Il dopo Berlusconi possibile

Vendere la pelle dell’orso prima che sia stato ucciso non è di buon auspicio. Berlusconi e la sua alleanza di destra sono ancora in piedi e anche decisi a vendere cara la pelle, anche se la sconfitta elettorale del 3 aprile ne condiziona il futuro.

L’importanza dello scontro porta necessariamente a sperare in una prossima ulteriore sconfitta alle elezioni politiche, anticipate o non. Sconfitta elettorale del Polo che, ove avvenisse, aprirebbe una fase delicata di riorganizzazione delle forze, a partire dal risultato elettorale interno alla coalizione di centrosinistra. L’assoluta egemonia delle forze moderate e l’allontanarsi della ipotesi di una inarrestabile marcia trionfale di Bertinotti all’interno della coalizione, scaturite dal voto alle regionali, ripropongono come prospettiva centrale le debolezze e le ambiguità, se così si possono definire, del centrosinistra.

Lo smottamento programmatico, in particolare, non si riduce unicamente alle sortite rutelliane, ma investe i massimi esponenti della coalizione di centrosinistra. Allarmanti sono risultate le dichiarazioni di Fassino sulla fase democratica della politica americana verso i paesi ‘dittatoriali’, anticipatrice di una futura collaborazione, seppure dialettica, su come civilizzare i nuovi barbari del terzo mondo.

Sul piano interno si intravede chiaramente la linea di collaborazione con la Confindustria per una politica di sviluppo che, considerando il disegno prodiano sull’Europa, appare sempre più un progetto di consolidamento delle oligarchie economiche in relazione alle esigenze di competizione internazionale.

Certamente, il centrosinistra dovrà affrontare la situazione in modo e con stile diverso, rispetto alla politica berlusconiana. Il centrosinistra dovrà moderare, rispetto alla famigerata frenesia liberista di D’Alema, le pruderie riformiste di carattere istituzionale. Un eventuale nuovo governo dovrà porre freno alla devastazione sociale apportata al centrodestra, ma anticipata a suo tempo dal governo di centrosinistra, come dimostra l’articolo che pubblichiamo in questa pagina sulla flessibilità.

In sostanza, però, i paletti sono stati messi. Inutilmente il guitto Bertinotti cerca e cercherà di creare movimento’ attorno all’asse strategico del nuovo, possibile, governo di centrosinistra. La linea su cui esso nasce non può prescindere dalla natura delle forze politiche che stanno costruendo l’alternativa a Berlusconi e questa alternativa non può essere condivisa da chi sostiene valori di sinistra sul piano internazionale e della difesa degli interessi di classe.

Ci sono, dunque, due errori che i comunisti non possono commettere. Il primo è di illudersi che all’interno della coalizione di centrosinistra possano essere imposti obiettivi strategicamente rilevanti.

Certo, commisurati alla situazione attuale gli elementi di novità possono indurre a credere che alcune cose sono cambiate, ma quale è il vero passaggio qualitativo in politica economica e nella visione internazionale?

Una domanda collaterale che dobbiamo farci, e da cui dipende il secondo errore che non dovremmo commettere, è se esiste una possibilità contrattuale verso il centrosinistra aldilà delle intenzioni del gruppo uniti per l’ulivo.

Su questo si è acceso un dibattito aspro che ha interessato soprattutto le varie correnti del PRC e su cui Bertinotti ha avuto buon gioco a prevalere, anche con l’esempio delle primarie che hanno portato alla candidatura di Niki Vendola. In sostanza però sia Bertinotti che i suoi critici hanno dovuto constatare che nel recinto del centrosinistra bisogna accettare le regole, e queste regole le impongono i moderati. Sono queste forze che hanno le leve di comando e che dirigono il gioco.

Questa situazione non è neppure ribaltabile pensando di imporre un contrattualismo tra sinistra e forze moderate. Il contrattualismo mette a nudo la debolezza di chi lo sostiene che viene superato e reso non credibile dai risultati elettorali, non avendo creato i suoi sostenitori le condizioni per spostare i rapporti di forza.

Qual’è dunque la conclusione di questo discorso? Paradossalmente, parafrasando Bertinotti, dobbiamo dire che sono i movimenti, ma quelli di classe e internazionalisti, che esprimono una completa autonomia politica, che possono non solo mettere a nudo le contraddizioni del centrosinistra ma anche costringerlo a fare i conti con la realtà.

Dobbiamo quindi, di fronte ad una possibile e augurabile sconfitta di Berlusconi, organizzarci in questo senso rompendo quei cordoni ombelicali che le cosiddette forze ‘antagoniste’ mantengono con la sinistra moderata, di cui di fatto subiscono l’egemonia. Il recinto del centrosinistra non è il terreno su cui manovrare una tattica che esprima autonomia politica e di classe. Preliminare, intanto, è che questa autonomia si costruisca in termini organizzativi e di iniziativa politica.

R.G.


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