Prepariamoci alla rivoluzione

Wesley Clark è un generale Usa premiato con medaglia d'argento per il suo “eroismo” nella Guerra del Vietnam: era anche comandante in capo della Nato in occasione del tiro a bersaglio alla Jugoslavia durato 78 giorni di fila, e anche per quest'altra eroica impresa ha ricevuto medaglie al valore. Nel 2001 dichiarò, alla presenza di Bush: “Sono molto contento che abbiamo in carica una grande squadra di governo, composta da persone del livello di Colin Powell, Dick Cheney, Condoleeza Rice, persone che conosco molto bene, signor Presidente. Abbiamo bisogno di loro nei posti che occupano”. Poi evidentemente visto il fallimento militare in Iraq, ha abbandonato i Repubblicani e si è buttato con i Democratici. Di costui 'La Repubblica' ha pubblicato un articolo in prima pagina (17 sett. 2007) fingendo di credere che Wesley Clark rappresenti una posizione contraria all'aggressione all'Iran, aggressione che l'apparato militare Usa ha già messo a punto. Lui stesso scrive che non solo Bush ma anche i contendenti alla Casa Bianca “hanno detto chiaramente che non permetteranno a Teheran di perseguire tale obiettivo” (dotarsi dell'atomica). Quindi la sua conclusione che “la guerra migliore è quella che non necessita di essere combattuta” è ipocrita, serve a ingannare la gente. Questo generale intende dare una preventiva copertura all'assenso che la Clinton (di cui è divenuto galoppino elettorale) darà all'intervento in Iran. Spiega in che cosa consisterà il “conflitto”: tre settimane consecutive di attacchi “con molti missili” e con gli irraggiungibili superbombardieri B52 per non dare a Teheran la possibilità di alcuna rappresaglia. “Qualsiasi guerra futura degli Stati Uniti - scrive - senza alcun dubbio sarà influenzata fortemente dalle esperienze in Iraq e Afghanistan, per quanto doloroso ciò possa essere. Tradotto in linguaggio più chiaro significa che l'intensità di fuoco, rispetto ai bombardamenti all'Iraq e all'Afghanistan, dovrà decuplicare o centuplicare “per quanto doloroso ciò possa essere”. Viene dunque prospettato un massacro senza precedenti, e la riduzione del territorio iraniano a paesaggio lunare.

Si è levata un'altra voce, ancora più ufficiale di quella di Wesley Clark: l'ex-ambasciatore all'Onu, Bolton, stretto collaboratore e consigliere di Cheney, in una breve intervista alla “Stampa” (18 sett. 2007) dice che “il tempo delle sanzioni contro l'Iran è arrivato ed è andato via”. Prospetta due soluzioni: o “un cambio di regime a Teheran” (nel quale neppure lui crede) o “l'uso della forza. Siamo molto vicini a quest'ultima possibilità ”. E poi conclude minaccioso: ”il tempo per fermare Teheran sta scadendo”.

Per ingannare l'opinione pubblica anche il New York Times (citato da Repubblica il 17 sett. 2007 che così titolava: “I 'falchi' Usa premono per il Blitz…”) fa finta di credere (in ciò rinnovando la tradizionale menzogna di dividere gli sterminatori di Washington in falchi e colombe) che Cheney è determinato mentre Condoleeza Rice sarebbe la colomba. E' arduo immaginare questa donna nera, più uomo degli uomini e più bianca dei bianchi, stringere fra i denti un ramoscello d'ulivo.

Come reagisce la borghesia europea a quest'altro inaudito crimine annunciato? “L'attacco all'Iran è sempre più vicino e l'Europa lo sa” ha detto Bolton nella succitata intervista. Dunque l'Europa sapeva e preparava l'attacco in combutta con gli Usa, ma taceva. Lo ha rivelato Kouchner, l'ex-filantropo fondatore di “Medici Senza Frontiere”, sessantottino pentito, finito poi ministro degli esteri del governo Sarkozy. Nella prossima aggressione all'Iran l'UE è già schierata con gli Usa e quando Merkel e D'Alema polemizzano con Kouchner non bisogna dar loro alcun credito, è la solita astuzia dei governanti borghesi: Merkel e D'Alema già sanno tutto dell'attacco all'Iran, avrebbero solo preferito che in Europa ufficialmente (cioè per bocca di un ministro) non se ne parlasse.

Quando Kouchner ha detto “bisogna prepararsi alla guerra”, la sionista Fiamma Nirnestein ha fatto salti di gioia. Ha scritto: “Dire la parola 'guerra' è di per sé, in Europa, un gesto di coraggio... ha un valore innovativo molto preciso, esso indica infatti all'Europa la strada della deterrenza attiva”. Ha detto ancora: “Gli usa stanno ponderando l'eventualità di distruggere le centrali atomiche a Teheran. E noi? Seguiteremo ad essere disperatamente arretrati, a credere nel potere della parola anche quando si tratta di Hamas, degli Hezbollah, di Ahmadinejad?” ("il Giornale”,18 sett. 2007). Non serve invece un inno di orgoglio che somigli un po' alla Marsigliese?”. Smettiamo quindi di essere “arretrati” e ficchiamoci in testa che anche l'Europa, come gli Usa, devono imboccare la via della 'deterrenza attiva', cioè la via delle bombe, non delle parole. Questo smodato desiderio di bombardamenti a tappeto da parte degli amerikani e dei sionisti di casa nostra muove dal presupposto dell'invulnerabilità dell'Occidente. Il ristretto cervello stupido e codardo di questi luridi guerrafondai, non viene neanche lontanamente sfiorato dall'idea che i lutti e le distruzioni che invocano per gli altri popoli si ritorceranno anche contro il nostro paese e contro l'Europa. La Marsigliese dovrebbero cantarla i comunisti, non i lacché dell'imperialismo Usa, e se vi fosse un consistente numero di consistenti partiti comunisti e un loro consistente coordinamento, allora alla frase di Kourkner “prepariamoci alla guerra” risponderemmo “prepariamoci alla rivoluzione”.

Amedeo Curatoli

20 settembre 2007


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