazioni dei cosidetti irriducibili somigliano a filmini di Bin Laden. Come se non sorgesse il sospetto che gli ispiratori di queste sceneggiate possano aver patteggiato le interpretazioni che si svolgono nelle celle o nelle aule giudiziarie.

Dunque è ora che si esca dai complessi che a volte i compagni hanno di sentirsi sotto accusa perchè le provocazioni prendono una tinta scarlatta, cioè rossa. E’ bene che si prenda coscienza, invece, che dal polverone post-sessantottesco qualcuno ha fatto emergere, e non per fini rivoluzionari, strumenti di provocazione che vengono manovrati in un contesto strategico di largo respiro.

La questione non riguarda soltanto l’azione delle sedicenti Brigate Rosse, ma anche momenti di organizzazione che agiscono da esca o da detonatore politico contro una progettualità comunista o di serio impegno politico.

Dobbiamo imparare dunque a convivere con l’uso politico del terrorismo, ma allo stesso tempo dobbiamo attrezzarci a combatterlo.

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