Fine delle 'due sinistre'

La vittoria annunciata del duo Fassino-D’Alema nella battaglia congressuale e la parallela sconfitta del correntone che fa capo a Berlinguer impongono alcune riflessioni sul teorema delle due sinistre. Anche coloro che per lungo tempo hanno sostenuto la tesi della convergenza tra la sinistra moderata e quella antagonista hanno dovuto prendere atto che la maggioranza diessina si è posta definitivamente sul terreno della politica imperialista e degli interessi della modernizzazione capitalista, al punto che lo stesso Cofferati ha dovuto ammettere che i lavoratori non hanno rappresentanza in questo partito.

Quel sussulto antidalemiano che si è determinato dopo la sconfitta elettorale del 13 maggio si è rivelato nient’altro che un disagio contro una leadership responsabile del disastro, ma non un progetto di alternativa politica. E’ caduta così la speranza di alcuni settori ‘unitari della sinistra’ che si potessero riaprire i giochi e modificare le tendenze che avevano portato allo scioglimento del PCI. Di fronte a questa indiscutibile realtà, cade anche quella definizione di sinistra moderata con cui i DS sono stati classificati e che ha dato vita al teorema sulle due sinistre.

La conferma della egemonia dalemiana e della inconsistenza politica della opposizione che fa capo al cosiddetto correntone rende ormai definitivo un giudizio sui DS e sul ruolo che giocano nel sistema di potere in Italia. Il fatto che oltre il sessanta per cento di questo partito sia schierato su posizioni imperialiste dimostra che la maturazione verso posizioni organiche alla borghesia è ormai conclusa. Non ci troviamo più di fronte ad un partito di sinistra, ma ad un partito di centro che svolge il suo ruolo di alternativa dentro lo schema dell’alternanza istituzionale che i gruppi di potere assegnano ai loro partiti. Sia sulle questioni interne che su quelle internazionali. La possibilità che i DS possano essere condizionati dalla ‘base’ è nulla, ma non per mancanza di democrazia interna, ma per la organicità tra interessi degli iscritti e interessi della borghesia, in quanto i primi non sono altro che una porzione dell’apparato istituzionale borghese. E, in quanto tale, il partito dei diessini viene utilizzato in rapporto alle necessità di gestione del potere secondo la logica dell’alternanza e di manipolazione degli elettori.

Rimane, è vero, la questione del rapporto con la minoranza consistente che si è espressa nel cosiddetto correntone. A parte tutte le ambiguità sul carattere alternativo delle posizioni, come quelle pro-guerra esposte dalla Melandri, rimane da vedere se nel fuoco dello scontro congressuale si è cementata una posizione che può definirsi effettivamente di sinistra moderata oppure se ci troviamo di fronte ad una variante dell’interventismo ‘pacifista’ e della modernizzazione.

La vittoria di D’Alema accelera anche la trasformazione dei DS in un organico partito imperialista, moderno e europeista, in una prospettiva di rilancio della UE dopo la grave crisi di immagine internazionale creata dal governo Berlusconi.

Alla ipotesi delle due sinistre che confliggono, ma cercano anche l’accordo, dobbiamo dunque sostituire uno scenario completamente diverso. Esiste in Italia un nuovo partito della borghesia imperialista con cui quotidianamente dobbiamo fare i conti in termini di lotta.

E’ doveroso dunque prenderne atto e senza la maturazione di questa coscienza, anche tra coloro che si ritengono di sinistra e che sono ancora nel partito di D’ Alema, non è possibile costruire prospettive unitarie. A meno che, come avviene in Francia e in Germania, non si accetti la subalternità all’imperialismo europeista della socialdemocrazia.

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