Dalla testimonianza al progetto
Ci sono le condizioni per una svolta?

Non ci siamo mai illusi che il lavoro svolto con la pubblicazione di Aginform potesse andare più in là di una indicazione di tendenze nella fase post-sovietica. Nella sostanza, abbiamo cercato di coniugare la memoria storica del movimento comunista con l’individuazione dei capisaldi da cui partire per una ripresa rivoluzionaria in rapporto alle contraddizioni scatenate dall’imperialismo americano dopo il crollo dell’URSS e dei paesi socialisti dell’est europeo.

Possiamo considerare certamente utile il lavoro svolto, perchè lo sviluppo dell’iniziativa ideologica e politica della borghesia - a cui si sono spesso accodate sinistra anticomunista e imperialismo di sinistra - ha lasciato il segno e aver dato vita ad un foglio che lo contrastasse con posizioni chiare era necessario.

All’inizio abbiamo dovuto subire l’ostracismo dei ‘rivoluzionari’ perbene o di quelli che possiamo dire anche rivoluzionari anticomunisti o, meglio, radikalen. Ora, però, dato il corso degli avvenimenti, è più difficile attaccarci. Chi crede più alla rifondazione comunista di Bertinotti? Chi riesce ad ignorare la Cina? Chi mette in dubbio la strategia americana che sta dietro lo sviluppo delle ‘democrazie’, dall’est europeo all'Asia centrale?

Era scontato che non tutte le posizioni espresse sul nostro foglio fossero omogenee. Esso era nato non come nucleo di acciaio di una qualche organizzazione residuale, ma come esigenza di vari compagni, con storie diverse, di iniziare a navigare nella direzione giusta.

Ora, con l’iniziativa di Aginform on-line la discussione e l’informazione possono essere più rapide, possiamo contrastare e commentare quotidianamente le affermazioni della ‘sinistra’, a volte anticomunista a volte filoimperialista: dalla lotta contro i teorici del novecento come secolo degli ‘orrori’, all’analisi del terrorismo avulsa dal conflitto antimperialista e ridotto a categoria assoluta, alla demonizzazione di paesi, tra cui la Cina, secondo il modello ‘impero del male’, alla riduzione del movimento a categoria ideologica per creare un contrappeso al riformismo di governo.

Aginform continuerà a muoversi in questa direzione, perchè la battaglia è lunga e solo agli inizi. Sui risultati, però, vediamo già cose positive e interessanti. Il buco nero della Cina si sta riempiendo, sull’Iraq, anche per iniziativa del Comitato Iraq Libero, si comincia a ragionare in termini di resistenza e non sul binomio guerra-terrorismo e anche sul terreno dei movimenti alternativi si registrano molte crepe in quella che sembrava una leadership consolidata e il suo carattere ideologico e strumentale appare evidente a molti.

Ora però un nuovo problema si pone ai collaboratori e agli abbonati di Aginform. E’ adeguato tutto questo alla nuova fase? Possiamo ridurre, in altri termini, il nostro lavoro alle sole esposizioni di temi che non siano collegati ai compiti pratici di una situazione che esige sì chiarezza, ma pone anche domande operative che leghino principi e azione politica? Per valutare i cambiamenti, partiamo dai dati oggettivi nuovi, i più importanti.

La guerra di lunga durata del Quarto Reich americano ha preso corpo e si sta sviluppando su un ampio fronte con alterne vicende. L’incendio appiccato in Afganistan e in Iraq è alimentato anche sul suolo occidentale e a catena produce interventi repressivi su tutti i potenziali oppositori alla guerra. La domanda è: come affrontare questa fase? Quale ruolo dovremmo svolgere? Si dirà che la guerra c’è da tempo e che quindi scopriamo l’acqua calda. Ma, come dirò più avanti, la novità non è la guerra, ma il carattere che essa ha assunto e il modo in cui è necessario rispondervi.

I referendum sull’UE svoltisi in Francia e Olanda, che hanno aperto grosse crepe nella marcia trionfale dell’asse franco-tedesco, hanno messo in luce il carattere autoritario, velleitario e antipopolare dell’unificazione europea. L’evoluzione di questa situazione è compito da lasciare ai ‘grandi’ della politica o ci impone un’intervento?

