L’intervallo della ‘rifondazione’ comunista è finito
sapranno i comunisti riprendere l’iniziativa?

Dalla documentazione che pubblichiamo sulla situazione che vivono i compagni, dentro e fuori il PRC, emerge un quadro di sconforto e di difficoltà che ha trovato un punto di catalizzazione con la sconfitta del referendum sull’art.18.

I compagni e le compagne che hanno con tenacia vissuto la battaglia referendaria hanno creduto che la questione in ballo fosse la vittoria o la sconfitta del SI e non si sono posti alcune domande collaterali, nè hanno legato le dichiarazioni della dirigenza del PRC sul referendum con i passi politici successivi alla sconfitta. Andiamo per ordine. L’art 18. Disquisire se i comunisti debbano o no essere contro i licenziamenti nelle aziende escluse dallo statuto dei lavoratori non ha senso. I comunisti sono contro questi licenziamenti. Ma la questione politica legata al referendum non è questa. I compagni e le compagne che hanno espresso i loro dubbi e la loro riprovazione contro la logica del bertinottismo hanno fatto altre considerazioni.

La prima è legata direttamente agli esiti del referendum. Un referendum si fa per vincere non per dimostrare che ci sono 11 milioni di persone che sono contro i licenziamenti. Non si può usare la logica del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. Il referendum si vince o si perde e quando si perde un referendum con meno del 30% dei votanti si è perlomeno avventuristi e invece di dire che c’è stata una buona fetta di elettorato che ha votato SI bisogna dire che chi ha promosso il referendum è un avventurista. E i comunisti se sono contro i licenziamenti sono anche contro l’avventurismo. Non si tratta però solo di calcoli sbagliati. Si tratta anche di conseguenze pesanti dopo la sconfitta. Tra queste non solo l’arroganza confindustriale e cislina per dimostrare che bisogna riformare i rapporti di lavoro e le garanzie sindacali, ma anche, cosa di cui si parla poco, la ripresa della egemonia diessina nella sinistra.

Questa egemonia, che era stata messa in crisi dalla grande manifestazione sull’art.18, dai girotondi, dal grande movimento per la pace, è ritornata in auge e in questo senso ha ragione il compagno Curatoli quando parla di criminalità politica bertinottiana. In luogo di analizzare, dopo una serie di movimenti che hanno destabilizzato non solo Berlusconi, ma anche la cappa diessina sulla sinistra, quali potevano essere i passaggi per rendere la situazione irreversibile e non solo continuando con efficacia a colpire la politica del governo, ma anche impedendo il ritorno al dalemismo comunque mascherato, si è prestato il fianco ad una plateale sconfitta. Dicono i compagni: ma abbiamo riaffermato il principio. Ci rendiamo conto che da decenni i’ rivoluzionari’ affermano i principi, ma basandosi su questo assunto, che spesso nasconde impotenza e opportunismo nel pensare politicamente e nell’agire, siamo passati, noi comunisti, di sconfitta in sconfitta. Mentre l’avventurismo parolaio, alla Lotta Continua, ha cambiato fronte. E puntualmente è avvenuto anche questo dopo il referendum. La subalternità sostanziale del pensiero radicale bertinottiano sul referendum, che così potentemente ha trascinato i compagni e le compagne, ha lasciato il campo alla ripresa del dialogo con D’Alema. Certamente esiste una questione di unità contro il neofascismo berlusconiano, ma questa unità va costruita individuando i punti di forza su cui uno schieramento vero può battere l’avversario e questo schieramento non si crea con le interviste. Soprattutto con chi fa finta di non sapere che ci sono truppe italiane in Iraq o elogia Craxi contro Berlinguer. Come si vede velleitarismo e opportunismo sono facce di una stessa medaglia e i compagni e le compagne non devono cadere in trappole emotive.

Per capire fino in fondo la questione basti dare una scorsa a quel ‘macello’ che è il programma del festival di Liberazione. In tempo di guerra e di guerre si parla di tutto, meno di quello che sta veramente accadendo, se si fa eccezione della presenza ai dibattiti del ‘comunista’ iracheno che sta al servizio degli americani nel governo fantoccio di Bagdad. Perfino il presidente del Cagliari ha più chiarezza di questi rifondaroli di comunismo, quando ha affemato che dove c’è un duce c’è un partigiano!

Diciamo, compagni, che ormai radicalismo e opportunismo del PRC è arrivato alla frutta e bisogna cambiare pagina, certamente non incamminandoci sui vecchi sentieri dello schematismo e della politica declamatoria. Dobbiamo riprendere un cammino da comunisti dentro la guerra imperialista, contro il neofascismo berlusconiano, contro la sinistra imperialista che vuol portarci dentro la sua strategia di potere.

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