Le vicende del centro-sinistra hanno rotto l’incanto dell’unità antiberlusconiana riproponendo brutalmente il carattere neoconservatore della coalizione, in politica interna come in politica internazionale. Avendo ciascuno di noi valutato il pericolo Berlusconi, ora come ci poniamo di fronte all’alternativa elettorale? I partiti ‘alternativi’, quelli per intenderci che vengono definiti sinistra radicale, coi loro contorni girotondini, hanno evitato di porre questioni essenziali di programma per arrestare la deriva moderata di Rutelli e soci, dimostrando la loro subalternità ai moderati e salvandosi con la farsa delle primarie in modo che se si è ‘democraticamente sconfitti’, bisogna accettare le regole del gioco. Come ci poniamo di fronte a questi partiti?

La situazione sociale e di classe si aggrava continuamente in assenza di risposte adeguate. Ci si barcamena tra le deboli e non unitarie risposte confederali ed un basismo sindacale relegato alle spinte ‘autonome’ degli impiegati e degli addetti ai servizi. Intanto, in alternativa alla cialtroneria berlusconiana, si sta preparando la linea prodiana basata sull’assioma: ‘noi siamo seri, il governo no’. A fare che cosa? A lavorare per la ripresa basata su lacrime e sangue in un contesto internazionale sempre più chiuso? Quindi, come prepararsi al Prodi bis?

Se questi sono, in sintesi, i problemi che abbiamo di fronte, si pongono due questioni nuove per Aginform. Una attiene alle posizioni da esprimere in ordine agli interrogativi di cui sopra. L’altra riguarda il passaggio politico dall’analisi al progetto.

Sulla prima questione si tratta non solo e non tanto di dibattere sugli argomenti, ma di esprimere una funzione di orientamento come è avvenuto e sta avvenendo rispetto alla prima fase. Quindi se discussione bisogna fare, com’è ovvio, occorre farla per definire una piattaforma in modo che l’uscita di Aginform si presenti non come una palestra di chiacchiere, ma di confronto su una determinata direttrice e, alla fine, dobbiamo arrivare a un accordo sulle risposte.

L’altra scelta su cui riflettere riguarda il carattere operativo della discussione, cioè il progetto. Dico subito che non si tratta di illudersi che si possa passare dalle parole ai fatti. Se c’è un pessimismo che ci deriva dall’analisi è quello sulle possibilità oggettive per quanto riguarda soprattutto le forze reali che si possono mettere in campo in Italia. Con buona pace di coloro che ci ricordano sempre che la questione principale è definirsi o che Mao ha fatto il primo congresso del PCC con cinque delegati, devo ripetere ancora una volta che le similitudini hanno un senso se collocate nel contesto giusto e da questo punto di vista non c’è da stare allegri. Non solo per il blocco politico-ideologico imperialista esistente attorno agli americani, ma anche per il ruolo ambiguo e deviante che la sinistra svolge su tutte le principali questioni. L’ottimismo quindi è fuori luogo, anche quello della volontà, che può scadere nel velleitarismo. Nondimeno però occorre lavorare politicamente, dandoci dei punti di riferimento e evitando che le nostre analisi scadano nel fatalismo. Non abbiamo bisogno di nuove Cassandre, ma di compagni e compagne che si assumano la responsabilità di misurarsi con gli avvenimenti in corso.

E qui entriamo nel merito delle questioni da dibattere a da affrontare concretamente. A partire dalla guerra, dalle sue caratteristiche e da come affrontarla.

1. Abbiamo più volte sottolineato gli aspetti e le contraddizioni della risposta alla guerra, sia rispetto all’Italia che nell’occidente. Lo sdegno morale contro la guerra che si è sviluppato ampiamente in occidente, ha lasciato il posto alla rassegnazione di fronte ai mezzi militari e propagandistici dell’imperialismo. A molti, tra quelli contrari alla guerra, è sembrato che la marcia del Quarto Reich americano fosse inarrestabile, che l’impero americano sarebbe diventato regolatore unico della vita planetaria.

C’è voluta la Resistenza irachena per riaprire i giochi e dimostrare che le teorie sull’impero potevano essere messe in discussione. E qui ci siamo imbattuti in una prima grossa difficoltà. Perchè il movimento contrario alla guerra non ha visto nella resistenza irachena un punto di riferimento? E’ vero, alcuni della sinistra hanno giocato sul binomio guerra-terrorismo per mantenere le distanze dalla resistenza irachena, ma questo non spiega tutto. La stessa valutazione dei caratteri della guerra, del fatto che non si traessero dalla strategia americana tutte le conseguenze pratiche e politiche ci ha portati a diventare spettatori passivi di un game micidiale che ha superato l’hitlerismo. Qual’è il ruolo dei comunisti nella nuova fase imperialista? Dire “ritiro delle truppe dall’Iraq” non coglie il nodo principale dello scontro. La questione è in che modo e con quali forze si possono battere l’imperialismo americano e i suoi alleati. I problemi specifici di ogni paese coinvolto nella guerra vanno considerati in un quadro generale di sconfitta dell’imperialismo USA e di riapertura di nuovi canali di relazioni internazionali. Questo non è un discorso geopolitico, è un discorso di organizzazione internazionale per sconfiggere il neonazismo americano e su questo livello va portata la coscienza del movimento contro la guerra. Finora solo la resistenza irachena ha dimostrato un livello strategico contro l’imperialismo USA. E i comunisti, e tra questi i comunisti italiani? Con la costituzione di Iraq Libero la battaglia è iniziata. Ora bisogna lavorare perché il movimento sia all’altezza dei compiti.

2. Anche sull’Europa dopo i referendum va aperta una discussione che superi lo schema fin qui seguito tra i sostenitori del ruolo imperialista del vecchio continente e chi invece ne mette in luce l’importanza nel determinare crepe nel fronte imperialista. Che cosa hanno dimostrato gli avvenimenti? In sintesi hanno dimostrato che l’Europa è rimasta subalterna alla strategia americana, non solo per quei paesi della Unione che hanno inviato truppe in Iraq, ma anche rispetto a Francia e Germania che, dopo l’invasione, hanno riconosciuto la democraticità dei processi elettorali farsa. Certamente l’Europa, così come si è configurata con l’UE ha cercato di agire parallelamente agli americani per non essere schiacciata e l’Euro è uno dei risultati conseguiti in questa direzione. Sostanzialmente però il quadro di autonomia dell’Europa è rimasto circoscritto e non ha inficiato la strategia americana. Di contro gli USA, soprattutto attraverso Blair, sono riusciti a condizionare il percorso europeo e ci sono volute le bombe di Londra per stoppare il laburista inglese.

Ora che fare? Lamentarsi per un’Europa svanita e permettere la ricostruzione di una leadership subalterna agli Usa e orientata solo a trovare spazi nella accentuata concorrenza internazionale contro i ceti popolari che hanno capito che cosa c’è dietro la retorica europeista? Oppure costruire un movimento che metta in discussione dalle radici il militarismo, la subalternità agli americani, la centralizzazione di un’economia legata ai poteri economici forti di questa Europa?

3. Non ho mai sottovalutato - e su questo Aginform è stata chiara - il pericolo Berlusconi, senza per questo, però, farne un feticcio su cui costruire un movimento senza contenuti, come altrove è avvenuto. I recenti avvenimenti interni all’Ulivo hanno messo in evidenza che di fronte ad una offensiva di massa contro la politica del governo e l’emergere di spinte politiche a raccoglierla, i leaders del centro sinistra, in previsione di andare al governo, stanno rilasciando cambiali a chi li deve legittimare come governo ‘affidabile’. L’Unione di Prodi può essere votata in nome della lotta a Berlusconi oppure bisogna affrontare lo scontro con chi, anche elettoralmente, vuole rilasciare cambiali in bianco? E’ settarismo mettere in discussione il voto a Prodi? E’ sbagliato rifiutarsi di stare al gioco dei cespugli che giocano alle primarie per essere ‘democraticamente’ sconfitti? Esiste un percorso dei furbi per cambiare il potere? Credo che i furbi siano, come i fatti ci insegnano, solo degli opportunisti imbroglioni contro i quali bisogna opporre una radicalità nuova.

La conclusione di questo discorso è che siamo chiamati a svolgere un ruolo di orientamento e di iniziativa sulle grandi questioni che sopra abbiamo delineato. Se qualcuno tra di noi ha interpretato il ruolo di Aginform come una nuova madrassa da aggiungere a quelle esistenti, non ha compreso bene ciò che ci siamo sforzati di dire fin dall’inizio del nostro lavoro. Andremo quindi alle verifiche necessarie e poi decideremo.

Roberto Gabriele


Ritorna alla prima pagina